Sì conclude, con questa puntata, il primo ciclo di articoli che Riccardo Rossotto, attento storico, oltre che editore de L’Incontro, ha dedicato a quello che successe a Torino nei giorni conclusivi della guerra civile. L’edizione torinese del Corriere della Sera pubblica a cadenza settimanale una versione ridotta di questi articoli, che la nostra testata riprende nella loro interezza.
Milo Goj
Il mese di marzo di ottant’anni fa è stato teatro di una carneficina. Il bollettino quotidiano è pieno di morti, di attentati, di fucilazioni, di rappresaglie. I nazifascisti sentono che la fine è prossima e sembra quasi che vogliano scaricare la rabbia che hanno dentro nella violenza contro partigiani e popolazione civile. Si macchiano di nefandezze tremende: “La pietà è morta!”.
Dall’altra parte, ci sono sentimenti analoghi, anche se di segno opposto: il sogno che tutto stia per finire si sta realizzando. L’insurrezione finale è vicina. Si scatenano iniziative mirate ad accelerare il processo finale per la liberazione dal regime fascista. Ci sono agguati alle forze della RSI che cercano di mantenere una parvenza di ordine anche in provincia. Ci si vendica dei soprusi, delle violenze, delle torture, dei misfatti subiti negli ultimi venti mesi di guerra senza quartiere.
Abbiamo riletto la terribile cronaca di quel marzo – aprile del 1945 attraverso la documentazione esistente nei fondi dell’Istituto Storico Piemontese della Resistenza (in particolare “L’insurrezione in Piemonte” – Editore Franco Angeli) incrociandola con le memorie di chi c’era in quei giorni in città e ha partecipato o solo assistito a quel massacro, a quell’esplosione di odio e di violenza.
Quello che sorprende nella lettura di tanti anni dopo, è che gli attentati avvenivano proprio nel centro della città, nelle vie, nelle strade e nelle piazze che percorriamo ancora oggi, magari tutti i giorni, senza pensare alle tragedie accadute di quei luoghi. Sì certo, ci sono le lapidi dei caduti, necessariamente sintetiche nell’identità della vittima e nella data della sua morte. Ma non dobbiamo dimenticarci che dietro ad ognuna di quelle lapidi (così come dietro ognuna di quelle pietre di inciampo che ricordano gli ebrei perseguitati e imprigionati a Torino) c’è una storia, un essere umano, una tragedia, un episodio e una vita spesso sconosciuti o dimenticati.
Abbiamo cercato di estrapolare dalla cronaca di quella vigilia della liberazione di Torino, i fatti apparentemente più rilevanti, non solo quelli che compongono l’atroce contabilità dei morti ammazzati, ma anche quelli significativi per riportarci, a distanza di anni, nel clima, nelle atmosfere, negli incubi, nelle paure e nel dolore delle tragedie personali e famigliari dei torinesi che erano in città proprio ottant’anni fa. Ne abbiamo selezionati alcuni di questi accadimenti e li abbiamo sistematizzati all’interno di un micro- calendario di quel marzo e inizio aprile 1945, fino al 17 di aprile, quando fu proclamato quello sciopero generale per il giorno successivo di cui abbiamo parlato, attraverso la testimonianza di Raimondo Luraghi.
1° marzo 1945: il segretario federale del partito fascista Giuseppe Solaro propone a Vittorio Valletta di creare un ufficio per preparare la “socializzazione alla Fiat”. Riceve una risposta negativa. Contemporaneamente Valletta comunica agli azionisti e ai dirigenti tutte le istruzioni per l’ostruzionismo verso le elezioni dei rappresentanti dei lavoratori, volute dal RSI.
3 marzo: cambia il direttore de La Stampa. Al posto di Concetto Pettinato, destinato ad altro incarico in quanto “responsabile e colpevole” di aver scritto mesi prima l’articolo “Se ci sei batti un colpo”, viene nominato Francesco Scardaoni. È immediata la reazione dei redattori che esprimono la loro protesta con un telegramma a Mussolini.
5 marzo: nei pressi di Lombriasco, i partigiani attaccano due treni della linea Torino-Saluzzo dove sono saliti con le loro biciclette una ventina di soldati tedeschi: nella sparatoria rimangono uccisi due soldati tedeschi e due civili. A Torino, in Via Villafranca, è rinvenuto ferito mortalmente a colpi di mitra uno sconosciuto che muore poco dopo il ricovero in ospedale.
