I giuristi americani non schierati a favore delle Over The Top sostengono che il paragrafo della sezione 230 del Communications Decency Act del 1996 costituisca un vulnus da riformare.

In base a tale principio, scriveva recentemente su Repubblica Riccardo Staglianò, se qualcuno fa un tweet maledicendo o insultando un terzo, non ce la possiamo prendere con Twitter.

Infatti, il citato paragrafo della sezione 230 della legge americana del 1996, recita: “Nessun fornitore o utilizzatore di un servizio interattivo telematico sarà trattato come un editore o un portavoce delle informazioni prodotte da un altro fornitore di contenuto”.

Jeff Kosseff, giurista alla US Naval Academy e autore del libro “Le 26 parole che hanno permesso la creazione di internet”, è uno dei più autorevoli sostenitori del movimento che vorrebbe una immediata e profonda riforma della sezione 230.

Quelle 26 parole, apparentemente insignificanti, rappresentano un macigno, un ostacolo insormontabile, per poter sperare di responsabilizzare le Media Company (che contestano ovviamente di esserlo!) sui contenuti che diffondono.

Anche in Italia, la giurisprudenza si è divisa tra chi considera gli internet provider come dei semplici librai e chi invece li considera come degli editori di contenuti.

Nel primo caso, la magistratura ha assolto sempre le Media Company in caso di contenuti illeciti, equiparandole a dei semplici venditori di libri che quindi non rispondono legalmente dei contenuti degli stessi, salvo che dalla copertina o dal titolo non sia lampante un contenuto illecito della pubblicazione.

Nel secondo caso, equiparando gli internet provider a degli editori, i giudici hanno applicato le norme contenute nella Legge sulla Stampa, secondo le quali l’editore e il direttore sono responsabili dei contenuti della pubblicazione secondo il principio generale della “responsabilità oggettiva”.

Il tema è dunque vitale per il futuro della Rete: se passasse la riforma della sezione 230 del Communications Degency Act, le Media Company dovrebbero organizzarsi per poter controllare direttamente tutti i contenuti diffusi: in caso contrario risponderebbero comunque di quanto pubblicato.

Nascerebbe quindi un deterrente allo sviluppo insensato e apparentemente inarrestabile delle fake news o comunque delle campagne di odio che oggi, purtroppo, caratterizzano una gran parte dei contenuti del web.

Un altro autorevole giurista che si è occupato recentemente di fare il punto sullo stato dell’arte della Rete, 30 anni dopo la sua nascita, è stato l’onorevole Luciano Violante.

L’ex Presidente della Camera, oggi presidente della Fondazione ItaliaDecide – un think thank che si occupa di approfondire grandi temi strategici che non riusciamo, nel nostro Paese, ad affrontare e risolvere – sulle colonne del Corriere della Sera, ha provato a sviluppare un’analisi articolata del fenomeno.

Il suo ragionamento parte da una constatazione: “La rivoluzione digitale non è un puro strumento. I cambiamenti riguardano già e riguarderanno sempre di più i sistemi politici e la democrazia. Ma non si tratta di semplici innovazioni; è un cambiamento di paradigma. E’ bene perciò non essere impreparati e andare alla radice delle trasformazioni”.

Esistono, secondo Violante, due diverse società: quella analogica e quella digitale. La prima tipica della vecchia generazione (oltre i 40 anni), la seconda (sotto i 40 anni) tipica delle nuove generazioni.

La prima, quella analogica, è destinata a contare sempre meno e ad esaurirsi anche per questioni anagrafiche.

La seconda, quella digitale, sarà l’unica nel nostro prossimo futuro.

Chiarito tale approccio, Violante presenta nove tesi per gestire e non subire la rivoluzione in atto.

Vediamole singolarmente.

Tesi 1

La società analogica è fondata sul principio di rappresentanza, sui corpi intermedi, sulla trasparenza dei metodi di formazione delle classi politiche e dirigenti, sul controllo del loro operato e sulla loro sostituibilità.

Tesi 2

La società digitale è caratterizzata dalla disintermediazione, dalla decisione politica diretta. Tutti possono dialogare con tutti, senza bisogno di mediatori.

Chiunque può convocare manifestazioni, creare campagne di opinione, rimanendo seduto davanti al suo computer.

