LE RIFORME DI PIO IX
Il 16 giugno 1846 è eletto Papa, con 36 voti su 50 votanti (non c’erano i Cardinali stranieri perché non arrivarono in tempo a Roma per il Conclave) il Cardinale Giovanni Maria Mastai Ferretti, Vescovo di Imola, che assume il nome di Pio IX.
Il nuovo Papa attua una serie di riforme che gli attirano la simpatia dei liberali, non solo italiani. Infatti, il 17 luglio 1846 (appena un mese dopo l’elezione) concede l’amnistia ai condannati politici e consente il ritorno degli esiliati.
L’8 agosto 1846 è nominato Segretario di Stato il Cardinale Tommaso Pasquale Gizzi (un riformista moderato), che era stato uno dei candidati per la elezione a Pontefice.
Pio IX emana nel 1847 altre riforme: il 5 marzo con un editto introduce una limitata libertà di stampa; il 19 aprile istituisce la Consulta di Stato (un organo consultivo del Governo, che è insediato il 15 novembre); il 12 giugno, con un Motu proprio istituisce il Consiglio dei Ministri, che però non comprende nessun laico; il 5 luglio istituisce la Guardia Civica (un corpo di polizia popolare, che entra in servizio dopo appena 10 giorni, il 15 luglio). In dissenso con queste riforme, in particolare con l’istituzione della Guardia Civica, il Cardinale Gizzi si dimette da Segretario di Stato.
Il Papa nomina al suo posto il cardinal Gabriele Ferretti, suo cugino.
Il primo ottobre 1847 è istituito il Comune di Roma.
Il 23 dicembre 1847 si riforma l’Amministrazione centrale costituendo un Governo composto da nove Ministeri, in parte affidati a laici dal febbraio 1848.
I MOTI DEL 1848 IN ITALIA ED IN EUROPA
Affascinati dalle riforme pontificie, i liberali italiani avanzano le stesse richieste ai propri Sovrani, chiedendo anche l’emanazione di una Costituzione o Statuto, che viene concessa nei primi mesi del 1848 in alcuni Stati o su iniziativa dei Sovrani (l’11 febbraio lo Statuto è concesso dal Granduca Leopoldo II in Toscana; il 4 marzo 1848 lo Statuto è concesso dal Re di Sardegna Carlo Alberto di Savoia) o in seguito a moti popolari (la Costituzione è concessa l’11 febbraio dal Re Ferdinando II delle Due Sicilie, in seguito ai moti di Palermo del 12 gennaio e di Napoli del 27 gennaio).
Il 14 marzo 1848 anche Pio IX, su pressione dei liberali, concede lo Statuto, che prevede un Parlamento composto da due Camere: l’Alto Consiglio, di nomina pontificia (costituito il 13 maggio 1848) ed il Consiglio dei Deputati, elettivo (le elezioni si tengono il 20 maggio 1848).
Il 17 marzo, a Venezia, soggetta all’Austria, in seguito ad un moto popolare sono liberati i detenuti politici, tra i quali Daniele Manin e Niccolò Tommaseo ed è proclamata la Repubblica di San Marco, che resisterà fino al 22 agosto 1849.
Il 18 marzo scoppia a Milano la rivolta antiaustriaca delle Cinque Giornate, repressa il 23 dal Feldmaresciallo austriaco Johann Josef Radetzky, Governatore del Lombardo Veneto.
In precedenza, il 22-24 febbraio c’è stata la rivoluzione a Parigi, che ha portato alla nascita della Seconda Repubblica. Il 13 marzo c’è stata l’insurrezione a Vienna, che ha causato le dimissioni del Cancelliere Klemens von Metternich.
LA PRIMA GUERRA DI INDIPENDENZA
In questo sconvolgimento politico, molti Stati italiani decidono di attaccar e l’Austria. Il 21 marzo il Granduca di Toscana Leopoldo II dichiara guerra all’Austria (il cui imperatore Ferdinando I era suo cugino) ed invia un Esercito di 7.000 soldati nel Lombardo Veneto.
Due giorni dopo, il 23 marzo anche il Re di Sardegna Carlo Alberto di Savoia dichiara guerra all’Austria e passa con l’Esercito il fiume Ticino, che segna il confine tra il Piemonte e il Lombardo Veneto, dando così inizio alla Prima Guerra di Indipendenza, che durerà fino all’estate 1859.
Il giorno dopo, 24 marzo 1848, il Governo pontificio decide la partecipazione alla guerra contro l’Austria di una Divisione (circa 7.500 uomini), al comando del generale piemontese Giovanni Durando (che era da marzo comandante generale delle truppe pontificie), affiancata da circa 4.000 volontari dei Corpi Franchi. Due giorni dopo si aggiunge una Divisione delle Guardie Civiche e la Legione dei volontari pontifici (con circa 7.000 soldati), provenienti da varie regioni dello Stato Pontificio, al comando del generale Andrea Ferrari.
Il 17 aprile 1848 Pio IX dispone l’abbattimento delle mura del Ghetto, istituito il 14 luglio 1555 dal Papa Paolo IV (Giovanni Pietro Carafa) con la Bolla Cum nimis absurdum, ma gli ebrei devono continuare a vivere al suo interno.
Il 22 aprile le truppe pontificie iniziano le operazioni belliche varcando il Po, che segna il confine con il Lombardo Veneto.
LA DELUSIONE DEI LIBERALI VERSO PIO IX
Però, pochi giorni dopo, il 29 aprile, il Papa pronuncia una Allocuzione contro la guerra all’Austria, che comporta il ritiro delle truppe pontificie dal conflitto, in quanto l’esercito pontificio deve soltanto difendere la ‹‹integrità e la sicurezza›› dello Stato.
Questa decisione del Papa suscita lo sdegno dei liberali che hanno riposto molte speranze nella sua politica riformatrice.
Però il generale Durando non ubbidisce al Papa ed occupa le città venete di Padova e di Vicenza, evacuate dagli Austriaci, che si sono ritirati nella fortezza di Verona, dove si trova anche Radetzky.
Il 24 maggio 1848 Durando respinge a Vicenza l’attacco di 20.000 soldati austriaci per riprendere la città. In seguito Radetzky, sconfitto il 30 maggio a Goito dai piemontesi, attacca il 10 giugno con un forte esercito di 40.000 soldati Vicenza che capitola. Durando, in cambio della evacuazione di Vicenza e di Treviso, ottiene di ripassare con le sue truppe residue il Po, con la promessa però di non riprendere la guerra prima di tre mesi.
