La solitudine del sovversivo è il titolo di un bellissimo libro autobiografico che Marco Bechis ha appena pubblicato per Guanda. Negli anni Settanta, Bechis aveva rischiato di essere uno dei tanti desaparecidos che il regime macellaio dei generali argentini aveva fatto arrestare e poi ucciso barbaramente senza uno straccio di processo né un’ombra di legalità. Si era salvato solo grazie alle conoscenze del padre che era un dirigente industriale. Quella storia l’aveva già un po’ raccontata in un film che si intitola Garage Olimpo: ma il romanzo ha molte cose in più e soprattutto ci racconta di un ragazzo che ha sfiorato una morte orribile senza neanche rendersene conto e di un uomo che oggi prova quasi un senso di colpa per essersela cavata a differenza di tanti altri amici. Lo stesso senso di colpa che ci aveva raccontato Primo Levi e che qui, cambiando lager e persecutori, si manifesta nello stesso modo.
Marco Bechis, per chi lo conosce, è una persona simpatica, allegra, divertente. Non fa trasparire questo senso di angoscia che evidentemente lo opprime. I suoi film sono secchi, diretti, forti; le conversazioni con lui no. Se uno si interroga, scopre che questa doppiezza è comune a tanti nomi del cinema. Chiacchierare con Ken Loach significa dopo pochi secondi parlare di calcio e del Manchester United del quale è supertifoso; eppure nei suoi film si riscontrano un rigore fortissimo, una scelta di campo decisa, una militanza assoluta. Theo Angelopoulos e il suo sceneggiatore-romanziere Petros Markarīs hanno sempre stupito per la leggerezza con la quale hanno raccontato in pubblico situazioni e idee: quando si vedono i film del primo o si leggono i romanzi del secondo, si nota un’esplicita durezza come elemento essenziale del loro modo di raccontare. Jean-Luc Godard è quasi leggendario per la sua misantropia, per il modo sprezzante con il quale risponde (o, piu spesso, non risponde) alle domande: però Vittorio Caprioli, che lavorò con lui per Crepa padrone, tutto va bene al fianco di Jane Fonda e Yves Montand, disse che le battute con le quali intercalava le riprese erano davvero spassose. Per tornare poi al cinema italiano, Citto Maselli non ha mai taciuto la sua radicale scelta politica che lo porta ad aderire a Rifondazione Comunista, se però è in vena, i suoi racconti sui retroscena dei maggiori film italiani sono veramente ultradivertenti.
Non si tratta di schizofrenia, e neanche di dissimulazione. Si tratta di intelligenza. Se uno è intelligente, sviluppa fino in fondo le sue scelte, quelle che sono. Quando lo ha fatto è a posto con la sua coscienza, quindi può permettersi di scherzare. Non è ridendo che si perde la serietà: anzi, forse è proprio il contrario.
Steve Della Casa