Qualcuno l’ha osannata. Qualcun altro l’ha criticata. Il fatto incontestabile è che, nel bene o nel male, Giorgia Meloni, con l’incontro con Donald Trump, è balzata al centro della scena internazionale, come non capitava da tempo (direi da molto tempo) a un politico italiano. Volendo parlare del nostro (o della nostra) Presidente del consiglio, non potevo esimermi da fare un accenno alla notorietà che si è guadagnata a livello planetario.

Però, come ho scritto nello scorso editoriale, non ho la competenza per scrivere di politica internazionale. E, quindi, me ne astengo. A proposito di Giorgia Meloni, vorrei parlare invece di un episodio avvenuto poco prima del suo scambio di opinioni con il 45esimo e 47esimo Presidente degli Stati Uniti e che riguarda un altro capo di stato, sua Maestà Britannica Carlo III.

Mi riferisco al dono di due barattoli personalizzati di Nutella alla coppia regale inglese. Su questo omaggio si è scatenata una piccola bufera. Giorgia Meloni è stata contestata per aver presentato, come simbolo del Made in Italy, il prodotto di un’azienda che è ardito considerare ormai italiana a pieno titolo. La holding generale del gruppo, Ferrero International, cui fanno capo le società operative, ha sede in Lussemburgo.

Dei circa 40 stabilimenti produttivi sparsi per il mondo, in Italia ce ne sono quattro, così come dei quasi 50 mila dipendenti, nel nostro Paese se ne contano meno di 8 mila. Oltre a questo, Fedesa, la cassaforte della famiglia Ferrero, ha sede nel Principato di Monaco. Secondo i “contestatori del dono regale”, sarebbe stato più opportuno omaggiare Re Carlo e la Regina Camilla con il prodotto, sicuramente di qualità superiore, di una delle numerose piccole o medie aziende di eccellenza, che operano totalmente in Italia, dove mantengono anche la sede legale (e fiscale).

A parte le questioni societarie, la vicenda dei barattoli ha riacceso una pluridecennale polemica sulla social responsibility della Ferrero. Da un lato, il gruppo vanta una tradizione positiva di impegno nel sociale e di gestione dei rapporti con i dipendenti. Dall’altro c’è chi ritiene i suoi prodotti e, in particolare proprio la Nutella, come uno dei simboli non del Made in Italy, bensì del cibo spazzatura.

Scrive ad esempio, sulla sua pagina Facebook, Guido Mattioni, giornalista di lungo corso e apprezzato divulgatore di quanto concerne il rapporto cibo/salute “Una (ndr. riferito a Meloni) che annuncia trionfante di aver regalato a un capo di Stato in visita ufficiale, ma malato di cancro, un vasetto di crema industriale fatta al 57% da zucchero e al 20% da olio di palma, conferma che Flaiano aveva sempre ragione (ndr. riferito a opinioni non lusinghiere di Flaiano sull’intelligenza umana)…

Re Carlo è purtroppo un malato di cancro metastatico.La premier avrebbe potuto fargli dono di un cesto con olio extravergine d’oliva (che, tra l’altro, è presidio medico), broccoli, cipolle e altre verdure bio dai poteri antiossidanti. Ma anche noci, mandorle e altra frutta secca nazionale ricca di minerali e grassi buoni, senza dimenticare del vero grano antico italiano. No, a un malato oncologico lei ha fatto dono di una ‘cosa’ industriale iper-processata, per fare uno spot gratuito a una singola azienda e dando nello stesso tempo un bel ceffone ai nostri agricoltori”.

Più in generale si potrebbe aprire un dibattito di ampio respiro sul seguente tema: un’azienda per essere giudicata socialmente responsabile deve prestare attenzione anche ai suoi prodotti. Che, in particolare non devono essere inquinanti. Perché questo principio sembra essere trascurato nel settore alimentare, dove i leader di mercato propongono per lo più prodotti ad alto contenuto di zuccheri, di grassi, di olio non evo e così via, e quindi poco salubri?

Milo Goj

Milo Goj

Milo Goj, attuale direttore responsabile de L’Incontro, ha diretto nella sua carriera altri giornali prestigiosi, come Espansione, Harvard Business Review (versione italiana), Sport Economy, Il Valore,...

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