Intanto, anche i 16.000 soldati napoletani inviati dal governo borbonico contro l’Austria, arrivati sul Po, sono richiamati a Napoli dal Re Ferdinando II di Borbone. Però il generale Guglielmo Pepe rifiuta di ubbidire all’ordine e decide di andare in soccorso di Venezia, assediata dagli Austriaci.
Intanto, a Roma i liberali manifestano più volte contro il Papa, che è considerato tra i maggiori responsabili della sconfitta nella guerra contro l’Austria. Anche i governi piemontese, toscano e veneziano inviano proteste al Cardinale Giacomo Antonelli, Segretario di Stato pontificio. La Guardia Civica occupa Castel S. Angelo. Si dimettono 7 Ministri (tra cui Marco Minghetti).
Il primo maggio il Papa emana un Proclama nel quale afferma: ‹‹Noi siamo alieni dal dichiarare la guerra›› ed invita i cittadini a rispettare ‹‹chi li governa››. Quindi, il 3 maggio affida l’incarico di formare il nuovo Governo al conte Terenzio Mamiani ed invia una lettera all’imperatore austriaco Ferdinando I invitandolo a rinunciare al Lombardo Veneto, il quale però non gli risponde. Mamiani accetta l’incarico; il 5 giugno inaugura il Parlamento, ma il 12 luglio si dimette perché non condivide la politica neutralista del Papa.
Intanto, dopo aver sconfitto le truppe piemontesi il 25 luglio 1848 a Custoza l’esercito austriaco entra nelle Legazioni pontificie dell’Emilia-Romagna. Occupata Ferrara gli austriaci entrano a Bologna; però la popolazione insorge e li costringe a passare il Po, rientrando nel Lombardo Veneto. Questa azione militare austriaca é duramente condannata dal Ministro dell’Interno pontificio, il conte Fabbri, che parla di ‹‹attentato alla Stato della Chiesa›› e di ‹‹eroica difesa›› della popolazione bolognese.
LA CRISI POLITICA DELLO STATO PONTIFICIO
Il 2 agosto 1848 Pio IX, per cercare di tenere sotto controllo il malcontento popolare, incarica di formare il Governo il conte Edoardo Fabbri, liberale, che aveva patito per alcuni anni il carcere per le sue idee. Poiché anche Fabbri si dimette il 16 settembre 1848, il Papa incarica il Segretario di Stato, Cardinale Soglia, di trovare una personalità per cercare di formare un nuovo Capo del Governo. Il Cardinale Soglia riesce a convincere il conte Pellegrino Rossi, già ambasciatore del Re francese Luigi Filippo, che era rimasto a Roma dopo la rivoluzione di Parigi del 22-24 febbraio, che aveva portato alla proclamazione della Seconda Repubblica. Rossi attua alcune riforme a carattere sociale, dando la pensione alle vedove di guerra ed ai feriti. Nomina inoltre Ministro della Guerra il generale Carlo Zucchi, che è un patriota. In questo modo, però, si aliena l’appoggio della Curia e degli ambienti conservatori. Inizia quindi una politica moderata che gli aliena anche le simpatie degli ambienti liberali, diventando ben presto impopolare. Il 15 novembre, mentre si reca in Parlamento (che ha sede nel Palazzo della Cancelleria, vicino a Campo de’ Fiori) per la riapertura dei lavori parlamentari, Rossi è ucciso a pugnalate da un’estremista.
Intanto il 16 novembre una folla di cittadini, chiamati a Piazza del Popolo da Ciceruacchio, alla quale si uniscono molte Guardie Civiche, attraversa la città per raggiungere il Quirinale (la residenza del Papa). Qui giunta, la folla chiede a gran voce la formazione di un governo democratico, la elezione di una Assemblea Costituente e la ripresa della guerra contro l’Austria. Il Papa convoca Giuseppe Galletti, liberale, il quale si riserva di decidere. Poco dopo ritorna al Quirinale con una delegazione del Circolo Popolare, una associazione politica di chiare tendenze liberali, che avanza le stesse richieste fatte dalla folla. Im seguito il Papa convoca il Corpo diplomatico per fare presente che agiva ‹‹sotto costrizione›› della folla e che avrebbe considerato nulle tutte i provvedimenti del Governo che era costretto a nominare.
Dopo la rinuncia di Galletti, il 20 novembre 1848, il Papa nomina Mons. Carlo Emanuele Muzzarelli (di idee liberali moderate) Capo del Governo, costituito da 6 Ministri (Mariani agli Esteri; Galletti agli Interni ed alla Polizia; Campello alla Guerra; Lunati alle Finanze; Sereni alla Giustizia; Sterbini al Commercio ed ai Lavori Pubblici).
Intanto, il 9 ottobre nel Granducato di Toscana Leopoldo II ha fatto dimettere il governo moderato di Gino Capponi (in carica da appena un mese, dal 17 agosto) ed il 27 nomina Capo del governo il democratico Giuseppe Montanelli che affida il Ministero dell’Interno a Francesco Domenico Guerrazzi ed inaugura una politica volta all’unione con gli altri Stati italiani in una Confederazione.
LA FUGA DA ROMA DI PIO IX
Intanto, Pio IX temendo per la sua incolumità, la notte tra il 24 ed il 25 novembre, abbandona la città, vestito da prete, in carrozza, insieme con il conte Spaur, ambasciatore della Baviera, e di sua moglie, rifugiandosi a Gaeta, ospite del Re delle Due Sicilie Ferdinando II. Incarica il marchese Sacchetti, Furiere Maggiore dei Sacri Palazzi, di comunicare la sua partenza al ministro Galletti, raccomandandogli la ‹‹quiete e l’ordine della città››. Galletti informa il Corpo Diplomatico e fa affiggere un manifesto per informare la popolazione che il Papa non è più a Roma.
Il 27 novembre 1848, il Papa nomina una Commissione per dirigere temporaneamente gli affari civili dello Stato, esautorando di fatto il Governo, ma non riesce a funzionare in quanto i membri si dimettono l’uno dopo l’altro.
Intanto, il Consiglio dei Deputati decide di fare una trattativa con il Papa per convincerlo a tornare a Roma. Così il 6 dicembre incarica una Commissione di 5 altee personalità (laiche e religiose) di andare a Gaeta a trattare con il Papa, ma le guardie di confine napoletane impediscono ai membri di entrare nel Regno e di andare a Gaeta per incontrare il Papa. Quindi sono costretti a tornare a Roma senza aver concluso nulla.
