Antefatto: le mire espansionistiche francesi sull’Italia
Nel 1494 il nuovo re di Francia, Carlo VIII di Valois, che ha solo 24 anni, vuole estendere il suo regno. Pertanto, il 3 settembre “cala” in Italia con un potente esercito di 30.000 uomini (8.000 dei quali sono mercenari svizzeri), dotato anche di artiglieria moderna, guidato da Louis de la Trémoille, vantando diritti di successione, da parte della nonna paterna Maria D’Angiò, sul Regno di Napoli, governato da un ramo collaterale degli Aragona, che sono sovrani di Spagna e di Sicilia.
La conquista del regno napoletano gli serve come base di partenza per una Crociata per riconquistare Gerusalemme, di cui probabilmente ambisce a diventare re, come altri lo furono nel II secolo.
In Piemonte si ferma ad Asti dove riceve l’omaggio dei suoi sostenitori italiani, compreso Ludovico Sforza, detto Il Moro, reggente del Ducato di Milano, di cui qualche mese dopo, dopo la morte di Gian Galeazzo Sforza (probabilmente per avvelenamento), diventa duca, con il sostegno del re francese.
Carlo VIII marcia quindi verso Firenze, che era tradizionalmente filo francese, ma Piero de’ Medici (figlio di Lorenzo in Magnifico) si era schierato in difesa degli Aragonesi, sovrani di Napoli. Pertanto il re francese attacca e saccheggia alcune cittadine toscane costringendo Piero de’ Medici a cedere altre città, tra le quali Pisa e Livorno. Questo cedimento induce la popolazione fiorentina, dopo la partenza dei francesi, a cacciare Piero ed a proclamare la Repubblica.
Carlo VIII marcia poi verso Roma dove entra pacificamente il 31 dicembre, dopo aver fatto un accordo con il papa Alessandro VI (Rodrigo Borgia, di origine spagnola). Ciononostante, la città è saccheggiata dalle truppe francesi. Il papa concede a Carlo VIII il passaggio nello Stato pontificio verso il Regno di Napoli, affiancandogli come legato (rappresentante) pontificio il figlio Cesare Borgia (che è diventato cardinale in giovane età).
Il re francese, nella sua marcia verso il regno napoletano, conquista altre città, che sono saccheggiate e la popolazione è in gran parte trucidata. Il 22 febbraio 1495 entra a Napoli senza combattere dato che il re aragonese Ferdinando II, detto Ferrandino, è fuggito con la corte. Dopo pochi giorni Carlo VIII si fa incoronare re. Però a maggio il popolo napoletano insorge contro i francesi che sono costretti a lasciare la città e a ritornare in patria.
La facilità e la rapidità con la quale il re francese era arrivato a Napoli e l’aveva conquistata, compiendo lungo il suo cammino efferate violenze sulla popolazione delle città conquistate, portano il 31 marzo 1495 alla costituzione di una Lega Santa antifrancese da parte del Sacro Romano Impero, della Spagna, del Papato, della Repubblica di Venezia e del Ducato di Milano. Quindi, il 6 luglio 1495 l’esercito della Lega sconfigge a Fornovo il re francese, mentre sta tornando in patria.
Finisce così la prima di una serie di guerre condotte in Italia dalle grandi potenze continentali (soprattutto Francia e Spagna) per la spartizione del territorio italiano, comunemente dette “guerre d’Italia” e definite “orrende” da Niccolò Machiavelli, che cessano nel 1559 con la Pace di Cateau-Cambrésis, che cambia profondamente la geografia politica della penisola italiana.
Nel 1498 Carlo VIII muore senza eredi, a soli 27 anni, e gli succede il cugino Luigi XII di Valois-Orléans, detto Il Padre del Popolo, il quale, con un accordo con il papa Alessandro VI, ottiene l’annullamento del matrimonio con Giovanna di Valois e sposa la vedova di Carlo VIII, Anna di Bretagna, acquisendo così i diritti di successione sul Ducato di Bretagna.
