Alle ultime elezioni politiche italiane del 2022 e a quelle europee del 2019 si sono recati a votare rispettivamente solo il 63,9 % e il 54,5 % degli aventi diritto. Una percentuale enorme e sempre crescente di elettori, infatti, diserta da anni le urne per ribellione o per senso di impotenza. A prescindere da quale governo sia in carica, il potere politico sembra da tempo sempre più lontano dal cittadino e svincolato dalla sovranità popolare.
Ci sarebbe la costante tendenza di qualche élite ad imporsi sulla massa dei cittadini
Prima di evidenziare le numerose criticità che riguardano oggi la democrazia, vale la pena premettere un paio di considerazioni di carattere storico. Innanzitutto, è utile ricordare la teoria di scienza politica degli elitisti, Gaetano Mosca e Wilfredo Pareto, secondo la quale, anche nel caso della democrazia, è sempre qualche minoranza a governare effettivamente. In altre parole, vi sarebbe la costante tendenza di qualche élite ad imporsi sulla massa dei cittadini. Anche Gustavo Zagrebelsky, da un altro punto di vista, ha evidenziato la radice inestirpabile del carattere oligarchico delle moderne democrazie rappresentative. Riflettendo sulla Storia e lontano dalla matrice ideologica degli elitisti, bisogna ammettere la ragionevole fondatezza di queste descrizioni della realtà. Il problema nasce quando questa tendenza oligarchica supera un certo limite di guardia, non viene contrastata dall’opposta tensione democratica e mette in crisi i principi fondamentali della liberaldemocrazia, come mi pare accada oggi.
Qual è il rapporto che gli Italiani hanno avuto con la democrazia nel corso della loro storia?
La seconda riflessione attiene invece al rapporto che gli Italiani hanno avuto con la democrazia nel corso della loro storia. Un rapporto complesso, le cui ragioni sono state evidenziate dalla storiografia che le fa risalire alle vicende politiche e culturali del nostro Paese dei secoli scorsi. Gli Italiani, infatti, non hanno vissuto la Riforma, ma la Controriforma. Non hanno conosciuto appieno l’influenza della Rivoluzione Francese, che ha riguardato solo una minoranza di essi. E il Risorgimento ha avuto un esito moderato (peraltro l’unico realizzabile) con il quale è stato possibile l’avvento del Fascismo. Solo dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale gli Italiani, grazie alla Costituzione, hanno potuto partecipare democraticamente alla vita politica della nazione.
Viviamo una situazione preoccupante
Ciò nonostante, per le ragioni storiche ricordate, è rimasto nella formazione culturale e nel carattere degli Italiani un difetto di coscienza civile e di consapevolezza di essere cittadini e non sudditi. Una mancanza che spinge taluni a prevaricare ed altri al conformismo, o peggio al servilismo. In questo modo, alcuni fattori hanno continuato ad inquinare la società italiana. L’assenza di una classe dirigente interessata solo al bene comune, una corruzione sistemica e clientelare, una burocrazia oppressiva e la forza della criminalità organizzata.
Queste riflessioni storiche sono utili per esaminare lo stato attuale della democrazia in Italia. Una situazione preoccupante, poiché è stato superato da anni quel limite cui facevo riferimento.
Cominciamo dai vincoli esterni alla nostra democrazia
La cessione di sovranità a favore dell’Europa non è stata ancora accompagnata dalla costruzione di una struttura adeguata alla partecipazione del cittadino alle grandi decisioni, anche nell’ottica di un’auspicabile vera organizzazione federale dell’Europa. Il Parlamento Europeo, ad esempio, non ha la centralità che dovrebbe avere rispetto al Consiglio d’Europa e alla Commissione Europea. Ulteriori condizionamenti derivano da Organizzazioni sovranazionali costituite in vari settori, ai fini del multilateralismo nelle relazioni internazionali. Si pensi al Fondo Monetario Internazionale (FMI), alla Banca Mondiale, all’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), all’Organizzazione per la Cooperazione e lo sviluppo (OCSE), all’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).