Il 12 dicembre il Consiglio deiDeputati (la Camera eletta il 20 maggio) affida i poteri del Governo, ‹‹fino al ritorno del Pontefice››, ad una Giunta Suprema di Stato, composta da tre non parlamentari, eletti a maggioranza assoluta: il conte Filippo Camerata (Gonfaloniere di Ancona), il principe Tommaso Corsini (Senatore -Sindaco- di Roma) ed il conte Gaetano Zucchini.
Il 17 dicembre Pio IX condanna come ‹sacrilegio attentato›› la costituzione della Giunta, acuendo così i contrasti con il Consiglio dei Deputati, all’interno del quale si diffondono sempre di più le idee repubblicane, anche su pressione dei Circoli politici liberali che si sono costituiti negli ultimi mesi nelle principali città dello Stato Pontificio.
LA ELEZIONE DELL’ASSEMBLEA COSTITUENTE
Il 20 dicembre la Giunta annuncia con un Proclama la convocazione della Assemblea Costituente.
Il 23 dicembre si dimettono i Ministri Mamiani, Lunati e Sereni, che sono sostituiti da Carlo Armellini (Ministro dell’Interno), Federici Galeotti (Ministro della Giustizia) e da Livio Maiani (Ministro delle Finanze). Il Capo del Governo, Mons. Muzzarelli assume i Ministeri degli Esteri e dell’Istruzione.
Il 26 dicembre la Giuntascioglie le due Camere.
Il 29 dicembre 1848, in seguito alle dimissioni del principe Corsini, la Giunta ed il Governo si costituiscono in Commissione Provvisoria di Governo per guidare lo Stato ‹‹fino alla convocazione dell’Assemblea Costituente››, formata da 200 Rappresentanti del Popolo (due per ogni Circondario elettorale) di cui è indetta l’elezione per il 21-22 gennaio 1849. Le modalità della votazione, a suffragio universale maschile, sono emanate il 31 dicembre con una specifica Istruzione. Possono votare i cittadini maschi che hanno compiuto 21 anni e sono eleggibili coloro che hanno compiuto 25 anni.
Il primo gennaio 1849, il Papa emana un Motu proprio con il quale condanna la convocazione dell’Assemblea Costituente e commina la scomunica sia a coloro che avevano emanato il provvedimento che a coloro che avessero partecipato alla consultazione elettorale. Armellini replica alla scomunica affermando la piena legittimità del suffragio universale.
La Commissione Provvisoria di Governo adotta dei provvedimenti per garantire la sicurezza delle elezioni da parte della Guardia Civica, alla quale possono arruolarsi anche i diciottenni.
Il 12 gennaio 1949, al Teatro Metastasio di Roma si svolge un’affollata Assemblea popolare per discutere delle elezioni per l’Assemblea Costituente. Si decide, in particolare, che l’Assemblea si sarebbe dovuta chiamare “Italiana”.
Alle elezioni del 21 gennaio 1849 partecipano circa 250.000 cittadini (è la prima consultazione popolare di massa effettuata in Italia). E’ un grande successo considerata la situazione politica, con la scomunica papale.
Sono eletti 179 Rappresentanti del popolo (su i 200 previsti), tra i quali ci sono una diecina di liberali non residenti nello Stato Pontificio: uno di questi è Giuseppe Garibaldi, eletto a Macerata.
LA PROCLAMAZIONE DELLA REPUBBLICA ROMANA
L’Assemblea Costituente apre i lavori la mattina del 5 febbraio 1849. Durante l’appello, alcuni presenti (tra cui Giuseppe Garibaldi e Carlo Bonaparte) inneggiano alla Repubblica.
Il 7 febbraio, è eletto Presidente Giuseppe Galletti. Vicepresidenti Sono eletti Aurelio Saffi e Luigi Masi. Si eleggono anche 4 Segretari (tra cui Quirico Filopanti) e due Questori (tra cui Mattia Montecchi).
L’Assemblea inizia a discutere la ‘forma di Stato’ e si scontrano subito le posizioni dei radicali e dei moderati: i primi sono favorevoli alla proclamazione della Repubblica; i secondi sostengono la conservazione del Papato, i cui poteri devono comunque essere regolati da una Costituzione.
L’Assemblea Costituente, nella seduta notturna del 8-9 febbraio 1849 discute la bozza del Decreto Fondamentale, preparato da Quirico Filopanti, che dichiara la decadenza del potere temporale del Papa ( al quale sono comunque conservate le guarentigie necessarie per l’esercizio del potere spirituale ) ed istituisce la Repubblica Romana. L’Assemblea approva, alle due di notte del 9 febbraio, il Decreto Fondamentale a stragrande maggioranza (118 favorevoli, 8 contrari e 12 astenuti). Il motto della Repubblica è ‹‹Dio e Popolo››.
La mattina del 9 febbraio , il Presidente dell’Assemblea, Giuseppe Galletti, legge dal balcone del Palazzo Senatorio, sul colle del Campidoglio, il Decreto Fondamentale istitutivo della Repubblica Romana, davanti ad una folla entusiasta e festosa che gremisce la Piazza del Campidoglio. Alla votazione ed alla proclamazione assiste la giornalista americana Margaret Fuller, corrispondente del quotidiano New York Daily Tribune.
A capo della Repubblica è posto un Comitato Esecutivo, composto da Carlo Armellini, Aurelio Saliceti e Mattia Montecchi.
Il 12 febbraio, l’Assemblea decide di adottare come bandiera della Repubblica il Tricolore verde bianco rosso, con l’aquila romana sull’asta.
Il 18 e il 19 febbraio, si tengono le elezioni suppletive nei collegi lasciati vacanti dai Deputati che, risultati eletti in più collegi, hanno dovuto optare per una sola sede. A Roma viene eletto Giuseppe Mazzini.
Il 18 febbraio il Cardinale Antonelli, Segretario di Stato, su incarico di Pio IX invia ai sovrani dell’Austria, della Francia, delle Due Sicilie e della Spagna (tutti Paesi cattolici) una nota diplomatica con la quale chiede loro di ‹‹concorrere, con ogni sollecitudine…a conservare integro il patrimonio della Chiesa e la sovranità che vi è annessa››. In pratica chiede alle Potenze cattoliche europee di intervenite per restaurare il potere temporale del Pontefice. Lo stesso giorno, Radetzky ordina alle truppe di entrare nello Stato pontificio e viene subito occupata Ferrara.