6-7-8 marzo: dura tre giorni la battaglia di Cisterna d’Asti. I reparti della RSI devono battere in ritirata e lasciano sul terreno, nelle tre giornate di scontri, 158 morti e 205 feriti perdendo un gran quantitativo di armamenti. La 6a Divisione partigiana del colonnello Otello fu la grande protagonista della vittoria.
9 marzo: si svolgono alla Fiat le elezioni per le rappresentanze sindacali e l’avvio della Socializzazione. Abilmente contrastate da industriali, tedeschi e partigiani, falliscono per la non partecipazione dei dipendenti. Piero Bairati nella sua biografia su Valletta, ci riporta il testo di una comunicazione che il dirigente della Fiat fece agli alleati proprio a seguito di quell’elezioni: “Gli operai comunisti stavano a vigilare i votanti presso le urne. Gli operai passano e non votano. I votanti sono solo lo 0,16%. Grande scandalo negli ambienti fascisti”.
L’ex prefetto di Torino Zerbino, divenuto Ministro degli Interni, che conosce bene la situazione torinese, convocherà pochi giorni dopo, il 20 di marzo, il vertice della Fiat.
12 marzo: a Torino, nella centralissima chiesa di San Carlo, si svolge il funerale dei caduti della battaglia di Cisterna. Il cardinale Fossati officia la funzione e benedice le salme. Durante i funerali avvengono scontri nei dintorni di Piazza San Carlo.
13 marzo: attentato ad un treno diretto a Torino, vicino alla stazione di Villafranca. Muoiono 17 alpini della Monterosa: pare nasca in quella circostanza il terribile: “Pietà l‘è morta!”.
17 marzo: un paio di disertori, sempre della divisione alpina Monterosa, prendono accordi con il comandante partigiano Piero Urati (“Piero Piero”) per far scomparire, proprio alla vigilia della fine della guerra, la cassa della divisione Monterosa: si parla di circa 135 milioni di lire del 1945. Secondo alcuni, i soldi saranno consegnati a Pierluigi Passoni e mai più ritrovati (Storia verità n. 23 – 24 del settembre-dicembre 1995).
18 marzo: a Torino, in Via Goffredo Casalis, viene sorpreso in strada il partigiano Michele Vicari: breve conflitto a fuoco che si concluder con la morte.
20 marzo: il Ministro Zerbino incontra i responsabili della Fiat Valletta e Camerana. Dopo essersi chiesto come faccia la Fiat a pagare migliaia di dipendenti senza produrre nulla, Zerbino si dice costretto a ritenere che sacchi di sterline piovano dal cielo e dice a Valletta e Camerana: “Il Duce ha mandato me a Torino perché la questione è di ordine pubblico. Pensateci bene perché, se saremo costretti, le vostre persone di dirigenti saranno fisicamente estraniate dall’azienda e una volta estraniate, ognuno di voi potrà essere chiamato a rispondere di reati come questi: intelligenza con il nemico, sabotaggio della guerra” (Piero Bairati, op. cit.).
23 marzo: una commissione speciale del CLN, nominata nel novembre 1944, riconosce il senatore Agnelli, Camerana e Valletta colpevoli di “collaborazionismo con il fascismo”, malgrado i finanziamenti della Fiat ai partigiani socialisti (Piero Bairati, op. cit.).
25 marzo: mentre a Castellamonte si svolgono i funerali di Gina Peila, uccisa dai partigiani, i tedeschi fucilano per rappresaglia quattro partigiani e affiggono sui muri il seguente avviso: “Il giorno 15 marzo banditi hanno prelevato e ucciso cerca Gina Peila, già occupata presso il comando tedesco. Il giorno 23 banditi hanno assaltato nei pressi del Ponte di Chiusella un gruppo di soldati germanici, uccidendone uno. in considerazione di questi vili assalti ed assassini, non si fa più uso della intenzionata grazia che si voleva concedere a quattro banditi, condannati a morte dal tribunale marziale. Le condanne sono state eseguite oggi a Castellamonte mediante fucilazione”.
28 marzo: alle 6,30 del mattino viene arrestato il comandante del CLN militare piemontese, generale Alessandro Trabucchi. Viene portato all’Albergo Nazionale e poi trasferito alle carceri Nuove. Pur essendo la più alta carica della lotta clandestina, non gli verrà torto un capello: “Non subii né maltrattamenti né insulti o torture – dirà poi Trabucchi – al di fuori delle pistole spianate mentre scendevo le scale, le SS si mostrarono corrette e deferenti”.