Luigi XII persegue la politica espansionistica del suo precedessore e ben presto rivendica il possesso del Ducato di Milano in quanto Valentina Visconti, figlia di Gian Galeazzo, era sua nonna.
Però, per evitare i problemi politici che Carlo VIII aveva avuto in Italia, prima di venire in Italia Luigi XII stipula una serie di accordi diplomatici, che gli assicurano il sostegno alla sua pretesa di ottenere il Ducato di Milano.
Per primo ottiene l’appoggio del papa Alessandro VI, donando nel 1498 a Cesare Borgia, figlio del pontefice, la Contea di Valentinois, che viene eretta in Ducato (pertanto Cesare assume il soprannome di Valentino) e gli concede anche di sposare la nobile Charlotte d’Albret, sorella del re di Navarra Giovanni II. Inoltre promette di appoggiare il progetto di Cesare di riconquistare la Romagna, dove i feudatari locali si sono ribellati al potere papale.
Inoltre il 2 febbraio 1499 Luigi XII stipula a Blois un trattato con la Repubblica di Venezia concedendo alla Serenissima le città di Cremona e di Chiara d’Adda.
Infine, il 16 marzo 1499 stipula un Trattato con gli Otto Cantoni svizzeri, concedendo ad essi la Contea di Bellinzona (il Canton Ticino).
Dopo questi accordi Luigi XII viene in Italia con un forte esercito e conquista Genova. Inizia così la Seconda guerra italiana (detta anche “Guerra italiana di Luigi XII” o “Guerra per il Regno di Napoli”), che si conclude il 31 gennaio 1504 con l’Armistizio di Lione tra Luigi XII ed il sovrano spagnolo Ferdinando II d’Aragona.
Il 2 settembre 1499 i francesi, guidati da Gian Giacomo Trivulzio, espugnano Milano e Ludovico Sforza, detto Il Moro, ripara in Tirolo, protetto dall’imperatore del Sacro Romano Impero Massimiliano I d’Asburgo, che è il marito di sua nipote Bianca Maria Sforza.
Nel marzo 1500 Ludovico il Moro riesce a riprendere il possesso di Milano con l’aiuto delle truppe imperiali, ma il 10 aprile 1500 è costretto dai francesi a riparare a Novara, dove è tradito dai suoi mercenari svizzeri che lo consegnano ai francesi, che lo portano in Francia, dove muore nel 1508.
Dopo la conquista di Milano, l’esercito francese, con Cesare Borgia che è diventato luogotenente di Luigi XII, scende in Romagna.
Intanto, il papa Alessandro VI invia ai feudatari di Camerino, Faenza, Forlì, Imola, Pesaro e Urbino una lettera dichiarandoli decaduti dai loro feudi, che li invita a restituire allo Stato Pontificio. Naturalmente nessun feudatario obbedisce all’ingiunzione del papa e quindi inizia la guerra, che è molto cruenta. La prima città conquistata dal Valentino è Imola, l’11 dicembre 1499. Poi cade Forlì, che è saccheggiata dalle truppe mercenarie, che compiono violenze sulla popolazione.
Dopo aver riconquistato tutti i feudi, il Valentino riceve dal padre, il papa Alessandro VI, il titolo di Duca di Romagna.
In seguito, il Valentino scampa ad una congiura. Per vendicarsi invita, singolarmente, per la pacificazione, tra il 31 dicembre 1500 ed il 18 gennaio 1501, i congiurati nel suo castello di Senigallia e li fa uccidere. La “strage di Senigallia” è raccontata da Niccolò Machiavelli nella sua opera principale Il Principe.
Però, nel 1503, morto il padre Alessandro VI, che lo proteggeva, il nuovo papa Giulio II fa arrestare il Valentino e quindi riprende il possesso della Romagna. Cesare Borgia riesce ad evadere e si rifugia in Spagna, dal cognato Giovanni d’Albert, Re di Navarra, dove muore nel 1507 durante una guerra locale.