Intanto nel Granducato di Toscana, nel gennaio 1849 il Capo del Governo Montanelli chiede a Leopoldo II di eleggere 37 Deputati da mandare a Roma per partecipare ai lavori dell’Assemblea Costituente. La proposta è approvata dal Parlamento, ma non è ratificata da Leopoldo II il quale il 30 gennaio lascia Firenze e va a Siena, da dove il 21 febbraio parte per andare a Gaeta, mettendosi sotto la protezione del Re Ferdinando II di Borbone. Così il 15 marzo a Firenze è proclamata la Repubblica ed il 27 Guerrazzi è nominato Dittatore.
Intanto, il 12 marzo il Re Carlo Alberto di Savoia recede dall’armistizio di Salasco e dichiara di nuovo guerra all’Austria, che però il 23 marzo sconfigge i piemontesi a Novara, costringendoli a firmare il 24 marzo l’armistizio di Vignale. In seguito alla sconfitta militare Carlo Alberto si dimette e diventa Re il figlio Vittorio Emanuele. Lo stato sabaudo deve rinunciare alla sua politica di annessione di altri territori per fare l’unità dell’Italia. Il 30 marzo le Camere sono sciolte e dopo le elezioni politiche si forma il nuovo Governo D’Azeglio. Il primo aprile scoppia la rivolta a Genova che è repressa duramente dalle truppe piemontesi il 10 aprile.
LE RIFORME ATTUATE DALLA REPUBBLICA
Fin dal mese di febbraio il Comitato Esecutivo emana una serie di provvedimenti per riformare in senso democratico tutte le istituzioni dell’ex Stato Pontificio.
Le riforme interessano ogni settore della vita pubblica. Vengono aboliti: i Tribunali Ecclesiastici (il S. Uffizio, la Sacra Rota e la Segnatura); la giurisdizione dei Vescovi sulle scuole e le Università; la censura sulla stampa; il dazio sul macinato e sul sale. Si sciolgono gli Enti religiosi con il conseguente incameramento dei loro beni immobili da parte della Repubblica. Si emanano provvedimenti contro l’usura ed a tutela dei debitori (purché non siano commercianti). E’ anche deciso un prestito forzoso, mediante una convenzione con la Banca Romana, a favore della Repubblica di 900.000 scudi , a carico delle famiglie più ricche (latifondisti e commercianti) e delle imprese industriali e commerciali. Si inviano in dono 100.000 scudi alla Repubblica Veneta che sta resistenza coraggiosamente contro l’Austria.
Si abolisce la leva obbligatoria nell’Esercito, che è costituito da volontari, mentre è obbligatorio il servizio nella Guardia Civica, incaricata del mantenimento dell’ordine pubblico.
Si avviano trattative con la Repubblica Toscana, retta da Guerrazzi, per una unione tra i due Stati. Inoltre, gli impiegati che non hanno prestato il giuramento di fedeltà alla Repubblica vengono licenziati.
Si dimettono però il Ministro delle Finanze, Guiccioli, ed il Ministro del Commercio e dei Lavori Pubblici, Sterbini, sostituiti, l’8 marzo, rispettivamente da Giacomo Manzoni e da Mattia Montecchi.
Il 5 marzo arriva a Roma Giuseppe Mazzini, che è accolto il giorno seguente, con entusiasmo, dall’Assemblea, la quale, su sua proposta, il 15 marzo, istituisce una Commissione di guerra, per esaminare la situazione militare, coordinata da Carlo Pisacane, che si propone l’obiettivo di arruolare 38.000 soldati (che però non sarà raggiunto). Infatti i soldati e volontari repubblicani saranno circa 20.000, la metà dei quali concentrati a Roma.
Sul piano militare, si cerca di riorganizzare l’esercito sul modello francese
LA COSTITUZIONE DEL TRIUMVIRATO
Nel marzo 1849, scoppiata di nuovo la guerra contro l’Austria, il Comitato Esecutivo decide di inviare alcuni reparti militari a sostegno dei piemontesi.
Il 29 marzo, dopo la sconfitta dei piemontesi a Novara il 23 marzo e la firma dell’armistizio di Vignale del 24 marzo, l’Assemblea Costituente, temendo l’intervento dell’Austria per la restaurazione del potere temporale del Pontefice, decide di sostituire il Comitato Esecutivo con un Triumvirato composto da Giuseppe Mazzini, dal giurista Carlo Armellini (eletto a Roma) e dal giovane letterato Aurelio Saffi (eletto a Forlì), ai quali sono conferiti ‹‹poteri illimitati per la guerra di indipendenza e per la salvezza della Repubblica››.
L’Azione del Triumvirato si caratterizza subito per l’emanazione di una serie di provvedimenti a carattere sociale, ‹‹concernenti il miglioramento delle condizioni morali e materiali di tutti i cittadini››: l’abolizione della carcerazione per debiti; la riforma agraria con l’affidamento in enfiteusi dei terreni dei disciolti Enti Ecclesiastici alle famiglie più povere; l’abolizione dell’appalto del sale e la riduzione del suo prezzo ad un bajocco la libbra; la destinazione del Palazzo del Santo Uffizio ad abitazione dei poveri; l’abolizione dell’appalto sui tabacchi; l’affidamento di lavori agli artisti; l’obbligo per i commercianti di vendere le giacenze di merci ad un prezzo stabilito.
I Triumviri lanciano un appello ai liberali italiani per costituire un esercito per la difesa della Repubblica, dato che Pio IX ha chiesto l’aiuto dei Sovrani cattolici europei per riprendere la città e restaurare il potere temporale del Papa.
In pochi giorni giungono a Roma migliaia di volontari, molti dei quali hanno combattuto nella guerra contro l’Austria. Garibaldi e’ tra i primi ad accorrere in aiuto della Repubblica Romana, con i suo legionari con la camicia rossa, che hanno combattuto in Sud America.
Ci sono anche circa 600 bersaglieri lombardi, guidati da Luciano Manara, che facevano parte della disciolta Divisione Lombarda impegnata nella guerra contro l’Austria, i quali sono sbarcati il 27 aprile a Anzio da due battelli, dato che i Francesi non li hanno fatti scendere a Civitavecchia, dove loro sono sbarcati il 24 aprile. I bersaglieri però si sono impegnati a non combattere prima del 4 maggio.
Ci sono inoltre molti patrioti fuggiti dallo Stato borbonico e 1500 studenti universitari provenienti da varie città italiane.
