Si è aperto uno spiraglio nella vicenda di Giulio Regeni. Con una decisione “creativa”, il Tribunale di Roma, su richiesta dell’avvocato che assiste la famiglia, ha deciso, nei giorni scorsi, di convocare il Presidente del Consiglio e il Ministro degli Esteri per aggiornamenti sui colloqui politici intervenuti con le autorità egiziane. Giorgia Meloni e Antonio Tajani, il prossimo 3 aprile, dovranno testimoniare in aula in merito alla disponibilità a collaborare con le autorità italiane che avrebbe espresso il Presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, proprio negli incontri ufficiali intervenuti con i nostri rappresentanti.
Una collaborazione più volte millantata e mai realizzata in merito alla irreperibilità dei quattro agenti dei servizi segreti egiziani responsabili di aver torturato e ucciso nel 2016 Giulio Regeni. Il non aver mai risposto alle richieste delle autorità italiane, ha sostanzialmente fatto sì che il processo sia finito su un binario morto: le mancate notifiche agli imputati infatti creano una situazione tale per cui il processo non può neanche iniziare. Di qui la brillante soluzione, innovativa, adottata dal Presidente del Tribunale di Roma, quella, cioè, di responsabilizzare il nostro Presidente del Consiglio e il Ministro degli Esteri a confermare che, effettivamente, nonostante le condotte finora contrarie, la massima autorità politica egiziana avrebbe rassicurato i nostri leader politici di una futura e per ora mai avvenuta collaborazione.
In caso contrario la giustizia italiana avrebbe le mani legate
Come scritto già il 3 gennaio del 2021, dall’ex magistrato Vladimiro Zagrebelsky, esisterebbe però un’altra strada giudiziaria possibile per portare in Tribunale i presunti responsabili dell’assassinio del giovane cittadino italiano. Visto che la soluzione giudiziaria oggi non presenta possibili risoluzioni, bisogna cercare, a livello governativo una soluzione nell’ambito degli obblighi di assistenza e cooperazione dei paesi sottoscrittori di Convenzioni Internazionali, come quella contro la tortura del 1984, ratificata dall’Egitto nello stesso anno e dall’Italia nel 1988.
La convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura impegna gli Stati sottoscrittori ad impedire che atti di tortura siano commessi nel proprio territori; gli Stati sono obbligati altresì a svolgere indagini efficaci e indipendenti, dando la più ampia assistenza giudiziaria in qualsiasi procedimento penale relativo alla tortura, comunicando tutti gli elementi di prova esistenti. Come sottolineato da Zagrebelsky, la violazione da parte dell’Egitto di questi obblighi internazionali è ormai accertata.
Il Governo della Meloni potrebbe attivare quindi tutti gli strumenti previsti dalla predetta convenzione per ottenere una condanna che obblighi le autorità egiziane a fornire i nominativi e le residenze dei quattro imputati dell’omicidio Regeni, in modo tale da poterli notificare l’avviso di garanzia. La convenzione contro la tortura prevede che una controversia, non risolvibile a livello stragiudiziale, sia sottoposta ad arbitrato. Se non si giungesse all’organizzazione dell’arbitrato, per qualsiasi motivo, ciascuna parte potrebbe sottoporre la controversia alla Corte Internazionale di Giustizia, quella che decide le controversie internazionali.
Dunque lo strumento giudiziario alternativo esiste
Stiamo a vedere cosa testimonieranno la Meloni e Tajani il 3 aprile, dopo di che sarà necessario, da parte dei media e dell’opinione pubblica spingere il nostro governo ad attivare la procedura individuata da Zagrebelsky. La domanda però rimane una sola: l’Italia che ha numerosi ed importanti interessi economici con l’Egitto avrà il coraggio di avviare un contenzioso internazionale contro uno Stato con il quale ha dossier rilevanti che riguardano gas, forniture militari, contrasto al terrorismo, migranti e soluzione della questione libica? “Se l’Italia con l’Egitto si dimostra debole e rassegnata – ha scritto Zagrebelsky – la sicurezza dei suoi cittadini, anche in quei paesi, è messa a rischio. Non dovrebbe passare l’idea che ‘con l’Italia si può fare?”.
Riccardo Rossotto