Da questa possibilità tecnologica deriva l’equivalenza, almeno sulla carta, di tutti i cittadini (il famoso slogan “Uno vale uno”). Vi è quindi una negazione a priori delle élite e della conoscenza, salvo che ci si dimentica che esistano le élite del potere economico alle quali appartengono i padroni della Rete.

Nella Rete quindi c’é il rischio di una libertà senza responsabilità.

Tesi 3

Nella società analogica il leader è quello che prende più voti: in quella digitale il leader è quello che ha più followers.

Il modo di prendere i followers è del tutto diverso dal modo di conquistare i voti.

Ma ai followers seguono i voti: il caso Salvini insegna.

Senza followers è difficile prendere voti.

Tesi 4

Il Movimento 5 Stelle è il più significativo frutto politico della società digitale.

Forse le sue proposte – scrive Violante – esprimono il cambiamento e l’obiettivo di sfruttarlo a proprio vantaggio.

In questo contesto la riduzione del numero dei parlamentari, il Referendum propositivo, le consultazioni in Rete, al di là della loro correttezza metodologica, l’attacco alle élite della politica e della conoscenza, sono gli slogan caratteristici di questo movimento.

Tesi 5

Tra queste proposte del Movimento 5 Stelle, alcune sono positive, altre sono ingannevoli.

L’inganno più pericoloso è la disintermediazione.

Non è tanto la cancellazione dei mediatori il problema, ma la loro sostituzione occulta.

Le vecchie élite si presentavano come tali sulla scena politica, erano scalabili e avevano statuti conoscibili.

I nuovi mediatori non si presentano come tali, non sono trasparenti, non hanno statuti visibili.

Sul piano interno, la mente corre alla Casaleggio & Associati” – scrive Violante. Sul piano generale quelli che hanno il potere in mano sono i baroni della Rete. Appaiono disponibili a darci comodamente, rapidamente, gratuitamente o a costi accettabili, i servizi che richiediamo.

In cambio noi consegniamo loro gratuitamente e liberamente tutti i nostri dati.

Se fosse lo Stato a richiederceli, partirebbero campagne di stampa contro uno Stato dittatore. Invece niente!

Non è in corso una disintermediazione – sostiene Violante – è in corso una reintermediazione”.

Tesi 6

I nuovi mediatori orientano la nostra vita in misura maggiore rispetto ai vecchi. Ma non sono trasparenti e i rischi sono di conseguenza facilmente individuabili. Per i mediatori occulti non ci sono né regole né contropoteri: hanno pertanto la possibilità di esercitare sulle nostre vite un potere infinito.

Se i parlamentari possono essere svuotati da forme di partecipazione diretta manipolabili da una eterodirezione invisibile, sarà inevitabile la formazione di nuovi dispotismi politici”.

Tesi 7

La difficoltà del passaggio da una società analogica ad una digitale in Italia sembra ancora più difficile e grave rispetto ad altri paesi in quanto, secondo Violante, non esiste una consapevolezza delle potenzialità della Rete e di una responsabile cultura del digitale.

Tesi 8

Nel nostro Paese il mondo pubblico è prevalentemente analogico, quello privato è digitale.

La disaffezione nei confronti dei partiti e del Parlamento è in gran parte determinata proprio dalla difficoltà che questi due soggetti, fondamentali in una democrazia liberale, hanno nello svolgere le loro funzioni in una società profondamente mutata. Parlano due lingue diverse, rischiano di non capirsi e di allontanarsi sempre di più.

Tesi 9

Abbiamo bisogno di nuove culture politiche: “Consapevoli del cambiamento, per garantire democrazia, diritti e fiducia nella società digitale”. Dobbiamo rispondere positivamente a quesiti di questo genere: “C’è spazio per la rappresentanza nella società digitale? Come mettere in guardia dalle manipolazioni l’opinione pubblica? Quali sono i limiti della democrazia deliberativa? Come rendere pubblici, controllabili e scalabili i nuovi mediatori? “

In conclusione – scrive Violante – come rifondiamo la democrazia per evitarne il tramonto?”

Riccardo Rossotto

Riccardo Rossotto

"Per chi non mi conoscesse, sono un "animale italiano", avvocato, ex giornalista, appassionato di storia e soprattutto curioso del mondo". Riccardo Rossotto è il presidente dell'Editrice L'Incontro srl

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