Gli studenti universitari romani costituiscono il Battaglione universitario romano. Ci sono perfino molti giovani artisti stranieri, studenti delle Accademie estere che hanno sede a Roma.
Le forze repubblicane in città, tra soldati regolari ex pontifici, membri della Guardia Civica e volontari, ammontano a circa 10.000 uomini, divisi in quattro Brigate: la prima è comandata da Garibaldi e deve difendere le mura cittadine da Porta S. Pancrazio (Gianicolo) a Porta Portese (Trastevere); la seconda, agli ordini del colonnello Luigi Masi, deve difendere le mura tra Porta Angelica e Porta Cavalleggeri; la terza, al comando del colonnello Savin, controlla la riva sinistra del Tevere: la quarta, al comando del colonnello Galletti, è di riserva in città.
Capo di Stato Maggiore è Carlo Pisacane e Ministro della guerra il generale Avezzana.
LA DIFESA DELLA REPUBBLICA
Intanto il Papa ha ottenuto l’aiuto militare del Regno di Napoli, dell’Austria, della Francia e della Spagna, che inviano i loro eserciti contro la Repubblica Romana. In particolare, l’Assemblea Nazionale Francese concede al Governo uno stanziamento di 1.200.000 franchi per finanziare una spedizione militare ‹‹rivolta non ad abbattere la repubblica Romana, ma a sostenere efficacemente la mediazione tra il papa ed i romani››.
La sera del 24 aprile, nel porto di Civitavecchia sbarcano circa 7.000 soldati francesi, con 26 cannoni, partiti il 22 aprile dal porto di Tolone, che sono in gran parte veterani della guerra di Algeria, al comando del generale Nicolas Charles Victor Oudinot il quale dichiara che il Governo francese intende ‹‹rispettare il voto delle popolazioni romane…e non imporre alcuna forma di governo che non sia da loro accettato››. Peraltro l’art. V del Preambolo della Costituzione francese del 4 novembre 1848 dispone che ‹‹la Repubblica rispetta le nazionalità estere…non intraprende alcuna guerra a fini di conquista e non adopera mai le sue forze contro la libertà di un popolo››.
Il generale Oudinot chiede però di occupare militarmente il Lazio, che serve alla Francia di poter avere una ‘legittima influenza’ sullo Stato pontificio. Naturalmente le proposte francesi non sono accolte dall’Assemblea Costituenteche il 26 aprile affida all’unanimità al Triumvirato il compito di ‹‹salvare la Repubblica e di respingere la forza con la forza››. Di conseguenza, il Ministro degli esteri francese Edouard Drouyn de Lhuys ordina al generale Oudinot di marciare su Roma con 6.000 uomini e senza cannoni, sperando in un ingresso pacifico nella città.
Il 30 aprile, alle ore 11, 6.000 soldati francesi arrivano sotto le mura aureliane a Porta Angelica ed a Porta Cavalleggeri, vicino al Vaticano. Il generale Oudinot pensa che i romani si arrenderanno subito senza opporre alcuna resistenza. Invece i patrioti romani della Guardia Civica, comandata da Ignazio Palazzi, si oppongono all’ingresso dei Francesi in città e resistono ai loro attacchi. Poco dopo i Francesi sono attaccati alle spalle da Garibaldi, che è sceso dal Gianicolo con i suoi Legionari e con il Battaglione universitario romano. Pertanto, Oudinot deve ordinare la ritirata verso Civitavecchia lungo la via Aurelia, dopo aver lasciato sul campo di battaglia circa 500 morti, 400 feriti e 360 prigionieri. Garibaldi li insegue con i suoi uomini fino al 20° Km della Via Aurelia (a Castel di Guido) dove è fermato dall’ordine dei Triumviri di ritornare in città. Infatti Mazzini, pensando ad un accordo con il Governo francese non intende ‘umiliare’ i soldati francesi, cosa che avrebbe provocato una durissima reazione francese ed avrebbe anche accelerato l’invasione del Lazio da parte degli Austriaci. Mazzini inoltre convince Garibaldi a liberare i prigionieri francesi. Oudinot ricambia liberando Ugo Bassi, catturato durante gli scontri a Roma, ed un Battaglione di bersaglieri che ha catturato a Civitavecchia. Nei giorni seguenti, il Presidente francese Luigi Napoleone Bonaparte decide di inviare rinforzi a Oudinot e manda a Roma, come ambasciatore e plenipotenziario per trattare con i Triumviri, il barone Ferdinand de Lesseps che parte da Tolone il 9 maggio. Intanto il 13 maggio si tengono in Francia le elezioni legislative. Uno dei principali argomenti del dibattito politico è la restaurazione del potere temporale del Papa. Le elezioni sono vinte dai monarchici e moderati, che conquistano 450 seggi su 750. Questo rafforza il Presidente Luigi Napoleone Bonaparte.
Intanto, il Triumvirato invita la popolazione alla lotta ed alla mobilitazione militare.
Gli ospedali e le farmacie sono requisiti.
Il 15 maggio, si chiudono le porte della città: nessuno può lasciare Roma, ad eccezione delle truppe.
Il 15 maggio arriva a Roma de Lesseps, che tratta ed ottiene una tregua di 20 giorni, fino al 4 giugno. Il Governo francese in realtà vuole solo guadagnare tempo per inviare i rinforzi militari al generale Oudinot.
Il 31 maggio il Triumvirato firma con de Lesseps un Trattato in base al quale la Francia assicura il suo appoggio militare per la difesa della Repubblica Romana ‹‹contro ogni invasione straniera››. Naturalmente il Trattato deve essere ratificato dal Governo francese, che non lo approva. In questo caso la tregua sarebbe durata altri 15 giorni dopo la comunicazione della non ratifica.
Intanto, il Re borbonico Ferdinando II, repressa l’insurrezione siciliana, con la resa di Palermo il 14 maggio, invia verso Roma un forte contingente di 8.500 soldati, con 52 cannoni e un reparto di cavalleria. Il Triumvirato decide quindi di muovere contro di loro le truppe repubblicane, guidate dal Comandante in Capo, generale Roselli. L’avanguardia dell’esercito borbonico, comandata dal generale Ferdinando Lanza, è sconfitta il 9 maggio a Palestrina dai legionari di Garibaldi e dai bersaglieri lombardi di Luciano Manara. Intanto l’esercito repubblicano, guidato dal generale Roselli, muove contro il grosso delle truppe napoletane, guidate dal Re Ferdinando II, che si trovano tra Velletri ed Albano, nei Castelli Romani. Però il generale borbonico Lanza decide di non combattere e si ritira verso Terracina. Garibaldi attacca i napoletani il 16 maggio a Velletri, poi li insegue oltre i confini dello Stato borbonico e li sconfigge di nuovo ad Arce (Frosinone). Manara occupa Frosinone il 24 maggio. Garibaldi vorrebbe continuare la lotta nel Regno delle Due Sicilie, ma il 26 maggio è di nuovo richiamato a Roma dal Triumviri, dato che sta per scadere l’armistizio con i Francesi, e rientra con Manara in città il primo giugno.
