Proviamo dunque a ripartire dalla Costituzione.
Art. 49: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.
Bene, ma nel testo non ci sono riferimenti o rinvii al “modo” di finanziare i partiti.
Da qui parte il tentativo ondivago del nostro legislatore a disciplinare la materia, come abbiamo visto nella prima puntata di questo articolo.
La riforma Letta
Abbiamo approfondito le diverse norme che si sono succedute nel tempo, fino all’ultima riforma del governo Letta, entrata in vigore nel 2014.
“Con la riforma – ha scritto recentemente Enrico Letta in una sua lettera aperta al quotidiano La Repubblica – si poneva il cittadino, la sua libera scelta, al centro del sistema. Si passò da un finanziamento pubblico basato sui rimborsi elettorali dati dal Tesoro ai partiti ad un sistema fondato sul 2×1000 deciso autonomamente dai cittadini. Entrambi – i rimborsi elettorali e il 2×1000 – sono imperniati su fondi pubblici, non privati. Quelle del 2×1000 sono infatti risorse che il contribuente, nella sua dichiarazione dei redditi, invece che allo Stato destina (come già per il 5×1000 e per l’8×1000) ad attività considerate “costituzionalmente essenziali”. La verità è che il modello dei rimborsi elettorali non ha garantito il rispetto dei criteri di trasparenza, correttezza, proporzionalità. Era un sistema che i partiti gestivano per sé e da sé. E in tanti, troppi casi, il meccanismo ha dimostrato di non funzionare, contribuendo ad acuire la distanza tra cittadini e partiti”.
Con la riforma Letta si metteva dunque fine al vecchio sistema che aveva bruciato, secondo gli ultimi calcoli, 20 miliardi di euro in vent’anni, sostituendolo con un nuovo regime basato su due strumenti: il versamento volontario ai partiti del 2×1000 dell’Irpef e le donazioni con agevolazioni fiscali.
Il risultato è stato catastrofico per i partiti.
Dagli 88.6 milioni di euro del 2013 si è scesi ai 39.6 milioni di euro del 2018. Inoltre è emerso un dato non secondario: il 44% dei contribuenti, quasi la metà, ha deciso di non destinare nulla ai partiti politici.
Le donazioni sono via via cresciute ma siamo ben al di sotto delle stime fatte dallo stesso Decreto Letta che ipotizzava 50 milioni di euro l’anno. Sono attualmente intorno ai 20 milioni.
Il vero finanziamento privato si dirige verso fondazioni, comitati elettorali, singoli candidati, ha registrato l’Istituto OpenPolis, autore di molte ricerche in materia.
Di qui il proliferare di think-thank vicini ai partiti che infatti sono stati finanziati per l’85% da figure non istituzionali.
Il dato non è preciso visto che sino a due anni orsono solo il 10% di questi organismi pubblicava i propri bilanci.
Bisognerebbe “fare le pulci” ad oltre 6.000 fondazioni e associazioni varie, enti in cui al loro interno figurano 56.000 politici di ogni livello, attivi negli ultimi 5 anni in Italia.
“Non sono tra quelli che non riconoscono i propri errori – ha scritto Enrico Letta – so che la riforma introdotta dal mio governo è lungi dall’essere perfetta. Può e deve essere migliorata con sempre maggiori iniezioni di trasparenza. Ma in questo caso sostengo con forza lo spirito di quella scelta: è il cittadino che decide, è il cittadino che vota. Questa sua centralità è la bussola che, a mio avviso, deve animare ogni intervento che miri a rendere la democrazia più solida e ispirata all’interesse generale”.
La terra “di mezzo” delle donazioni
Proprio in questo settore si sono accesi recentemente i riflettori della Procura di Firenze.
Per legge, il controllore pubblico esiste e dovrebbe vigilare proprio sulla trasparenza e tracciabilità dei flussi di denaro che girano intorno e dentro le fondazioni e associazioni in cui direttamente o indirettamente sono coinvolti degli uomini politici.
I cinque magistrati che, per legge, dovrebbero monitorare questa galassia di oltre 6.000 veicoli giuridici, hanno già alzato bandiera bianca: “Senza risorse e mezzi è impossibile svolgere il nostro ruolo con autonomia e indipendenza” hanno scritto in una relazione i membri della Commissione di Garanzia nominata dai presidenti di Camera e Senato.
Anche in questo caso, il legislatore è stato negli ultimi mesi ondivago, confuso e contraddittorio.
Con la legge Spazza Corrotti del febbraio 2019, il legislatore aveva pensato di equiparare, per gli obblighi di pubblicità, questi organismi (fondazioni e associazioni) ai partiti tradizionali, con una definizione piuttosto ampia: “Tutte quelle strutture i cui organi direttivi sono composti per 1/3 da persone che hanno avuto incarichi politici negli ultimi 6 anni”.
Quindi, appunto, quasi 54.000 persone fisiche.
Come è finita la norma?
Inevitabilmente in un fallimento: “Ci troviamo di fronte ad una norma scritta male – ha detto recentemente Vincenzo Smaldore, responsabile di OpenPolis – e con un organo di controllo che non ha gli strumenti per vigilare”.
Dovrebbe essere infatti la Commissione di Garanzia, nominata dal Parlamento, a sanzionare tutti quegli enti che non depositano bilanci e non forniscono l’elenco dei finanziatori.
Alla fine però la Commissione si è arresa e non è rimasta altra soluzione che chiedere aiuto agli stessi partiti che dovrebbero autocertificare i rapporti con questo o quell’ente.
