Nella ultime settimane la discussione legata alla pandemia si concentra sui vaccini e sulla loro mancanza.
Alcuni paesi sono i più virtuosi, con Israele in testa, ma anche USA e UK. L’Europa va a rilento e crescono le polemiche sulla sua gestione: poco trasparente e lacunosa.
Nel frattempo proseguono le chiusure delle regioni, delle attività economiche e le restrizioni delle libertà dell’umanità.
Nei giorni scorsi notizie come: L’allarme dell’Associazione italiana di oncologia medica: nei primi cinque mesi del 2020, secondo una stima dell’Osservatorio nazionale screening, sono stati eseguiti circa 1,4 milioni esami di screening in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Un ritardo che gli esperti dell’Osservatorio giudicano “imponente” , fanno intuire l’enorme rischio che provoca questa situazione sulla salute psichica delle persone, sullo sviluppo delle capacità relazionali dei più giovani, che sono i “dimenticati” più sofferenti, sulla salute al di là del Covid su tutta la popolazione mondiale, oltre che sulla istruzione, sulla scuola, sull’economia e sul lavoro.
Si spera nei vaccini perché possano raggiungere l’immunità di gregge.
Purtroppo, a mio avviso, temo che, ancora una volta, stiamo grandemente sottovalutando la questione e stiamo perdendo tempo prezioso.
Non sono certamente un esperto, ma analizzando la situazione, mi pare risulti abbastanza evidente che coi ritmi delle attuali vaccinazioni non arriveremo mai a raggiungere tale obiettivo.
Per raggiungere l’immunità di gregge si deve essere molto veloci, vaccinando percentuali molto alte prima che il virus si riproduca in varianti sempre nuove e più complesse.
Come vediamo lo sviluppo delle varianti, già isolate, è molto più veloce della percentuale di progresso dei vaccinati.
Ma credo che l’errore più clamoroso sia quello di considerare i dati all’interno di aree ristrette: come se il raggiungimento della immunità di gregge, solo come esempio, in Italia significasse proteggerci da contagi delle varianti provenienti dall’Inghilterra o dal Brasile. O come se la raggiungessimo in Europa ci proteggesse da varianti in arrivo dall’Africa o chissà da dove.
Credo infatti che dovremmo considerare l’obiettivo dell’immunità di gruppo da raggiungere a livello mondiale, non regionale.
Senza questo traguardo credo il resto sia una pia illusione.
Ma se la mia ipotesi fosse corretta avremo bisogno di produrre miliardi di vaccini, probabilmente 10 miliardi in un anno. Si, perché l’effetto del vaccino non é eterno, ma dicono, duri circa 1 anno. Quindi dovremmo produrre una quantità sufficiente a vaccinare l’intero mondo in un solo anno.
Altrimenti l’obiettivo non sarebbe mai raggiunto. A meno di non lasciare tutti “liberi” di ammalarsi con un enorme prezzo di morti.
E non dimentichiamoci che siamo già in una situazione paradossale. In USA i morti hanno superato i 500.000, oltre 90.000 solo in Italia.
In America la mortalità pare abbia superato quella della prima e seconda guerra mondiale più il Vietnam messe insieme.
Siamo già in guerra quindi, ed il nemico è il virus.
Servono quindi misure drastiche.
In guerra vengono requisite le fabbriche per produrre armi ed attrezzature. Credo dovremmo fare lo stesso oggi. Dovremmo abolire il valore dei brevetti e consentire la produzione dei vaccini già sperimentati in tutti gli impianti che li possano produrre.
Naturalmente rimborsando alle imprese tutti i costi, non già finanziati con soldi pubblici, che hanno investito, oltre ad un congruo ed adeguato margine di remunerazione e di profitto. Ma occorre liberalizzare i vaccini.
Probabilmente attrezzare anche molti altri siti produttivi per produrlo e raggiungere rapidamente il quantitativo necessario ad immunizzare tutti gli abitanti del pianeta che consenta una immunità globale.
Se questo non accadrà temo tutti i nostri sforzi, attuali e futuri, saranno vani.
Naturalmente tutte le burocrazie del mondo dovrebbero unirsi con un obiettivo ed in uno sforzo comune. Probabilmente questa ipotesi è utopica. Spero non dovremo arrivarci a nostre spese.
Cesare Valli