Il 28 maggio sbarcano a Gaeta circa 9.000 soldati Spagnoli, al comando del generale Fernando Fernandez De Cordova, Capitano Generale della Castiglia che offre il suo aiuto al generale Oudinot, il quale lo rifiuta avendo ricevuto i rinforzi. Infatti, a Civitavecchia sono sbarcati 24.000 soldati francesi, in gran parte reparti di truppe coloniali (i famosi zuavi), con circa 75 cannoni ed armati dei nuovi fucili a retrocarica (gli chassepots ). Quindi gli spagnoli si recano in Umbria, che non è stata occupata dagli Austriaci.
GLI AUSTRIACI INVADONO LA TOSCANA, LA ROMAGNA E LE MARCHE
Il 12 aprile 1849 la Repubblica toscana è rovesciata dai moderati che richiamano il Granduca ed affidano i poteri di governo al suo plenipotenziario Serristori, che arriva a Firenze il 4 maggio.
Intanto, all’inizio di maggio 1849, un forte contingente di soldati austriaci, guidati dal feldmaresciallo Costantin d’Aspre, invadono la Toscana, occupando Lucca il 5 maggio e Pisa il 6 maggio. Livorno resiste ed è bombardata, presa e saccheggiata il 10 maggio. Entrano poi a Firenze il 25 maggio, ponendola in stato d’assedio. Il Granduca Leopoldo II torna a Firenze il 28 maggio e riconosce la occupazione militare austriaca.
Intanto, un altro contingente austriaco di circa 15.000 soldati, guidati dal generale Wimpffen, arriva l’8 maggio 1849 a Bologna che è assediata e bombardata. Il 16 maggio la città, difesa da solo 4.000 volontari, si arrende.
In seguito gli Austriaci invadono le Marche. Occupano Pesaro, Fano, Senigallia
ed il 25 maggio arrivano ad Ancona che è posta in stato d’assedio. Difendono la città circa 4.000 volontari, originari di varie regioni, al comando del colonnello Livio Zambeccari. Il 27 maggio, dopo aver ricevuto rinforzi, gli Austriaci attaccano sia da terra che dal mare, bombardando la città con 10 navi da guerra. Il 17 giugno, dopo 23 giorni di assedio, la città accetta la resa, che è firmata il 19 giugno. I difensori della città ricevono l’onore delle armi da parte degli Austriaci. L’occupazione austriaca dura 10 anni, con il consenso delle autorità pontificie, durante i quali la repressione del dissenso è molto dura. In particolare, il 25 ottobre 1853 nel Lazzaretto sono fucilati 9 patrioti. Dopo l’unificazione d’Italia, la città riceve la medaglia d’oro come ‹‹benemerita del Risorgimento nazionale››.
LA DIFESA DI ROMA
Il 29 maggio il Presidente francese Luigi Napoleone Bonaparte ordina a Oudinot, che ha ricevuto i rinforzi ed ora dispone di circa 30.000 soldati (tre Divisioni al comando dei generali Auguste Regnaud de Saint-Jean d’Angely, Louis de Rostolan e Philippe-Antoine Gueswiller), di assediare Roma, ed all’ambasciatore de Lesseps di rientrare a Parigi, dove, indignato, si dimette dal servizio diplomatico.
Il primo giugno il generale Oudinot comunica al generale Roselli la fine della tregua e la ripresa delle ostilità per il 4 giugno. Però decide di prendere di sorpresa le truppe repubblicane e le attacca all’alba del 3 giugno 1849: il giorno precedente la fine della tregua !
I combattenti sono molto duri e cruenti. I repubblicani, asserragliati nelle ville ed edifici ubicati alla periferia Nord della città, vicino al Gianicolo (Villa Pamphili, Villa Il Vascello, Casino dei Quattro Venti, che costituiscono la linea di difesa più avanzata oltre le mura aureliane), tutte trasformate in fortilizi, oppongono una strenua resistenza. Per ben 30 giorni resistono ai numerosi e violenti attacchi delle truppe francesi; alcune ville (Villa Pamphili e Casino dei Quattro Venti) sono più volte prese dai Francesi e riconquistate dai repubblicani, e vicevrsa, dopo cruenti combattimenti corpo a corpo.
Nella notte tra il 21 e il 22 giugno i Francesi conquistano la prima linea di difesa esterna alle mura e con i cannoni iniziano a bombardare la città colpendo non solo molte abitazioni, ma anche alcuni monumenti, suscitando cosi lo sdegno degli stranieri e degli artisti che si trovano in città.
All’alba del 22 giugno le campane suonano a stormo per chiamare la popolazione romana alla difesa della città. Migliaia di cittadini accorrono in soccorso delle truppe repubblicane. Intanto l’Assemblea Costituente siede in permanenza dall’inizio dei combattimenti e dal 16 giugno ha iniziato a discutere il testo della Costituzione.
Il 26 giugno i Francesi attaccano la villa Il Vascello, che è l’ultimo baluardo fuori delle mura aureliane, a poche decine di metri dalla Porta San Pancrazio, difesa dai volontari guidati dal generale Giacomo Medici (che per la strenua difesa della villa, andata in gran parte distrutta, è nominato nel 1876 dal Re Vittorio Emanuele II Marchese del Vascello).
La situazione militare è ormai disperata. Garibaldi propone di attaccare di sorpresa le retroguardie Francesi, distruggendo le linee di rifornimento; Mazzini è d’accordo, ma Roselli si oppone. Garibaldi, profondamente rattristato per questo nuovo contrasto con il Comandante in Capo, lascia con i suoi ‘legionari’ la zona del Gianicolo assegnatagli. Luciano Manara però lo convince a riprendere il posto di combattimento con i suoi uomini che si presentano con la camicia rossa.
