Impedire a chiunque di presentare un libro, in un contesto per altro dedicato ai libri, è un gesto che riporta a tempi oscuri, in cui l’intolleranza che si attribuisce ad altri viene fatta propria, esercitata, cioè, dagli stessi che, a torto o a ragione, la condannano. Impedire a chiunque di presentare un libro senza aver letto una riga di esso, a prescindere, e solo per ciò che, ai loro occhi, rappresenta la persona che lo ha scritto, aggrava di più il gesto, li rende buoni futuri accoliti di un qualche regime autoritario.
Mi riferisco alla bagarre avvenuta all’ultima edizione del Salone del libro di Torino in occasione della presentazione del libro di Eugenia Roccella “Una famiglia radicale”, edito da Rubbettino, dove all’attuale Ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità, un gruppo di dimostranti ha letteralmente impedito alla stessa di presentare il suo libro. E di farlo senza conoscerne il contenuto né altri elementi estetici ed etici che in genere, nella critica letteraria, costituiscono oggetto di analisi e di eventuale discussione.
Lo dico perché proprio la violenta contestazione dell’autrice mi ha spinto ad acquistare il libro, nella curiosità di scoprire quali potessero essere le eventuali ragioni alla base della stessa, al di là della mia istintiva, ferma, condanna per qualsiasi limitazione della libertà individuale, naturalmente nel reciproco rispetto della stessa.
E questo, anche, al di là della curiosità che il titolo stesso del libro “Una famiglia radicale”, suscitava in me in ragione sia dei miei trascorsi radicali, che mi avevano portato in passato, ad avere la doppia tessera del PSI e del Partito radicale, sia di questi ultimissimi anni, nel seguire Giovanni Negri e altri amici, tra cui il compianto Beniamino Bonardi, che fu direttore de L’Incontro, nell’associazione di ispirazione radicale La Marianna, della quale ho la tessera di fondatore. Bè, aperto il libro di Eugenia Roccella, sono subito rimasto colpito dall’incipit, che rivelava subito il taglio del memoir lasciando emergere una prosa calda, intima, avvolgente, che rivelava, insieme, sia una padronanza dei sentimenti che l’agitavano, sia della scrittura che li esprimeva. Sullo sfondo, all’inizio, il paese di Riesi, in provincia di Caltanisetta, dove l’autrice fu portata dal padre all’età di sei mesi per essere consegnata nelle mani dei nonni paterni e, soprattutto, della zia nubile, Santina, che si sarebbe dedicata alla bambina come una madre.
E, questo, mentre il padre e la madre vera, la pittrice Wanda Raheli, militante femminista, avrebbero vissuto la loro vita prima a Bologna e, successivamente, a Roma. Nella capitale Eugenia Roccella sarebbe stata fatta trasferire ancora adolescente dall’amata Riesi, gettata qui in un mondo dove a stento sarebbe riuscita a trovare i sicuri riferimenti che aveva nella cittadina siciliana, a cominciare dall’indimenticabile nonno, il notaio Eugenio Roccella.
Poi, capitolo dopo capitolo, il racconto cresce, insinuandosi con sottili analisi politiche, ritratti fisici e psicologici, eventi quali i famosi digiuni di Pannella o le sue scorribande televisive, nel contesto delle battaglie radicali del tempo. E tutto ciò, senza mai trascurare i propri sentimenti, le proprie emozioni e idee, che talvolta la mettevano in conflitto, di volta in volta, a seconda dei casi, con il padre, un animale politico di grandi capacità speculative. Franco Roccella, già leader della Ugi, l’Unione goliardica italiana, che fu scuola politica anche dello stesso Pannella e di Craxi, si rivelerà però, ben presto, essere pure un donnaiolo e scialacquatore, tanto da metterlo in conflitto, a un certo momento della vita, a causa dei forti debiti, con il Partito radicale e Pannella; sia con la madre della Roccella, Wanda, per ovvie ragioni.
Una famiglia e i suoi illustri amici
I capitoli che la Roccella dedica ad essi, inserendoli nel contesto storico e politico del momento, comprese le illustri frequentazioni famigliari, da Sergio Stanzani a Gino Giugni, da Lino Jannuzzi a Stefano Rodotà a Tullio De Mauro e altri, oltre a rivelare il grande affetto che la Roccella nutriva nei loro confronti risultano magistrali per l’intensità del racconto. E, questo, soprattutto quando, più avanti, la malattia del padre e della madre avrebbe preso il sopravvento nella loro vita, per accompagnarli lei, amorevolmente, verso la fine, in particolare il padre, ormai isolato e, di conseguenza, per reazione autoisolatosi – verrebbe da dire autoesiliatosi – nel suo paese di origine, Riesi, del quale sarebbe stato sindaco.
Un forte amore per la libertà
Un libro, “Una famiglia radicale”, che sprigiona un forte amore per la libertà, figlio sia dell’educazione libertaria ricevuta, sia dell’esperienza prima di figlia poi di madre non disgiunto da un’idea di rispetto del proprio corpo e della vita umana, compresa quella in embrione, a cui le idee attuali della Ministra, nel solco dei principi radicali a cui è stata educata, tendono, seppur in personali forme interpretative e, comunque, meritevoli di civile confronto, non certo di pregiudiziali chiusure e inappropriati ostracismi. Anche perché proprio la sua esperienza, nutrita dalla volontà di capire, le ha insegnato a non credere “che la complessità del reale potesse rientrare in un unico schema interpretativo, che ci fosse una sola chiave capace di aprire ogni porta”.
Conflittualità e dialogo
Ad esempio, negli anni delle battaglie per la legalizzazione dell’aborto, a cui la Roccella, da militante radicale, aveva partecipato, già in famiglia entravano in conflitto idee opposte, tra il padre, per il quale l’aborto era comunque un omicidio, e la madre, pannelliana fino in fondo, per la quale, non considerando ancora lo zigote un essere umano, si doveva privilegiare la scelta della donna. Lei, invece, confessa: “Ammettevo che con l’aborto si sopprime una vita, ma pensavo che crescere nel corpo di un’altra persona impone che ci sia un consenso, e che l’aborto potesse essere considerato una drammatica eccezione all’intangibilità della vita, come lo è la legittima difesa”.
…La consapevolezza dei doveri verso gli altri arranca dietro all’ideologia dei diritti (…)
In definitiva, il succo della posizione di Eugenia Roccella, donna e ministro, si condensa in una frase che traggo dalle conclusioni del suo libro che consiglierei di leggere, se hanno il coraggio di farlo, proprio a coloro che più l’hanno pregiudizialmente contestata, mentre lei, per tutta risposta, pacatamente invitava i manifestanti al confronto. Cosa ci può essere di così ostile di fronte a queste parole da non accettarlo? “Da radicale ero convinta che libertà e responsabilità accompagnasse automaticamente l’espansione degli spazi di libertà personale. Falso. La consapevolezza dei doveri verso gli altri arranca dietro all’ideologia dei diritti, che in poco tempo si sono gonfiati come un airbag malfunzionante, che invece di salvarci la vita ci opprime fino ad impedirci di respirare in libertà”.
Diego Zandel