Il Trattato di Granada e la spartizione del Regno di Napoli
Il 10 ottobre 1500, nel castello di Chambord il re francese Luigi XII firma il Trattato (segreto) di pace e di alleanza con i sovrani spagnoli Ferdinando II d’Aragona, detto Il Cattolico (che è anche Re di Sicilia), e sua moglie (nonché sua cugina) Isabella di Castiglia, per la spartizione del Regno di Napoli (che è il Regnum Siciliae citra Pfharum, cioè la parte del Regno di Sicilia al di qua del Faro, cioè dello Stretto di Messina). L’accordo è giustificato dalla necessità di combattere uniti contro i Turchi, che scorrazzano nel Mediterraneo.
Il Trattato, ratificato dai sovrani spagnoli l’11 novembre 1500 nel palazzo dell’Alhambra di Granada, strappata agli Arabi nel 1492, prevede l’assegnazione alla Francia delle regioni settentrionali del Regno di Napoli, cioè la Campania e gli Abruzzi, e alla Spagna di quelle meridionali, cioè la Calabria e le Puglie.
Il Trattato prevede inoltre la spartizione al 50% degli introiti della Dogana delle pecore di Puglia (Duana pecorum Apuliae) ubicata a Foggia, al termine del “tratturo” più importante per la “transumanza” degli ovini dall’Abruzzo alle Puglia, che parte da Celano.
Ferdinando II, re di Aragona, mira in questo modo ad eliminare la dinastia collaterale aragonese che governa il Regno di Napoli con Federico I d’Aragona, zio del Re Ferdinando II (Ferrandino), morto nel 1496, ed ad unirlo al Regno di Sicilia.
Il 25 giugno 1501 il pontefice Alessandro VI emana una bolla papale con la quale dà il proprio assenso al Trattato e scomunica il re napoletano Federico I, accusandolo di aver fatto un accordo con i turchi, il quale, quindi, è dichiarato decaduto dal regno. Molto probabilmente, nella decisione del papa influisce la decisione della principessa di Taranto Carlotta d’Aragona, figlia di Federico I, di aver rifiutato di sposare il Valentino, annullando l’ambizioso progetto del pontefice di mettere il figlio Cesare sul trono napoletano.
Quando i francesi invadono da nord il Regno di Napoli, il re Federico I, essendo all’oscuro del Trattato di Granada, chiede aiuto al cugino Ferdinando II, il quale, invece, invece fa invadere il Regno di Napoli da sud. A questo punto, Federico I capisce il tradimento ordito dal cugino Ferdinando II.
Il 19 luglio 1501 Cesare Borgia, con l’esercito francese, assedia Capua, che e conquistata dopo 7 giorni grazie al tradimento di un cittadino, corrotto dal Valentino, che apre le porte della città all’orario stabilito, consentendo alle truppe francesi e papali di entrare, massacrando la guarnigione militare e la popolazione.
Il re napoletano Federico I cerca di trattare la resa, invano. Poi abdica in favore del re francese. Così, il 19 agosto i francesi entrano a Napoli e Luigi XII diventa re di Napoli (Rex Neapolis). Poi ritorna in Francia, nominando come viceré il nobile Louis d’Armagnac, Duca di Nemours. Inizia così il lungo periodo dei viceré di Napoli: dal 1501 al 1504 sotto la Corona francese; da 1504 al 1707 sotto la Corona spagnola; dal 1707 al 1734 sotto gli Asburgo d’Austria.
Il 6 settembre 1501 Federico I d’Aragona parte per la Francia, scortato da alcuni suoi fidati cavalieri (mercenari), tra i quali Ettore Fieramosca. Nel maggio 1502, come compenso per la sua rinunzia al Regno di Napoli, ottiene dal re francese Luigi XII il titolo di Duca d’Angiò. Muore il 9 novembre 1504. La sua dinastia degli Aragonesi di Napoli si estingue nel 1550.