29 marzo: il CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) in accordo con il governo Bonomi e con i piani delle forze alleate stabilisce un piano di insurrezione generale, sottolineando come i CLN regionali assumeranno il governo delle loro zone.
30 marzo: gli alpini della Monterosa si schierano con due batterie al Monginevro e con una batteria a La Thuille. Il 26 aprile respingeranno un attacco francese, nonostante la resa di tutta l’armata fosse ormai stata sancita. Resisteranno sul posto fino al 7 maggio, quando si arrenderanno agli americani: sarà l’ultimo reparto della RSI a cessare il combattimento.
1° aprile: è il giorno di Pasqua e le chiese sono affollate di torinesi che sentono l’avvicinarsi della liberazione.
2 aprile: si gioca il derby calcistico tra Torino e Juventus interrotto per risse in campo e sparatoria sugli spalti ad un quarto d’ora dalla fine.
Il colonnello Stevens, accompagnato dal suo secondo Dodson, torna in zona dopo un mese di assenza passato nelle Langhe. Viene accolto dal comandante Mauri e atterra sulla pista partigiana dell’aeroporto di Vesime, vicino a Bobbio. Lo seguiranno, pochi giorni dopo, cinquanta paracadutisti. Il colonnello Stevens ha il compito di coordinare le azioni partigiane in vista dell’offensiva finale alleata. Si stabilisce momentaneamente a Carrù.
3 aprile: il CLN, in vista della fine della guerra, ordina alle diverse formazioni partigiane di trasformarsi in reparti militari regolari, cambiando nome (non più garibaldini, autonomi, giellini), ma semplicemente “volontari della libertà”.
5 aprile: alle 13,15 avviene l’ultimo terribile bombardamento anglo-americano su Torino. I bollettini parlano di 72 morti e almeno 100 feriti. È la 56a incursione sulla nostra città. Torino ha subito complessivamente 1454 minuti di bombardamenti, 6820 bombe dirompenti, 300.000 spezzoni incendiari. Dei 2154 aerei che vi hanno partecipato, solo 15 sono stati abbattuti (La Stampa – 10 aprile 1945).
7 aprile: al comando della Guardia Nazionale Repubblicana arrivano ordini per un eventuale abbandono della città: “L’eventuale movimento di ripiegamento, quando iniziato, deve essere condotto, sull’itinerario stabilito e successivamente proseguito, senza soste, fino a Lecco per concludersi in Valtellina”.
10 aprile: mentre Luigi Longo dirama le direttive del PC per la realizzazione dell’insurrezione generale, arriva a Torino il colonnello Stevens per coordinare e controllare la presa della città da parte dei partigiani. Stevens dimostra di non avere una grande stima dei partigiani e li considera poco coraggiosi “Non sono nemmeno in grado di attaccare un presidio fascista di 30-40 uomini, non perché mancano gli uomini e i mezzi, ma perché hanno paura”. Non stima neanche i comandanti delle brigate che considera scadenti. D’accordo con il generale Clark, comandante delle forze alleate in Italia, cercherà di rimandare il più possibile la data dell’insurrezione. Gli alleati non si fidano dei comunisti che potrebbero insediarsi al potere a Torino.
11 aprile: il notissimo Bar Combi di Piazza Castello, di proprietà della famiglia del famoso portiere della Juventus, viene chiuso per cinque giorni dalle autorità fasciste per “Esosità dei prezzi”.
12 aprile: la morsa si stringe. Si arrende il presidio tedesco di Bra. A ricevere la resa il comandante della 12a divisione partigiana “Bra”. Il documento precisa che il comandante tedesco rimane nella sua carica in condizioni di resa incondizionata; la città di Bra sarà considerata virtualmente libera; durante le azioni partigiane i tedeschi non dovranno uscire dalla caserma né daranno aiuto o asilo ai fascisti.
13 aprile: Palmiro Togliatti riconferma il disegno politico dell’insurrezione e sottolinea che l’uccisione dei fascisti deve essere attuata anche in contrasto con le direttive degli alleati che hanno in pratica ordinato alle formazioni partigiane di sospendere ogni iniziativa e di attendere che le grandi città siano occupate dagli alleati stessi.
16 aprile: aerei alleati mitragliano un convoglio tranviario presso Moncalieri: 4 morti e 6 feriti. In città è evidente la volontà dei reparti nazifascisti di non arrendersi: si organizzano le difese contro l’insurrezione e si preparano i dettagli operativi per i “franchi tiratori”.
17 aprile: il CLN emana l’ordine di sciopero generale con decorrenza dalla mattina del giorno dopo.
Riccardo Rossotto