Siamo, in definitiva, tornati ad un regime di autocertificazione che non dà adeguate garanzie di trasparenza.
Ma vi è di più.
Con il Decreto Crescita del giugno 2019, le norme sulle fondazioni e associazioni sono diventate meno rigide e la loro introduzione, rinviata, ha di fatto evitato la concreta presentazione dei finanziamenti ricevuti nel 2019, spostando il tutto al 2020 con la rendicontazione nel 2021.
I punti di contatto fra la politica e le strutture “parallele” sembrano ormai chiari ed assodati.
Proprio recentemente, Emanuele Lauria, su Repubblica, registrava il fatto che ben 9 ministri dell’attuale governo Conte 2 hanno un ruolo diretto in una o più fondazioni.
Alcuni autorevoli pareri
“Chi decide che cosa sia un partito?” si chiede il costituzionalista Michele Ainis. “A chi spetta definirlo? Non alla magistratura ha obiettato Renzi, ma certo alla politica magari scrivendolo in modo chiaro in una apposita normativa. Tuttavia la legge sui partiti non c’è e latita da oltre 70 anni”. “L’integrità dell’agire politico – ha sottolineato Ainis – dipende dagli strumenti con i quali la politica si procura voti e quattrini. Dal 2013 abbiamo cancellato il finanziamento pubblico ai partiti: un errore, perché li abbiamo costretti a mendicare risorse dai privati, spesso in cambio di inconfessabili favori. Dal 1948 attendiamo una legge sui partiti: un altro errore, perché questa lacuna significa che non c’è trasparenza nella loro vita interna, né garanzie democratiche sul processo con cui ciascun partito assume le proprie decisioni. Eppure – conclude il suo ragionamento Ainis – la nostra Costituzione, all’art. 49, offre un ombrello ai partiti, non ai movimenti. Da qui un dubbio sulla perdurante attualità di questa norma. Perché i partiti ormai non rappresentano “l’ossatura politica del popolo” come diceva Montesquieu. E perché l’energia dei movimenti dovrà pur trovare, prima o poi, uno sbocco istituzionale, una patente di legittimità. Altrimenti l’energia spenta dei partiti spegnerà le stesse istituzioni”.
Un altro soggetto che conosce bene la materia è Primo Greganti, per 14 anni responsabile della Federazione torinese del Partito Comunista e condannato per tre anni nell’ambito dell’inchiesta Mani Pulite per il finanziamento illecito ai partiti.
Greganti ha le idee chiare in materia: “Alla lunga, costa meno finanziare la politica rispetto al non finanziarla. O meglio – ha detto a Fabio Martini della Stampa – come per l’ambiente: un investimento pubblico consente di preservare e non deteriorare una risorsa che è di tutti. Se la politica si indebolisce, diventa subalterna ad altri interessi, che non sono quelli del Paese. Per far funzionare una moderna democrazia c’è un costo pubblico da sostenere che aiuterebbe a prevenire altri costi. Mettere mano al finanziamento e al funzionamento della democrazia in tempi come questi è però molto difficile. Occorre misurarsi con un populismo che attraversa la società. Far riflettere la gente, oggi, è difficile”.
Greganti fa anche un’ipotesi per risolvere il problema: “Il finanziamento ai partiti dovrebbe rispondere a due criteri essenziali. Che sia un finanziamento alla democrazia, quindi a strutture che consentano un rapporto con i cittadini. Attività editoriali, sedi, scuole di partito. Tutto questo può essere parzialmente aiutato da un sostegno pubblico. Secondo criterio: un partito deve avere le funzioni che prevede la Costituzione, tornare ad essere anche una grande scuola civica e comportamentale. Con organismi dirigenti che si assumano le loro responsabilità”.
Le nuove norme del Decreto Crescita
Abbiamo provato a leggere il testo del Decreto Crescita e abbiamo preso atto che ormai, quando entrerà in vigore la norma, partiti e fondazioni dovranno sottostare alle stesse regole.
Tutto dovrà essere trasparente oltre i 500 euro versati. Innanzitutto per quelle fondazioni o associazioni che sono dirette emanazioni dei partiti, perché “gli organi direttivi o di gestione” sono deliberati dai partiti stessi.
Ma sono equiparati ai partiti anche le fondazioni/associazioni “i cui organi direttivi sono composti per 1/3 da esponenti di partito” che nei sei anni precedenti siano stati parlamentari nazionali o europei. Rimangono fuori da questo perimetro le cariche politiche locali per comuni al di sotto dei 15.000 abitanti.
Un’ultima personale annotazione: nessuno, per ora, ha pensato di utilizzare il modello di gestione del fenomeno del finanziamento alla politica adottato, per esempio, da molti anni negli Stati Uniti: i cosiddetti PACS. Una forma di comitati autonomi e indipendenti di cittadini che si occupano di raccogliere fondi e di destinarli, secondo parametri scritti da loro decisi, al sostegno di più candidati alle elezioni, anche di partiti diversi.
Questo modello potrebbe rappresentare l’inizio di una politica mirata a spezzare il legame tra il grande donatore e il ricevente. Consentirebbe – come ha scritto Raffaelle Picilli nel suo volume “Come raccogliere i fondi per la politica” – una maggiore autonomia, una completa trasparenza e il riappropriarsi da parte dei cittadini della politica.
In caso contrario, le altre strade da percorrere si riducono al finanziamento pubblico oppure … all’aumento dei fenomeni corruttivi.
Riccardo Rossotto