L’hanno definita un’amicizia fragile. Una relazione controversa vissuta con reciproci pregiudizi basati su vecchi stereotipi da barzelletta. Se ci limitassimo agli ultimi 150 anni circa, dall’unificazione dell’Italia e della Germania, intervenute nello spazio di un decennio esatto (1861 l’Italia, 1871 la Germania) potremmo giudicare le relazioni tra i due paesi come ondivaghe. Un insieme di episodi che alternano alleanze a conflitti, tradimenti a vendette, pacificazione a rancore.
La cifra dei rapporti tra le due nazioni è davvero peculiare. Si passa dall’epoca in cui Bismarck impara (come scriverà nelle sue memorie) la lezione di Cavour e del piccolo Regno di Sardegna, per portare la Prussia a diventare il leader della unificazione tedesca, a quella della sottoscrizione di un’alleanza politica, economica e militare come la Triplice Alleanza del 20 maggio 1882, fino alla brusca, imprevista e traumatizzante crisi del maggio 1915, quando l’Italia di Salandra, dichiara guerra all’Austria e alla Germania, dopo aver firmato clandestinamente il Patto di Londra e cioè l’alleanza con le nazioni dell’Intesa: Francia, Gran Bretagna, Russia e poi Stati Uniti d’America. Il Patto d’Acciaio del 22 maggio 1939, sottoscritto dagli emissari di Hitler e Mussolini, suggella una nuova e forte intesa tra le due nazioni, tornate amiche, alleate e portabandiera dei nuovi valori imperanti in quell’epoca del fascismo e del nazional-socialismo.Un Patto che ci porterà all’entrare in guerra, il 10 giugno 1940, a fianco della Germania hitleriana. L’8 settembre 1943, con la proclamazione dell’armistizio di Cassibile firmato 5 giorni prima, il 3 settembre, l’Italia esce dall’Alleanza con i nazisti, scatenando la reazione violenta in una Germania che si sente tradita per la seconda volta in neanche trent’anni dal suo ex alleato italiano.
Poi, nel secondo dopoguerra, le ferite si cicatrizzano anche se con molta fatica da entrambe le parti.
I due stati risorti sulle ceneri dei due regimi dittatoriali, si ricostruiscono insieme, rilanciando le loro economie distrutte dalla guerra e dalla violenza perpetrata da Hitler e da Mussolini. L’Europa e il Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea di Roma del 25 marzo 1957, fanno risedere allo stesso tavolo il presidente della Repubblica italiano Antonio Segni e il presidente del Consiglio tedesco Konrad Adenauer. Da quel momento la rivalità tra i due paesi sarà solo più sportiva. La Germania apre le proprie frontiere agli emigrati italiani che possono trovare un lavoro anche se in un contesto difficile e spesso ostile; l’Italia, da parte sua, diventa la destinazione vacanziera preferita dai tedeschi. L’interscambio tra i due paesi aumenta di anno in anno e la collaborazione commerciale ed economica è ormai irreversibilmente consolidata. Il 4-3 allo stadio Azteca di Città del Messico, ai mondiali del 1970 offre agli italiani in Germania un momento di rivincita, almeno calcistica. Nel complesso, anche nello sport, le due nazioni si dividono equamente vittorie e sconfitte.
Ci chiedevamo, all’inizio, perché dunque si parli di una amicizia definita fragile. Ha provato ad aiutarci nella risposta una indagine demoscopica commissionata dalla Fondazione tedesca Friederich Ebert,realizzata dalla società italiana Ipsos su un doppio campione di 1650 intervistati in ciascuno dei due paesi. Ne emerge un quadro interessante e per certi versi anche sorprendente. I tedeschi giudicano gli italiani come un popolo di velleitari ottimisti, rilassati e goderecci. Le famose cicale. Di contro, noi italiani consideriamo i tedeschi come ossessionati dalle regole, seri ma molto rigidi. Le famose formiche. Su un quesito dell’indagine, il campione degli intervistati ha risposto in modo uniforme: sia i tedeschi sia gli italiani valutano positivamente la situazione tedesca e negativamente quella italiana. Gli italiani considerano la Germania come il paese delle opportunità di lavoro, i tedeschi vedono l’Italia come il luogo delle vacanze e del piacere. L’immagine che gli italiani hanno della Germania è di molto superiore a quella che i tedeschi hanno per il loro stato. Il report fa emergere un rapporto amichevole tra le due nazioni caratterizzato però da una serie di conflitti più o meno latenti. Il 52% degli italiani ha fiducia nella Germania: soltanto il 36% dei tedeschi ha fiducia nell’Italia. I tedeschi sono molto più consapevoli del proprio ruolo in Europa e dell’importanza dell’Unione Europea: in Italia c’è molto più scetticismo e autocritica.