Il 13 ottobre 1501, con il Trattato di Trento, stipulato dal re francese Luigi XII e dall’imperatore Massimiliano I d’Asburgo, quest’ultimo riconosce il possesso francese nell’Italia settentrionale (Ducato di Milano e Genova, occupati nel 1499).
La guerra tra Francia e Spagna per il Regno di Napoli
Ben presto scoppiano dissidi tra la Francia e la Spagna sulla spartizione del Regno di Napoli, in base del Trattato di Granada, in particolare sulla definizione dei confini tra alcune delle 12 Provincie del Regno. Sicuramente, un altro motivo di contrasto è la spartizione delle immense entrate della Dogana delle pecore di Foggia, che ammontano a 160.000-200.000 ducati l’anno.
Pertanto inizia, nell’estate 1502, la guerra. Le truppe francesi sono comandate da Louis d’Armagnac, mentre quelle spagnole sono sotto il comando di Gonzalo (Consalvo) Fernandez de Cordoba (Cordova).
Al conflitto partecipano numerosi cavalieri italiani, che combattono come mercenari, nelle Compagnie di Ventura, “al soldo” degli Spagnoli. Alcuni di questi erano stati ingaggiati dal precedente Re di Napoli Federico I d’Aragona. In particolare c’è la Compagnia del Capitano di ventura Prospero Colonna e del cugino Fabrizio, Conte di Tagliacozzo (poi Duca dal 1504), della quale fanno parte Ettore Fieramosca (originario di Capua), Giovanni Capoccio (probabilmente originario di Tagliacozzo) e Fanfulla da Lodi, i quali partecipano con altri 10 cavalieri italiani alla “disfida di Barletta” del 13 febbraio 1503, combattuta contro altrettanti 13 cavalieri francesi, che li hanno accusati di “codardia”.
La Disfida di Barletta
All’inizio di gennaio 1503, in uno scontro a Canosa di Puglia, gli Spagnoli, guidati da Diego de Mendoza, catturano alcuni cavalieri francesi.
Il 15 gennaio 1503 il gran capitano (comandante supremo) spagnolo Consalvo Fernandez de Cordova organizza a Barletta (dove ha sede il quartier generale spagnolo) una cena in onore dei francesi, secondo il codice cavalleresco dell’epoca.
Durante la cena il francese Charles de Torgues (detto Guy de La Motte) accusa di codardia i cavalieri italiani, che sono difesi dal comandante spagnolo Inigo (Ignazio) Lopez de Ayala, il quale sostiene che gli italiani al suo comando hanno sempre combattuto valorosamente e quindi si sono comportati in modo onorevole.
Il capitano dei cavalieri italiani Prospero Colonna invia Giovanni Capoccio e Giovanni Brancaleone a parlare con La Motte per indurlo a ritrattare la grave offesa fatta ai cavalieri italiani, senza alcun risultato. Anzi La Motte getta il “guanto di sfida” addosso ai cavalieri italiani.
Si decide quindi di effettuare un duello tra 13 cavalieri francesi ed altrettanti italiani (in origine gli sfidanti dovevano essere 10, ma poi il numero è stato aumentato).
Uno scontro analogo era avvenuto l’anno precedente, nel marzo 1502, in una pianura tra Barletta e Bisceglie tra 11 soldati francesi ed altrettanti spagnoli, di cui però non si conosce l’esito.
La “disfida” è programmata per la mattina del 13 febbraio 1503 nella località denominata Mattina di Sant’Elia, nel territorio di Trani, allora soggetto alla dominazione veneziana e quindi “territorio neutrale”. Però il combattimento è passato alla storia come “Disfida di Barletta”, dato che la controversia era nata in questa cittadina pugliese.
Le modalità dello scontro sono stabilite nei minimi dettagli. In particolare si decide che i cavalli e le armi dei cavalieri sconfitti sarebbero stati presi dai vincitori e ogni cavaliere catturato avrebbe pagato un riscatto di 100 ducati. Inoltre, sono nominati due giurati per parte ed è assegnato un ostaggio a ciascuna parte per garantire il rispetto dell’accordo.
