Quando si parla di Resistenza, si intende comunemente la lotta partigiana armata. Questo binomio Resistenza uguale lotta armata deriva dal Decreto Legge Luogotenenziale 21/8/1945 n.518, in base al quale è considerato “partigiano combattente” solo chi ha fatto parte di una formazione partigiana ed ha partecipato ad almeno tre azioni armate. È invece considerato “patriota” chi, pur facendo parte di una formazione  partigiana, non ha compiuto operazioni armate.

Inoltre, in base alla normativa suddetta sono state riconosciute come “formazioni partigiane” solo i gruppi che hanno svolto attività armata. Pertanto, non è considerata “Resistenza”, almeno da punto di vista giuridico, l’attività non armata svolta sia a livello individuale che collettivo, al di fuori delle formazioni partigiane “riconosciute” dalle apposite Commissioni Regionali istituite presso il Ministero della Difesa (sempre con la suddetta Legge) per il riconoscimento della qualifica di “partigiano combattente” e di “patriota” .

Questa distinzione tra p”artigiano combattente” e “patriota” e tra Resistenza “armata” e “non armata”, ha comportato una vera e propria militarizzazione della Resistenza. Pertanto, le azioni di Resistenza non armata, anche se compiute da moltissime persone, non sono riconosciute come “azioni di Resistenza” e quindi non sono considerate vere e proprie azioni di lotta partigiana. Di conseguenza,  sono state sottovalutate dalla ricerca storica , fino ad un paio di decenni fa.

Nella migliore delle ipotesi, le azioni di Resistenza non armata sono state considerate complementari o di supporto alla lotta partigiana armata. Se questo è vero in alcuni casi (quali la diffusione della stampa clandestina o la controinformazione), in molti altri casi le azioni di Resistenza non armata sono state espressione di una modalità di Resistenza autonoma da quella armata e sicuramente sono state praticate da un numero superiore di persone rispetto a quelle che hanno praticato la lotta armata.

Le forme di Resistenza non armata

La Resistenza non armata si è espressa  in molteplici forme, quali :

  1. Il sabotaggio della produzione industriale e delle attrezzature produttive o agricole (molto diffuso nelle campagne era il sabotaggio delle trebbiatrici per evitare che i tedeschi depredassero i cereali coltivati);
  2. Le manifestazioni politiche, come i comizi volanti, in occasione di particolari ricorrenze (il 1 maggio, festa dei lavoratori, ed il 7 ottobre, anniversario della Rivoluzione Russa del 1917) e gli scioperi, organizzati sia al livello locale che nazionale per chiedere sia gli aumenti salariali che la fine della guerra. Al riguardo ricordiamo lo sciopero attuato a Torino, Milano e Genova nel marzo 1944 per chiedere la fine della guerra e la cacciata degli occupanti tedeschi, con oltre 500mila partecipanti. È stato lo sciopero più grande in un Paese occupato dai nazisti. Ricordiamo anche lo sciopero organizzato nel marzo 1943, durante il regime fascista, a Torino  (poi estesosi anche a Milano), per chiedere miglioramenti economici e provvidenze per i cittadini rimasti senza alloggio,  a causa dei bombardamenti aerei angloamericani.
  3. L’informazione clandestina, attraverso la diffusione di giornali e di volantini e  le scritte sui muri delle case e nei bagni dei locali pubblici ed anche delle carrozze ferroviarie.
  4. L’attività di assistenza, mediante la fornitura di alloggio e di cibo ai ricercati dai nazifascisti: ebrei; antifascisti; soldati sbandati dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943; prigionieri alleati fuggiti dai campi di concentramento dopo l’8 settembre; renitenti alla chiamata alle armi della Repubblica Sociale Italiana; uomini che non si  presentavano al Servizio Obbligatorio del Lavoro;
  5. Il boicottaggio delle disposizioni emanate dalle autorità nazifasciste, pubblicizzate con appositi bandi, la cui inosservanza creava notevoli difficoltà alle forze di occupazione naziste ed alle autorità civili e militari fasciste.

Alcune riflessioni

Innanzitutto si deve precisare che la Resistenza non armata non è stata una resistenza “passiva”, come molti credono o sostengono. È stata, invece, una tecnica di lotta “attiva”, perché si trattava di “fare qualcosa che non si doveva fare” (perché vietato) oppure di “non fare qualcosa che si doveva fare” (perché obbligatorio). In ogni caso, l’azione o l’omissione comportava notevoli rischi per chi la compiva, anche il rischio della vita (ad esempio per chi nascondeva partigiani, antifascisti ed ebrei o semplicemente portava armi) e molti hanno pagato con la morte il loro impegno patriottico. Per questo motivo, appunto perché è stata una tecnica di lotta “attiva”, la Resistenza non armata non va confusa con l’attendismo (attendere l’evoluzione degli eventi, passivamente, come purtroppo molti hanno fatto).

La Resistenza non armata non è stata sempre organizzata. Molto spesso è stata attuata, spontaneamente, da singole persone o da gruppi o anche da larghi settori della popolazione. Chi la praticava riteneva che il suo comportamento fosse utile nella lotta contro i nazifascisti.

La Resistenza non armata, essendo stata praticata da molte persone, ha avuto un ruolo importante nella lotta di liberazione nazionale, contribuendo sicuramente all’esito positivo.

 Giorgio Giannini

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