Con “Le mattine al Café Rostand” di Ismail Kadare, edito da La Nave di Teseo e la traduzione di Liljana Cuka, abbiamo una sorta di autobiografia intellettuale del grande scrittore albanese. Trasferitosi a Parigi nel 1990, in pieno caos seguito alla morte, nel 1985, del dittatore Enver Hoxha,  lo vediamo gustarsi la libertà e il piacere di muoversi per la capitale francese, mentre la memoria a ritroso lo riporta al suo triste passato nell’Albania comunista. Passato caratterizzato, sì, da un certo privilegio di casta dovuto al suo essere scrittore, ma, pure, obbligato a non uscire, nelle sue opere e comportamenti, dai canoni artistici imposti dal Partito che sorvegliava ogni aspetto della sua attività così come delle relazioni che allacciava.  E molte di queste erano con il mondo letterario ed editoriale francese che gli valse, già sotto la dittatura, a molti inviti  da parte della Francia (Kadare racconta anche che, grazie al fatto che tutti i giornalisti francesi che passavano per Tirana chiedevano alle autorità di lui, queste ultime per non far sfigurare il regime erano costrette a dargli un appartamento doppio del bilocale in cui viveva). Inviti che egli non ricevette né vide mai, per il semplice motivo che il Ministero degli Esteri li intercettava prima, provvedendo i funzionari dello stesso a rispondere a suo posto. “Le ragioni addotte in genere riguardavano lo stato di salute” racconta Kadare. Se l’invito era esteso anche alla moglie la risposta di rifiuto ufficiale era più semplice: la donna era in stato interessante. “Secondo i miei calcoli, la tua cara Helena deve aver messo al mondo trenta pupetti” gli avrebbe raccontato un giorno il suo editore francese. Ma altre risposte di diniego furono più buffe. Una per tutte quando Kadare fu invitato a Parigi per ricevere la Legion d’Onore, e la risposta che il Ministero diede a nome di Kadare stesso fu negativa perché, essendo egli ufficiale di riserva, la legge del paese gli vietava il cumulo di cariche con un grado militare straniero.  “Sforzandomi di restare serio, risposi al capo servizio che si trattava della Legion d’Onore, che era un’onorificenza e non della Legione Straniera”. 

Una volta, misteriosamente, gli fu concesso di partire.  Giunto a Parigi, l’ambasciatore albanese che era venuto a prenderlo all’aeroporto, chiese allo scrittore la cortesia di fargli vedere, per pura curiosità, l’invito.  Racconta Kadare:  “Mi ci volle un po’ di tempo per dirgli che non l’avevo. Il suo stupore fu massimo, quando gli spiegai che non l’avevo neppure letto, per la semplice ragione che non l’avevo mai visto. Mi guardò con la coda dell’occhio come se avesse a che fare con un pazzo. Mi aspettavo che dicesse: mi prendi in giro? Sei a Parigi, dove è impossibile arrivare persino con cento inviti e duecento timbrature, e ti vanti di non aver visto l’invito con i tuoi occhi?”.  A quel punto, Kadare vide negli occhi dell’ambasciatore il terrore, per il dubbio che “questo viaggiatore” fosse lì se non altro che per controllare l’operato dell’ambasciatore stesso, col rischio di cadere in disgrazia. Tornato in patria dopo il soggiorno parigino lo scrittore s’interessò sui motivi che gli avevano permesso di partire. E ottenne la risposta:  il Ministero degli Esteri era venuto a sapere che “il nemico”, cioè l’Occidente in quel momento nelle vesti della Francia ,“faceva congetture a proposito di questo invito, e che loro, per chiudergli la bocca, avevano deciso di farmi partire”

Ora, caduto il comunismo, ogni vincolo era sparito. Vediamo pertanto in questo libro Kadare godersi liberamente le sue mattinate, seduto a scrivere al Café Rostand, incontrarsi con Costa-Gravas oppure con Modiano e Le Clezio, futuri premi Nobel, con gli editori Flayard e Flammarion, andare a cena in rue Monsieur le Prince 48, con Colette D., conosciuta in casa di Pierre Sipriot, il direttore di Hachette Littérature, passando per i mitici Café Flore o al Deux Margot, ritrovi di scrittori come Sartre e Simone de Beauvoir, andare al Theatre dell’Odeon, chiedere dove veniva a scrivere e a bere Hemingway. “Frequentava un altro locale, la Closerie des Lilas, dieci minuti a piedi da qui…”

C’è in questi e tanti altri incontri una sorta di autocompiacimento, soprattutto quando sono gli scrittori e gli editori francesi a venire in cerca di lui, quasi incredulo per tanta fortuna dopo una vita sostanzialmente di confinato. 

Quella vita a cui altri racconti autobiografici lo riportano con la memoria, a cominciare da altri viaggi, tutti contrassegnati da situazioni kafkiane (forse per questo egli parla di se stesso come del “signor K.”). Come quella volta che viene mandato in premio a Mosca, ospite dell’Istituto Gor’kij,  presentatogli come il sogno di tutti i giovani scrittori “Lì a Mosca” gli dicono “nella scuola dove andrai, vengono preparati gli scrittori che stanno in prima linea nella nostra offensiva… Capisci cosa voglio dire? Sarete voi a mettere in ginocchio il decadentismo mondiale!”. Una sorta di “voke” ante litteram di quanto assistiamo, ahimè, oggi, anche nel mondo occidentale con le critiche e le censure, quando non il ritiro dalle librerie e biblioteche, delle opere di scrittori, come Faulkner o Philip Roth o Jane Austen, ma anche Omero e Dante, ritenute non allineate all’attuale visione del cosiddetto politically correct . 

Kadare, ospite all’Istituro Gor’kij racconta di una censura subita da uno scrittore albanese la cui opera era stata pubblicamente elogiata da Kadare. Non l’avesse mai fatto! Eccolo richiamato in patria con “l’indicazione di aspettarsi il giorno successivo l’analisi del ‘grave errore ideologico’”. Le punizioni che ci aspettava poi erano il carcere o il confino, ma mai ufficialmente in base a motivazioni ideologiche, attento com’era il regime a non dare al mondo l’impressione di incarcerare i suoi poeti e scrittori, per cui formulavano altri capi d’accusa come “il gioco d’azzardo, il lassismo morale, l’omosessualità erano tra le accuse più frequenti, e persino la combustione volontaria di mucchi di fieno nelle cooperative”. Un mondo tragico, kafkiano e orwelliano insieme, che Kadare ben coniuga nelle pagine di questo suo libro alla felicità e libertà parigina, con le sue mattine a scrivere e gli incontri al Café Rostand, grato alla Francia per tutto quello che gli ha dato.

Diego Zandel

(Ismail Kadarè, Le mattine al Café Rostand, La Nave di Teseo, pag. 299, € 20)

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