Il campo nel quale si svolge il duello viene delimitato con l’aratro.
Prospero e Fabrizio Colonna formano la squadra italiana con i seguenti cavalieri, considerati i migliori: Ettore Fieramosca (di Capua, che fu nominato capitano e quindi fu incaricato di tenere i rapporti con il francese La Motte); Mariano Marcio Abignente; Ludovico Abimale da Terni; Guglielmo Albimonte; Giovanni Brancaleone; Giovanni Capoccio; Marco Corollario; Ettore de’ Pazzis (detto anche Miale da Troja); Ettore Giovenale; Romanello da Forlì; Fanfulla da Lodi; Riccio da Parma; Francesco Salamone.
I 13 cavalieri francesi sono: Charles de Torgues (detto anche Guy de La Motte), che era il capitano; Claude Grajan d’Aste (Graziano d’Asti); Eliot de Baraut; Jacques de la Fontaine; Naute de la Fraise; Marc de Frigne; Girout de Forses; Jacques de Guignes; Martellin de Lambris; Jean de Landes; Pierre de Liaye; Francois de Pise (Francesco di Pisa); Sacet de Sacet.
I cavalieri italiani la mattina del 13, prima dello scontro, ascoltano la messa nella Cattedrale di Barletta, giurando davanti alla statua della Madonna, poi denominata Madonna della Sfida, di vincere o di morire.
I cavalieri francesi pernottano a Ruvo di Puglia, dove è acquartierato il loro esercito e dove, la mattina del 13 febbraio, ascoltano la messa nella Chiesa di San Rocco.
Il capitano Prospero Colonna decide quali armi impiegare. I cavalieri italiani sono armati con due lance, più lunghe di quelle usate dai francesi, e di 2 stocchi: uno è bloccato all’arcione, alla parte sinistra della cavalcatura; l’altro è posto sul fianco destro della cavalcatura, dove viene messa anche una scure, al posto della mazza ferrata. Inoltre i cavalli sono coperti da frontali di ferro, anche sul collo. Infine, a terra sono posti due spiedi a disposizione di ogni cavaliere, per essere utilizzati in caso di necessità
I cavalieri italiani arrivano per primi sul posto stabilito per la “disfida”, ma quelli francesi entrano per primi nell’area delimitata dai quattro giudici.
Le due formazioni si dispongono su due file ordinate, contrapposte l’una all’altra, in modo da “caricarsi” vicendevolmente con le lance.
Secondo il cronista francese Jean d’Auton i cavalieri italiani adottano uno stratagemma: invece di caricare arretrano fino al limite dell’area delimitata per lo scontro ed aprono dei varchi nelle proprie file in modo da far uscire dall’area i cavalieri francesi, che pertanto sarebbero stati eliminati. In effetti alcuni di questi, nella foga della corsa, non riescono a fermarsi in tempo ed escono dall’area stabilita per lo scontro, venendo così eliminati. Invece, secondo il vescovo Paolo Giovio, che ha assistito allo scontro, i cavalieri italiani rimangono fermi nelle loro posizioni, attendendo la carica dei Francesi con le lance abbassate.
Nel primo scontro due cavalieri italiani sono disarcionati, ma si rialzano e riescono ad uccidere i cavalli degli loro antagonisti francesi, i quali sono costretti a combattere appiedati, con le spade e le scuri.
Il combattimento dura più di un’ora ed alla fine tutti i cavalieri francesi sono sconfitti e catturati dagli italiani, che pertanto riportano una netta vittoria.
Secondo la tradizione il cavaliere italiano che combatte meglio e si distingue di più, dopo il capitano Ettore Fieramosca, è Giovanni Capoccio, che riceve l’appellativo di ”più forte campione italico dopo il Fieramosca”.
Secondo Jean d’Auton, l’ultimo cavaliere francese ad arrendersi è Pierre de Chales, originario della Savoia.
