È illusorio pensare che il leader cinese Xi Jinping, nella pomposa solennità del XX Congresso del Partito Comunista che si apre domenica a Pechino, dedichi qualche minuto del suo intervento al tema della tutela dei diritti delle minoranze etnico-religiose? Realisticamente dovremmo rispondere di sì: non c’è nessun segnale che i poveri tibetani o uiguri abbiano qualche chances di veder diminuire la terribile repressione nei loro confronti. Xi Jinping, dopo aver riformato la costituzione (il segretario generale del Partito Comunista cinese avrebbe dovuto godere al massimo di due mandati quinquennali e invece Xi ha ottenuto di abolire, nel 2018, la regola voluta da Deng Xiaoping e ha cancellato tale tetto) ora ha davanti a sé la quasi certezza della rielezione, per la terza volta consecutiva, senza più alcun limite davanti a sé se non… la morte.
Proprio come Mao Zedong, il mito dei cinesi che conquistò la Cina attraverso una rivoluzione di stampo bolscevico, sconfiggendo i nazionalisti di Chiang Kai-shek e inaugurando poi il nuovo corso della Cina, proprio nel 1949, con il primo congresso del PCC della neonata Repubblica Popolare. Il sogno di Xi Jinping è proprio quello di emulare il mito del fondatore, traghettando la Cina nel III millennio verso la supremazia nel mondo. Siamo tutti, volenti o nolenti, “appesi” ai risultati di questo XX Congresso che dovrebbe consacrare il gruppo dirigente di quello stato che si sta candidando a cambiare, speriamo pacificamente, le geo-mappe del mondo.
Il vero obiettivo cinese? Superare gli States
Quella Cina che ha l’obiettivo di superare gli Stati Uniti entro il 2050 come stato guida dell’intero Villaggio Globale. I numeri del Congresso sono impressionanti. Nella grande Sala del Popolo di Pechino si raduneranno i 2296 delegati in rappresentanza dei circa 92 milioni di iscritti al Partito Comunista. Questi delegati eleggeranno i 200 membri effettivi con diritto di voto nel Comitato Centrale del partito, oltre a 176 membri supplenti. A sua volta, il Comitato Centrale eleggerà poi i 25 membri del Politburo. Di questo ristretto gruppo, 7 entreranno a far parte anche del Comitato Permanente del Politburo, l’organo più importante del partito.
Al vertice di questa piramide ci sarà il Segretario Generale che assommerà sulle sue spalle anche la Presidenza della Repubblica che verrà ratificata nel marzo del 2023 dall’Assemblea del Popolo. Xi Jinping assumerà anche la carica, non marginale o formale in tempi di “venti di guerra”, di Capo delle Forze armate. Insomma, sarà il “Presidente di tutto” con un obiettivo preciso da raggiungere: dopo tanti secoli di umiliazioni, ridare alla Cina un ruolo centrale negli equilibri mondiali. Dieci anni dopo il suo insediamento, il paese si è ormai affermato come una superpotenza in grado di competere proprio con gli americani.
I cardini della dottrina di Xi-Jinping
Rileggendo, in questi giorni, gli stralci del suo programma strategico che sottoporrà al vaglio dei 2296 delegati al Congresso, si possono evincere i punti chiave della sua dottrina. In estrema sintesi: la restaurazione e consolidamento del ruolo centrale del Partito Comunista nella società cinese; l’affermazione del potere cinese, sia economico sia militare, sul palcoscenico internazionale; la modernizzazione delle forze armate; l’aumento del controllo dello stato nelle aziende private.
Last but not … least, la repressione di ogni forma di contestazione politica e di tutte delle minoranze etnico-religiose come i citati tibetani e uiguri. La Cina non dovrà essere contaminata da minoranze rumorose e contaminate dai “cattivi” occidentali. Difficile pensare che il nuovo Politburo, anche se composto da qualche giovane talento formatosi nelle università occidentali, possa dare dei segnali di liberalizzazione nel campo dei diritti civili. In Cina regna la regola ferrea della cesura tra chi ha fino a 67 anni e chi ne ha più di 68. Ci deve essere nei vertici politici del paese, una rappresentanza equilibrata tra queste due diverse età anagrafiche, con un predominio per i più anziani.
Tempi di criticità tra pandemia, crisi del “mattone” e…
Vedremo se la corrente dei cosiddetti “giovani, under 67” potrà portare un vento di riforme improntate ad una maggior libertà di opinione e di religione tra le varie componenti della società cinese. Come aveva cercato di fare Deng Xiaoping. A quasi 70 anni di età, il successore di Mao dovrà anche gestire delle non banali criticità interne: ci riferiamo al rallentamento della crescita economica; alla crisi del mercato immobiliare; al fallimento nella lotta al Covid-19; all’aumento delle disuguaglianze economiche in un paese dove, secondo le indagini occidentali più accreditate, il 10% più ricco guadagna in media 14 volte in più del 50% più povero, “alla faccia dei principi marxisti”.
E, ancora, all’aumento dell’inquinamento ambientale che ormai ha raggiunto vertici terrificanti soprattutto nei grandi centri; all’invecchiamento della popolazione che porterà il 40% dei cinesi ad avere tra una trentina d’anni un costo per il sistema pensionistico difficilissimo da sostenere… insomma, tutto il mondo è paese! Secondo gli americani, è irrealistico pensare che Pechino possa voltare le spalle a Mosca: che Xi Jinping possa tradire “il patto di sangue” stipulato con Putin.
L’Europa, punto d’incontro tra Washington e Pechino
Nello stesso tempo, il leader cinese ha bisogno di un mondo in pace e non in guerra per poter più semplicemente sviluppare la sua voglia e il suo bisogno di espansione economica. E qui potrebbe emergere un ruolo importante per l’Europa e perché no per la nostra “Italietta”: invece di lasciare la gestione del confronto-scontro con la Cina soltanto a Washington, perché non candidarci come europei ad aprire un dialogo costruttivo con Pechino basato sul reciproco rispetto e sulla complementarità culturale, industriale e tecnologica dei due mondi?
Perché non concentrarci su una nuova strategia che ci consenta, a noi europei sempre, di diventare un nuovo ed importante punto di riferimento nei futuri e necessari colloqui che Washington e Pechino dovranno comunque avere per gestire, auspicabilmente insieme o comunque in due sfere di influenza separate ma confinanti, il futuro pacifico degli abitanti del Villaggio Globale. Anche se distante migliaia di chilometri da noi, il XX Congresso che si apre domenica costituirà una svolta per il futuro del nostro mondo: non distraiamoci, seguiamolo con attenzione, rispetto, spirito critico, curiosità proattiva per immaginare iniziative pacifiche di confronto, dialogo e costruzione di comunità rispettose dei diritti dei cittadini, delle nazioni e delle religioni.