Dopo aver manifestato tutta la delusione per la mancata riforma della Pubblica Amministrazione da parte di Silvio Berlusconi e, ovviamente, di tutti gli altri governi che si sono succeduti negli ultimi trent’anni, proviamo a girare pagina. Proviamo a passare dalla critica alla soluzione. Dalla protesta alla proposta. In base alle conoscenze maturate sullo stato dei disservizi pubblici in Italia e in base alle conclusioni di alcuni studi comparati sulla situazione in altri paesi europei, posso affermare che un intervento di “metodo”, non ancora di “merito”, è immediatamente individuabile, senza grandi problemi.
Dobbiamo imparare a misurare in modo sistematico e scientifico i risultati ottenuti dalle varie amministrazioni pubbliche del nostro bizzarro Paese. Questa è la vera e prioritaria riforma del sistema: valutare la resa dei vari settori della P.A., puntando ad una gestione meritocratica in cui i bravi, i più meritevoli cioè, siano premiati e gli altri no. Tale metodo presuppone l’adozione di sistemi di controllo sulla quantità e sulla qualità dei servizi resi, in ogni settore pubblico. Sembra banale ma il problema sta tutto qui. E non esistono alibi tecnologici: l’informatica permette oggi la realizzazione di software idonei a svolgere questa misurazione.
Carlo Cottarelli, uno che se ne intende di organizzazione della Pubblica Amministrazione, è un sostenitore di questo tipo di approccio. Recentemente ha voluto portare un esempio lampante della verità di questa tesi: “La misurazione della lunghezza delle liste di attesa nella sanità pubblica – ha scritto Cottarelli – costituisce una facile dimostrazione di quanto sia sbagliato l’attuale metodo di lavoro. Ognuno di noi conosce probabilmente casi che confermano quanto il problema sia ormai percepito come serio da una gran parte della popolazione italiana. La lunghezza delle liste di attesa spinge chi se lo può permettere a rivolgersi al settore privato: siamo uno dei paesi avanzati con la più alta percentuale di spesa sanitaria per prestazioni private, almeno in Europa”.
Nonostante questo allarmante contesto “non esistono – per Cottarelli – sistematiche rilevazioni della lunghezza dei tempi di attesa: una carenza da imputare sia ai governi regionali – che sono responsabili per la gestione della sanità in Italia – sia al governo centrale comunque responsabile del finanziamento della spesa, della definizione dei Livelli essenziali di assistenza (che inevitabilmente dovrebbero includere i tempi di erogazione delle prestazioni sanitarie) e, in generale, del coordinamento delle politiche sanitarie”. Come si può fare ad intervenire in un settore, facendo investimenti sul miglioramento dei servizi… “senza possedere informazioni più precise sulla lunghezza dei periodi di attesa – continua Cottarelli. Diventa difficile, per non dire impossibile, infatti, valutare l’andamento nel tempo del fenomeno, l’efficacia di eventuali interventi per migliorare la situazione e le differenze tra diverse amministrazioni sanitarie”.
Senza una corretta misurazione dei risultati, aggiungo io, come si fa a valutare anche l’operato degli amministratori delle aziende ospedaliere? L’esempio delle liste d’attesa è paradigmatico della situazione: ma esistono, purtroppo, moltissimi altri casi analoghi. Da un lato non adottiamo una metodologia di lavoro che fornisca ai decisori oggettive misurazioni sulla qualità e quantità del servizio; dall’altro si potrebbe adottare immediatamente una nuova metodologia supportata da software adeguati a risolvere il problema dando segnali forti a tutto il settore della Pubblica Amministrazione, ma non lo si innesta. La misurazione dei servizi pubblici dovrebbe diventare, secondo Cottarelli, il “mantra” della gestione della nostra P.A.
Riccardo Rossotto