La maggioranza dei tedeschi e degli italiani intervistati ha manifestato il proprio consenso al sostegno di una politica che porti avanti un indebitamente congiunto degli stati membri dell’Europa per far fronte alle conseguenze economiche della pandemia. I tedeschi, come dicevamo, valutano la relazione con gli italiani amichevole anche se caratterizzata da una certa diffidenza: gli italiani parlano più realisticamente di opportunità di business insieme, quindi di un partenariato nel quale però si sentono come un socio più debole e meno influente.
I tedeschi, infine, conoscono molto meglio il nostro paese in quanto noi italiani conosciamo la Germania. Più del 70% degli intervistati teutonici, ha già visitato l’Italia: meno del 30% degli italiani ha visitato la Germania. In definitiva esistono ancora degli stereotipi ma il miglioramento delle relazioni c’è stato anche se la memoria storica lascia ancora parecchi dubbi e diffidenze nel cuore e nel cervello dei tedeschi.
La campagna per combattere pregiudizi e sciocchezze sull’Italia di Philipp Heimberger L’economista austriaco Philipp Heimberger del Vienna Institute for International Economic Studies ha lanciato nel 2020 sui social network una campagna per combattere i pregiudizi e gli stereotipi sul nostro Paese (Campaing against nonsense about Italy – #CANI, è l’acronimo).
“Di recente – spiega il giovane economista austriaco – ho visto di nuovo talmente tante falsità nei media di lingua tedesca, nelle loro rappresentazioni dell’Italia, che ho pensato: se voglio un cambiamento devo impegnarmi concretamente. Così ho pensato di twittare dei dati. Numeri che smentiscono la narrazione comune dell’Italia spendacciona che vive al di sopra dei propri mezzi. C’è una percentuale allarmante di persone in Germania, Austria, Olanda o altri paesi dell’UE che semplicemente non conoscono i numeri che riguardano l’Italia”.
Alla domanda della giornalista di Repubblica Tonia Mastrobuoni sul fatto che l’Italia sia sempre stata un contribuente netto dell’Unione Europea, e che, su questo fatto, esista una grande ignoranza in tutta Europa, Heimberger ha risposto così: “Da un lato le semplificazioni, come quella del paese spendaccione, raggiungono molte più persone facilmente rispetto a dei fatti più complicati che bisognerebbe comunicare, leggere ed approfondire per capire davvero la realtà. Per esempio quando Der Spiegel scrive l’ennesima storia sull’Italia che si sta autodistruggendo perché non in grado di riformarsi, si può facilmente dimostrare come l’Italia abbia fatto molte delle cose di cui si è parlato negli ultimi decenni. Che esiste però una forte contro-narrazione che può raggiungere tante persone anche perché è una narrazione meno accattivante. Ma siccome i luoghi comuni sull’Italia possono essere confutati con i dati è quello che cerco di fare con la campagna #CANI”.
Nei paesi “frugali” esiste, dunque, una falsa narrazione del nostro paese.
“La narrazione di una Italia spendacciona e inaffidabile – continua Philipp Heimberger – funziona, buca il video, ti fa ricavare un vantaggio politico a breve. La cosa spiacevole è che la crescente polarizzazione politica in Europa è anche guidata da queste narrazioni divisive. L’Italia è una vittima prediletta, perché il suo debito pubblico era già più alto che altrove prima della pandemia. I tedeschi, gli austriaci e gli olandesi non hanno torto nel dire che è una bomba a orologeria. Ma la verità è che anche i tagli alle spese sono stati fatti nei posti sbagliati, per esempio nel sistema sanitario”.
L’economista austriaco aggiunge: “Ho l’impressione che la stagnazione degli ultimi vent’anni e ora questa sequenza di crisi economiche siano state un terreno fertile in Italia per il populismo, ma anche per un certo fatalismo. Penso che la reazione più sbagliata sia quella di picchiare duro contro l’Italia… La mia speranza è che ora non ci si fermi al Recovery Fund. Spero che questo fondo contribuisca davvero a far sì che l’Italia recuperi ciò che ha perso negli ultimi quindici anni e che dopo si proceda su questo sentiero dell’ulteriore integrazione europea. Dobbiamo augurarci che l’Italia possa annientare questo spirito fatalista, che è stato spesso, e rischia di essere anche in futuro, una profezia che si avvera”.
Leggendo le dichiarazioni di Heimberger ci viene istintivo pensare non solo che qualcuno in Europa ci ami ancora, ma che potremmo essere molto più stimati e considerati affidabili, se uscissimo anche noi italiani da una narrazione in cui ci crogioliamo stupidamente chi ci vede come talentuosi ma spreconi, creativi ma non affidabili. Insomma, fintanto che noi stessi saremo portati a definirci come i personaggi delle barzellette sulle differenze fra i cittadini dei vari stati europei, come potremo sperare di convertire questa pessima immagine che abbiamo nei vari paesi dei nostri partner europei?
Dovremmo ripartire di lì per aiutare gli amanti dell’Italia, come Philipp Heimberger, a ridarci un posizionamento corretto, adeguato e propositivo nell’ambito della nuova Europa.
Riccardo Rossotto