La “Festa del Tricolore”, giornata ufficialmente dedicata alla celebrazione della nostra bandiera nazionale, si festeggia ogni anno il 7 gennaio a Reggio Emilia, città ove per la prima volta essa venne adottata come emblema nazionale. Il suo 222° anniversario suggerisce di compiere una rivisitazione della sua storia – avvincente, curiosa e anche drammatica – dai suoi prodromi ad oggi.
Essa ebbe inizio nel 1796 allorché Napoleone I, braccio armato delle idee di rinnovamento introdotte dalla Rivoluzione francese, giunse in Italia per annetterne parte alla Francia. Egli sconfisse dapprima l’esercito sardo e poi ripetutamente quello austriaco (mandato dall’Imperatore d’Austria a sostegno delle truppe pontificie schierate a difesa dei possedimenti della Chiesa nel Mantovano), imponendo dure condizioni armistiziali agli sconfitti a Tolentino.
Sulla scia di queste vittorie giunsero in Italia liberi pensatori, rivoluzionari, liberali e progressisti, nonché massoni giacobini, che propugnavano la necessità di creare in Italia uno Stato laico sul modello di quello francese. A questo scopo Napoleone convocò un Congresso dei Rappresentanti delle Province conquistate (Bologna, Ferrara, Modena e Reggio Emilia) che, iniziato nel marzo 1796, si concluse a dicembre dello stesso anno: nel corso del Congresso, fra le altre importanti delibere, venne decisa la costituzione di una Repubblica, denominata “Cispadana” a causa della collocazione geografica delle predette Province, e l’istituzione di un suo vessillo ufficiale.
Questa proposta venne di buon grado accettata dai Rappresentanti popolari delle quattro Province italiane, ma la discussione si accese quando si discusse sui colori da attribuire alle tre bande. Sul bianco e sul rosso le varie opinioni concordavano, in quanto accontentavano i francesi, i quali volevano che i colori fossero esattamente quelli della loro bandiera e cioè bianco, rosso e bleu (il bleu e il rosso rappresentano, nella bandiera francese, i colori della città di Parigi, culla della Rivoluzione, mentre il bianco è il colore della dinastia capetingia) e anche i rappresentanti italiani, che vedevano in essi quelli della città di Milano, sede del primo governo rivoluzionario in Italia.
La diatriba divampò quando si trattò di definire il terzo colore: il generale Marmont cercò di imporre il bleu, ma tutto il Congresso insorse, in quanto non si voleva dare l’impressione di una sudditanza completa alla Francia. Vennero allora proposti il giallo (da parte della componente filopontificia), il nero (rivendicato dai seguaci della Carboneria), l’azzurro (caldeggiato da filofrancesi che vedevano in esso il colore più simile al bleu di Francia) e il verde (propugnato dalla componente massonica di cui è il simbolo). Dopo vivaci discussioni prevalse la scelta del colore verde, grazie all’appoggio del generale Fresnel, massone, e dell’elevato numero di massoni presenti nel Congresso. Il turcasso venne scelto come simbolo “aggregatore” di nuove idee e principi libertari; le 4 frecce, il cui numero stava a rappresentare le 4 province Cispadane, volevano rappresentare il mezzo di penetrazione di tali principi nel resto d’Italia; l’alloro simboleggiava la vittoria che coronava l’azione rivoluzionaria; mentre il tamburo (strumento di raccolta del popolo e delle truppe) e gli affusti di cannone stavano a rappresentare la forza armata della neonata Repubblica.
La bandiera, così composta, venne votata e approvata il 7 gennaio 1797 e una lapide, nella Sala del Tricolore del Consiglio comunale di Reggio Emilia, ne ricorda ancor oggi l’evento. Già il 12 febbraio successivo la sua foggia venne modificata dalla Guardia civica di Modena, che inalberò un vessillo privo del tamburo e degli affusti di cannone, con la scritta “Libertà e Uguaglianza” inserita sulla banda superiore verde, sotto la pressione di correnti di pensiero pacifiste. Il 19 marzo dello stesso anno anche il turcasso con le frecce scomparve per ordine del Maresciallo francese Beauregard, Governatore di Milano, e fu sostituito dal berretto frigio rivoluzionario per affermare – se non con i colori, almeno coi simboli – la dipendenza della Repubblica Cispadana dalla Francia. Nel luglio 1797, a seguito della fusione della Repubblica Cispadana con la Lombardia, venne creata la Repubblica Cisalpina e, come bandiera, venne assunto il tricolore bianco, rosso e verde a bande verticali, senza alcun disegno o iscrizione. Nel bianco, nel giro di due anni, apparvero (e scomparvero) alternativamente fasci littori sormontati dal Leone di S. Marco o da aquile ad ali spiegate; pugnali incrociati o meno a rami di palma; fasci con asce bipenni orizzontali artigliati da aquile reali ad ali spiegate; squadre e fili a piombo o squadre e compassi intrecciati (di netta ispirazione massonica; ed altri ancora. Nel 1799, a seguito della occupazione dell’Italia da parte della 2^ Coalizione austro-prussiana (Napoleone era impegnato nella Campagna d’Egitto) tutti gli ordinamenti francesi vennero aboliti, compresi, ovviamente, i simboli delle varie Repubbliche istituite in precedenza da Napoleone. La bandiera della Repubblica Cisalpina non era ancora stata sostituita che Napoleone, rientrato dall’Egitto, sconfisse la Coalizione a Marengo e costrinse gli austro-prussiani (con la pace di Luneville) a lasciare nuovamente il Nord Italia e vi ricostituì la Repubblica Cisalpina con la sua bandiera.