All’alba del 30 giugno i Francesi sferrano in forze l’assalto finale e riescono a sfondare le ultime esigue difese fuori delle mura cittadine, tenute ormai solo da poche centinaia di patrioti, che, finite le munizioni, attaccano fino alla fine i Francesi con la baionetta. Quel giorno cadono oltre 3.000 patrioti repubblicani e circa 2.000 Francesi. Il giorno dopo è stipulata una breve tregua per raccogliere i morti ed i feriti. La battaglia è ora concentrata in alcune ville ubicate subito all’interno delle mura aureliane.
La mattina del 30 giugno, Mazzini convoca il Consiglio di Guerra per riferire all’Assemblea Costituente cosa è meglio fare per la difesa della città. Prevale la proposta del generale Avezzana di resistere ad oltranza su quella di Mazzini, Garibaldi e Pisacane di uscire da Roma con le truppe rimaste per continuare la guerra nelle Province.
Poco dopo, però, l’Assemblea Costituente, ritenendo ormai impossibile la difesa della città, approva una Risoluzione con la quale si chiede ai Triumviri di trattare la resa con i Francesi.
Mazzini, costernando e sdegnato della decisione, scrive una dura lettera all’Assemblea, firmata anche dagli altri due Triumviri, con la quale tutti e tre si dimettono dalla carica, non essendo disponibili a trattare la resa con i Francesi.
L’Assemblea Costituente il 30 giugno incarica il Municipio di Roma di condurre le trattative con i Francesi per la resa.
Dopo alcuni incontri con il generale Oudinot, che detta sempre nuove condizioni, il Consiglio Comunale decide all’umanità, il primo luglio, di ‹‹cedere alla forza delle armi›› e di ricevere passivamente i Francesi. Anche l’Assemblea ed il Triumvirato accettano questa posizione ed ordinano alle truppe di non opporre alcuna resistenza ai Francesi.
La mattina del 1 luglio l’Assemblea elegge, a stretta maggioranza, un nuovoTriumvirato composto da Alessandro Calandrelli, Livio Mariani e Aurelio Saliceti. Il giorno seguente, 2 luglio, l’Assemblea conferisce loro i pieni poteri e dichiara Mazzini, Saffi ed Armellini ‹‹benemeriti della patria››; inoltre nomina Garibaldi Comandante in Capo, con poteri pari a quelli di Roselli. Garibaldi però ha maturato l’idea di lasciare la città con coloro che sono disponibili a continuare la guerra.
LA FINE DELLA REPUBBLICA
Il 2 luglio 1849 , Garibaldi, ritenendo ormai imminente l’ingresso delle truppe Francesi in città, a Piazza S. Pietro rivolge ai patrioti romani un accorato Appello per invitarli a seguirlo ed a continuare la lotta dicendo:‹‹ Io esco da Roma: chi vuole continuare la guerra contro lo straniero, venga con me…non prometto paghe, non ozi molli. Acqua e pane quando se ne avrà››. Da appuntamento alle 18 a Porta S. Giovanni, dove trova circa 4.000 patrioti, di cui 800 a cavallo. Ci sono anche il frate barnabita Ugo Bassi ed il popolano Angelo Brunetti detto Ciceuracchio, animatore dei volontari trasteverini.
Alle 20 lasciano la città diretti in Umbria per cercare di sollevare le Province. Essendo risultata vana questa operazione, la maggior parte dei volontari tornano alle loro case. Garibaldi decide quindi, con le poche centinaia di patrioti che ancora lo seguono, di andare in soccorso della Repubblica Veneta, che resiste ancora agli Austriaci, che peraltro lo inseguono, per cui il 31 luglio deve rifugiarsi nella Repubblica di San Marino. In seguito raggiunge Cesenatico da dove cerca con una flotta di barche da pesca di raggiungere Venezia, che è assediata, ma gli Austriaci glielo impediscono. I patrioti si disperdono. Alcuni sono catturati e fucilati dagli Austriaci (tra i quali Ciceruacchio con il figlio Lorenzo ed il barnabita Ugo Bassi). Durante la riturata, Anita, la moglie di Garibaldi, muore nella pineta di Comacchio. Garibaldi riesce in modo avventuroso a raggiungere Follonica (Toscana) da dove si imbarca per la Liguria.
Intanto la notte del 2 luglio, i deputati dell’Assemblea Costituente, riuniti in permanenza nell’aula del Palazzo Senatorio sul colle del Campidoglio, approvano solennemente, dopo due settimane di dibattito, la Costituzione repubblicana, che riconosce i fondamentali diritti di libertà. La Costituzione è proclamata solennemente al popolo la mattina del 3 luglio, sulla piazza del Campidoglio.
La Costituzione stabilisce importanti diritti. In campo religioso è attuato il principio della laicità dello Stato e della ‹‹libera chiesa in libero Stato››, lasciando al clero assoluta libertà in campo spirituale in cambio della rinuncia ad ogni ingerenza nella vita politica dello Stato. Inoltre, si riconoscono i diritti fondamentali agli ebrei, che possono abitare fuori dal ghetto. Viene stabilita la libertà di culto (i cittadini possono scegliere tra il cattolicesimo e l’ebraismo; invece gli stranieri possono aderire a qualunque religione ed anche essere atei, come sono alcuni dirigenti della Repubblica come Pisacane)
Viene abolita la pena di morte (è il secondo Stato al mondo ad abolirla, dopo il Granducato di Toscana che l’ha abolita il 30 novembre 1786).
Sul piano politico, si riconoscono le libertà di opinione e di associazione ed il suffragio universale maschile (però il voto non è vietato alle donne, anche se di fatto non viene da loro esercitato) con il diritto di votare al compimento dei 21 anni e con la eleggibilità a 25 anni. Si stabilisce la divisione dei tre poteri legislativo (che spetta alla Assemblea), esecutivo (che compete ai Consoli ed al Ministero) e giudiziario (che spetta alla Magistratura, che è indipendente).
Nel pomeriggio del 3 luglio i Triumviri inviano ai Presidi (Capi) delle Province un proclama con il quale annunciano la fine della Repubblica. Quindi nominano Carlo Luciano Bonaparte, principe di Canino, uno dei membri più autorevoli dell’Assemblea Costituente, ambasciatore presso i Governi di Francia, di Inghilterra e degli Stati Uniti nell’estremo tentativo di perorare la sopravvivenza della Repubblica.
Alle ore 18 del 3 luglio, le truppe francesi, guidate dal generale Oudinot, entrano in città dalla Porta del Popolo.
Il giorno seguente reparti francesi occupano la sede dell’Assemblea Costituente sul Campidoglio e quella del Triumvirato nel Palazzo del Quirinale e sciolgono i due organi. Il generale Oudinot impone la legge marziale in città e nomina Governatore il generale De Rostolan; inoltre vieta la stampa di ogni pubblicazione e fa celebrare un solenne Te Deum nella Basilica di S. Pietro.