Il vescovo Giovio riferisce che il francese Claude (probabilmente Graziano d’Asti) muore per una grave ferita alla testa riportata nello scontro con Giovanni Brancaleone, che probabilmente infierisce su di lui perché è considerato dai cavalieri italiani un traditore dato che combatte dalla parte dei Francesi (in verità, in quell’epoca la città di Asti appartiene alla Francia). Allo scontro partecipa, combattendo insieme con i francesi, anche un altro cavaliere italiano: Francois de Pise (Francesco di Pisa).
I cavalieri francesi sconfitti sono condotti come prigionieri a Barletta perché, sicuri di vincere, non hanno portato i 1.300 ducati previsti per l’eventuale loro riscatto in caso di sconfitta. Pertanto sono liberati dopo quattro giorni, dopo aver pagato la somma stabilita di 1.300 ducati.
La vittoria dei cavalieri italiani è salutata dalla popolazione di Barletta con un grande festeggiamento e nella cattedrale è celebrata una solenne messa di ringraziamento.
Come ricompensa per la vittoria tutti i 13 cavalieri italiani sono insigniti dal comandante supremo spagnolo Consalvo Fernandez dell’ordine di Cavaliere di San Giacomo della Spada.
Nei mesi seguenti i francesi sono ripetutamente sconfitti dagli spagnoli: a Ruvo di Puglia il 22-23 febbraio 1503; a Seminara (Calabria) il 21 aprile 1503; a Cerignola (Puglia) il 28 aprile 1503; presso il fiume Garigliano (Campania) il 29 dicembre 1503; a Gaeta (Campania) il 1 gennaio 1504. Il 31 gennaio 104 è sottoscritto l’Armistizio di Lione e con il successivo Trattato di Blois del 12 ottobre 1505 la Francia rinuncia definitivamente al Regno di Napoli a favore della Spagna ed il Re spagnolo Ferdinando II d’Aragona, il Cattolico, si impegna a sposare Germana di Foix, nipote del Re francese.
In seguito, numerosi cavalieri italiani continuano a militare nella Compagnia di ventura di Prospero Colonna, in varie guerre.
La memoria della Disfida
Nel 1583 (per il 70mo anniversario della “disfida”), sul luogo della battaglia, in contrada Mattina Sant’Elia, nel territorio di Trani, è fatta costruire un’edicola da Ferrante Caracciolo, duca di Airola, prefetto delle province di Bari e Otranto.
Il monumento è distrutto nel 1805 dai Francesi, che pensano in questo modo di eliminare la memoria della loro sconfitta nella Disfida del 13 febbraio 1503, ma è riedificato nel 1846 a cura del Capitolo Metropolitano di Trani.
Nel 1903 viene aggiunta una lapide con il seguente epitaffio, scritto da Giovanni Bovio, famoso filosofo e politico di fede laica e repubblicana “In equo certame / contro tredici francesi / qui tredici di ogni terra italiana / nell’unità / nell’amore antico / e tra due invasori / provarono che dove l’animo sovrasti la fortuna / gli individui e le nazioni risorgono” .
La Disfida ha ispirato alcune famose opere letterarie. È sempre stata chiamata “Disfida di Barletta”, anche se combattuta nella contrada Mattina di Sant’Elia nel territorio di Trani, probabilmente perché la controversia era nata a Barletta, dove aveva sede il quartiere generale spagnolo.
La prima fonte che ne parla è la lettera in latino De pugna tredecim equitum, scritta poco tempo dopo l’evento, nello stesso anno 1503, dal medico ed umanista salentino Antonio De Ferraris, detto “Galateo”, che sta a Bari, dove è il medico di Isabella d’Aragona (vedova di Gian Galeazzo Sforza, duca di Milano) ed il precettore della figlia Bona Sforza (futura regina di Polonia).