In questa circostanza la bandiera, pur mantenendo gli stessi colori, venne ad assumere un aspetto ancor più singolare: un drappo diviso in quattro parti uguali, alternativamente verdi e rosse, nel cui centro campeggiava una losanga romboidale bianca, limitata da fronde di alloro dorate: e su tale losanga cominciarono a proliferare, l’un dopo l’altro, i motti più svariati: “Re e Giustizia”, “Napoleone Imperatore”, “Dio e Patria”, “Libertà e Uguaglianza”, talora inseriti anche nei quadrati rossi e verdi. Caduto definitivamente Napoleone (1815), venne abolita, insieme al Regno che rappresentava, anche la bandiera del 1805, e, nel territorio lombardo veneto, venne ripristinata l’insegna bianco-rossa asburgica caricata dall’aquila bicipite nera e, nel territorio piemontese, riemerse la bandiera della Repubblica Cisalpina, inalberata dai vari gruppi irredentisti che andavano formandovisi, con qualche variante per ciascuno di essi: così ad esempio, la “Giovane Italia” mazziniana per un certo periodo adottò un tricolore con la banda verde più ampia delle altre due, intendendo valorizzare la componente massonica preponderante nella Associazione. Altre Società adottarono invece motti di vario tipo che vennero di volta in volta caricati sulle bande del vessillo (prevalentemente sul bianco) come “Unità e Indipendenza”, “Libertà, Umanità, Uguaglianza” (Carboneria), “Giovane Europa”, “Società dei veri italiani”, “Dio e popolo”, “I Lombardi”, ecc. Nel bianco del vessillo, contemporaneamente, si moltiplicarono – sostituendosi di volta in volta fra di loro – i fregi più svariati, associati o meno ai motti, quali aquile, fasci littori con o senza asce mono o bipenni, lance, spade, sciabole, pugnali, fucili, frecce, affusti di cannoni appaiati o incrociati, archi e turcassi, emblemi regionali (quali la Trinacria o i 4 Mori bendati), anche se Mazzini ne propugnava la totale abolizione.
Nel 1848, Carlo Alberto, all’alba delle Guerre per l’Indipendenza, adottò per le sue truppe un tricolore a bande verticali uguali con disposizione bianco, rosso e verde (anziché il tradizionale cisalpino verde bianco e rosso) gravato sulla banda centrale rossa di una croce bianca così da ottenerne l’emblema savoiardo. Ma già nel luglio dello stesso anno sostituì tale vessillo con un altro, tricolore a bande uguali verde, bianco e rosso, gravandone quella centrale con lo stemma savoiardo completo, rosso con croce bianca al centro inscritto in uno scudo sannitico bordato di azzurro: e questa fu la bandiera che venne assunta come simbolo del Regno d’Italia nel 1860.
Nel 1936 lo scuso Savoia venne sormontato da una corona imperiale dopo la conquista italiana dell’Abissinia e l’acquisizione da parte del re Vittorio Emanuele III del titolo di imperatore. Nel 1943, a seguito della drammatica divisione in due dell’Italia, questo tricolore rimase a simboleggiare l’Italia legittima al sud, mentre al nord comparve un tricolore gravato al centro della banda bianca di un fascio littorio bipenne nero (o di una aquila nera ad ali spiegate artigliante un fascio littorio) al posto dell’emblema savoiardo, espressione della Repubblica Sociale fascista. Al termine della Seconda guerra mondiale, nel 1946, con l’avvento della seconda Repubblica, il tricolore assunse l’aspetto attuale, che ripete quello “puro” mazziniano della Repubblica Cisalpina, a bande verticali uguali, verde, bianca e rossa, senza fregi né iscrizioni di sorta, e venne adottata dal Parlamento italiano il 19 giugno 1946 come “Bandiera civile e dello Stato” e suo emblema ufficiale tuttora in corso.