Venendo all’Italia, tutto ciò incide sul Parlamento e sul Governo che possono decidere su un numero limitato di materie o devono occuparsi dell’armonizzazione delle norme interne con quelle sovranazionali. Senza dimenticare il vincolo del giudizio della Commissione Europea sul bilancio nazionale. Poi, quel che sarebbe possibile realizzare dei programmi elettorali delle coalizioni vincenti, che non è poco, rimane per molta parte lettera morta. In particolare restano inattuate le famose e promesse riforme strutturali. Il Parlamento viene da anni svilito da un lato dal fenomeno del “trasformismo”, e dall’altro dall’uso abnorme della decretazione d’urgenza da parte del Governo.
I Partiti, che dovrebbero costituire il tramite fra i cittadini e il Parlamento, sono in crisi profonda
Nei primi anni della Repubblica i loro iscritti erano circa quattro milioni, mentre oggi sono solo 700-800 mila. Ha scritto qualche mese fa Sabino Cassese sul “Corriere della Sera”: «I Partiti, come tramite tra società e governo, sono vacui […]: non promuovono congressi, hanno deboli strutture periferiche, il dibattito interno è inesistente, hanno abdicato alla funzione di educare alla politica, rinunciando anche, da tempo, al compito di selezionare la classe dirigente. Le designazioni dei candidati e la formazione delle liste elettorali sono opera dei segretari dei Partiti e della ristretta cerchia che li circonda. Sono loro che provvedono a indicare gli eleggibili, destinandoli a collegi sicuri, per cui i parlamentari, più che scelti dal popolo sono nominati, salvo conferma elettiva». E i cittadini, con la vigente legge elettorale, non possono neppure scegliere i candidati della parte politica che vorrebbero votare.
I partiti, inoltre, sono privi di ideali di riferimento e di una visione strategica del futuro, anche a causa della distanza che si è venuta a creare fra la politica e la cultura, in particolare quella umanistica.
C’è poi la questione dei media
Un elemento fondamentale di garanzia della dialettica democratica dovrebbe essere rappresentato dall’azione di controllo dei mezzi di informazione sulle vicende politiche. Gli Anglosassoni sostengono che la stampa è il cane da guardia della democrazia. Secondo la classifica mondiale della libertà di stampa di Reporter sans Frontières (Rsf), nel 2023 l’Italia risulta al 41° posto. Nell’analisi del report viene evidenziata, fra le varie cause di questa posizione, la tendenza dei giornalisti ad autocensurarsi per conformarsi alla linea editoriale della propria organizzazione di notizie, e la dipendenza dei media tradizionali dalle entrate pubblicitarie e dai sussidi statali. Giova aggiungere a questi fatti anche la scarsità di editori puri – cioè indipendenti dal mondo economico – che mina la credibilità della stampa.
La situazione della democrazia, a cui ci stiamo abituando, è critica ed allarmante
Sempre per quanto riguarda il rapporto fra i mezzi di informazione e la democrazia, va segnalato il pericolo costituito dalla potenza dei nuovi social media planetari e dalla mole di dati che essi sono in grado di archiviare sulle tendenze politiche degli individui. Che uso viene o verrà fatto degli algoritmi di questi canali di informazione alternativi, rafforzati dall’intelligenza artificiale, in grado di propagandare a miliardi di uomini informazioni e idee adattate a ciò che essi sono già predisposti a credere o alle loro paure? La situazione della democrazia, a cui ci stiamo abituando, è dunque critica ed allarmante. L’elettore ha la netta impressione che il suo voto conti ben poco. Le oligarchie politiche, tecno-burocratiche ed economiche hanno scavato un solco con il resto della popolazione. Ma la complessità tecnica dell’età contemporanea e la ricerca della governabilità non giustificano una restrizione della democrazia, già limitata dal fatto di essere necessariamente rappresentativa. A meno di non voler spostare all’indietro le lancette dell’orologio della Storia.
Lorenzo Bianchi