All’inizio del Risorgimento, nel 1833, Massimo D’Azeglio scrive il romanzo storico Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta, in chiave patriottica, facendo leva sul sentimento nazionale per favorire la “riscossa contro lo straniero”, soprattutto l’Austria, che domina buona parte del territorio settentrionale.
Nel 1896 il compositore Vincenzo Ferroni compone il dramma lirico Ettore Fieramosca.
All’inizio del Novecento sono girati due film, ispirati al romanzo di D’Azeglio: Ettore Fieramosca, di Ernesto Maria Pasquali, nel 1909; Ettore Fieramosca, di Domenico Gaido e Umberto Paradisi, nel 1915.
Il regime fascista rivaluta di nuovo, come già era accaduto nel Risorgimento, la Disfida di Barletta, ignorando però che il sentimento nazionale era assolutamente sconosciuto nel nostro Paese nel XVI secolo, tanto che i 13 cavalieri italiani combattevano come mercenari, al soldo degli Spagnoli contro i Francesi, in guerra tra di loro per il possesso del Regno di Napoli.
Nel 1938 esce il film Ettore Fieramosca di Alessandro Blasetti, con un chiaro scopo di propaganda nazionalistica.
Nel 1939 il pittore Pino Cesarini dipinge il quadro La disfida di Barletta.
La controversia recente sul luogo della Disfida
Durante il regime fascista nasce una accesa disputa in merito al luogo in cui erigere il nuovo monumento in ricordo della Disfida, al posto di quello costruito nel 1583.
Nell’ottobre 1931 l’avvocato di Trani Assunto Gioia pubblica un opuscolo nel quale sostiene che la Disfida era stata combattuta nella contrada di Sant’Elia, nel territorio di Trani, per cui deve chiamarsi Disfida di Trani.
Pochi giorni dopo, il 28 ottobre, il sottosegretario Sergio Panunzio scrive un articolo a sostegno di questa tesi, pubblicato sul quotidiano Gazzetta del Mezzogiorno.
Il 2 novembre 1931 la tesi sul luogo della Disfida a Barletta è sostenuta da Salvatore Santeramo in un articolo pubblicato sul quotidiano Il Popolo di Roma.
Il giorno seguente lo stesso giornale pubblica, a sostegno di questa tesi, la lettera di Arturo Boccassini, segretario della sezione del Partito Nazionale Fascista di Barletta, che era stata rifiutata dalla Gazzetta del Mezzogiorno.
Il 3 novembre a Bari si costituisce un omitato per far costruire il nuovo monumento nella città, di cui fanno parte alti esponenti del Pnf, come Attilio Teruzzi, comandante della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazioanle-MVSN, Araldo di Crollalanza, ministro dei Lavori Pubblici, e Achille Starace, vice segretario nazionale del Pnf. Appresa la notizia della costituzione del comitato barese, a Barletta un gruppo di cittadini entra nel Comune, preleva il bozzetto del nuovo monumento, che è depositato nella piazza del paese, su un piedistallo improvvisato.
Il 7 novembre 1931 Boccassini è destituito. Questo fatto provoca nuove manifestazioni, che degenerano in scontri con le forze dell’ordine.
Il 10 novembre, dopo l’arrivo del nuovo segretario della sezione del Pnf di Barletta, si verifica una nuova manifestazione, nella quale sono lanciati sassi contro i Carabinieri, che reagiscono, sparando sui manifestanti ed uccidendo due persone.
In seguito a questi incidenti il nuovo monumento non viene più fatto. É rimasto quindi nella contrada Mattina di Sant’Elia, nel territorio di Trani, il monumento ricostruito nel 1846, dopo la distruzione da parte dei francesi nel 1805 di quello realizzato nel 1583.
Nel 1975, dopo decenni di abbandono, il monumento è stata restaurato dal Comune di Trani, con il sostegno finanziario del locale Rotary Club. Comunque, pur rimanendo il monumento nel territorio di Trani, dove la Disfida è stata combattuta, si continua a chiamarla Disfida di Barletta.
Giorgio Giannini