Sempre il 4 luglio, l’ambasciatore francese, Conte de Rayneval ed il Commissario De Corcelles, che ha condotto le trattative di resa insieme ad Oudinot, formano un nuovo Governo.
Il 5 luglio, Mazzini rende pubblico un proclama ai Romani nel quale afferma che ‹‹la Repubblica romana vive eterna e inviolabile›› ed esprime la speranza di poterla ricostituire.
Nella difesa di Roma perdono la vita migliaia di patrioti, tra i quali il poeta Genovese Goffredo Mameli (autore dell’inno Fratelli d’Italia ), Enrico Dandolo e Emilio Morosini (ufficiali dei bersaglieri lombardi di Manara), Francesco Daverio (Capo di Stato Maggiore dei legionari garibaldini), Angelo Masini (comandante dei lancieri bolognesi), Enrico Cernuschi (responsabile della Commissione barricate). Negli scontri sono feriti anche Nino Bixio (stretto collaboratore di Garibaldi) e Luciano Manara (che muore alcuni giorni dopo per le gravi ferite riportate).
Nella difesa di Roma si prodigano le infermiere delle ‘ambulanze’, coordinate dalla principessa milanese Cristina Trivulzio di Belgioso, da diversi anni fervente patriota contro l’Austria, già impegnata nella Cinque Giornate di Milano.
LA RESTAURAZIONE DEL POTERE TEMPORALE DEL PAPA
Il 14 luglio 1849 il Comando militare francese proclama la restaurazione del potere temporale del Papa ed ordina agli ex dirigenti della Repubblica Romana di lasciare la città entro 24 ore. Mazzini parte la sera stessa.
Lo stesso giorno il Prefetto di Polizia ordina la chiusura di tutti i giornali ad eccezione del Giornale di Roma. E’ la fine della libertà di stampa.
Il 2 agosto una Commissione pontificia, composta da tre Cardinali, annulla tutti i provvedimenti emanati dalla Repubblica Romana, dichiarandoli ‹‹nulli e di niun effetto››.
Il 12 settembre 1849 il Papa ripristina le norme antiebraiche: inizia cosi di nuovo l’intolleranza religiosa e la segregazione civile e politica della Comunità ebraica romana che ha partecipato attivamente alla vita della Repubblica.
La segregazione degli ebrei terminerà solo con la ‘liberazione di Roma’, con l’ingresso in città dei bersaglieri piemontesi dalla ‘Breccia di Porta Pia’, il 20 settembre 1870.
Il 12 aprile 1850, quando la situazione è ormai ‘normalizzata’, non solo in città ma anche in tutto lo Stato Pontificio, Pio IX ritorna a Roma.
CRONOLOGIA ESSENZIALE
1846
16 giugno- Giovanni Mastai Ferretti, Vescovo di Imola, è eletto Papa (Pio IX)
17 luglio- Il Papa concede l’amnistia anche ai prigionieri ed esiliati politici
1847
15 marzo- Si riconosce una limitata libertà di stampa
14 aprile- Si annuncia la costituzione di una Consulta di Stato, che è insediata il 15 novembre, presieduta dal Cardinale Antonelli
12 giugno- E’ istituito il Consiglio dei Ministri
18 giugno- Gli ebrei sono autorizzati a abitare fuori del ghetto, istituito nel 1555
5 luglio- E’ istituita a Roma la Guardia Civica, che entra in servizio il 15 luglio
Agosto-settembre- Grandi manifestazioni inneggianti al Papa in tutta l’Italia
1 ottobre- E’ istituito il Comune di Roma
23 dicembre- E’ riordinato il Governo pontificio, con 9 Ministri, in parte laici
1848
10 marzo- E’ costituito un nuovo Governo, composto prevalentemente da laici
14 marzo. E’ pubblicato lo Statuto fondamentale degli Stati della Chiesa
29 aprile. Allocuzione del Papa contro al guerra . I laici escono dal Governo
13 maggio- E’ costituito l’Alto Consiglio (organo legislativo di nomina pontificia)
18-20 maggio- Elezioni per il Consiglio dei Deputati (organo legislativo elettivo)
16 settembre- Nuovo Governo, presieduto da Pellegrino Rossi, ucciso il 15 novembre
12 novembre- E’ istituita dal Consiglio dei Deputati la Giunta Suprema di Stato
24 novembre- Il Papa fugge a Gaeta
28 dicembre- Sono sciolti l’Alto Consiglio ed il Consiglio dei Deputati
1849
21 gennaio- E’ eletta l’Assemblea Costituente, che si riunisce il 5 febbraio
9 febbraio- E’ proclamata solennemente in Campidoglio la Repubblica Romana
29 marzo- Costituzione del Triumvirato con Mazzini, Armellini e Saffi
20 aprile- Il Papa chiede alle potenze cattoliche aiuto per ritornare a Roma
30 aprile- Primo attacco a Roma delle truppe francesi, sbarcate il 24 a Civitavecchia
9 maggio- I napoletani sono sconfitti a Palestrina ed il 17 a Velletri
19 maggio- La Repubblica sottoscrive una tregua con i francesi fino al 4 giugno
3 giugno- I francesi attaccano di nuovo Roma, violando la tregua
1 luglio- Il Comune di Roma, incaricato delle trattative, firma la resa
2 luglio- Garibaldi lascia Roma con 4.500 uomini per continuare la lotta
3 luglio- La mattina è proclamata solennemente in Campidoglio la Costituzione
La sera, il gen. Oudinot entra in città dalla Porta del Popolo, con le truppe
4 luglio- I francesi occupano la sede dell’Assemblea Costituente e del Triumvirato e
costituiscono un nuovo Governo
5 luglio- Proclama di Mazzini ai romani con la speranza di ricostituire la Repubblica
14 luglio- I Francesi restaurano il potere temporale del Papa ed invitano i dirigenti
della Repubblica di lasciare la città. Mazzini parte la sera stessa
2 agosto- Una Commissione pontificia di 3 Cardinali, annulla tutti i provvedimenti
emanati dalla Repubblica
12 settembre- Il Papa ripristina le norme antiebraiche, ordinando agli ebrei di ritornare a vivere dentro il ghetto, anche se non aveva più le mura che lo dividevano dalla città.
1850
12 aprile- l Papa Pio IX ritorna a Roma