Livio Frittella è un giornalista romano del Giornale Radio Rai che ha scritto diverse opere curiose, come “Italiani. Citazioni, aforismi, pensieri sugli abitanti del Belpaese”, edito da Neri Pozza. Inoltre “Le parole dello spettacolo. Dizionario di cinema, teatro, radio, televisione” per Lindau, così come “Olimpionary. Dizionario dei termini sportivi”, edito da Stampa Alternativa.

Ora ha provveduto a cambiare del tutto genere. E’ passato al giallo che più giallo non si può. Si tratta, infatti, di un giallo all’inglese non solo per tipologia classica, alla Agatha Christie, ma anche per ambiente – siamo a Wordingham, un luogo fittizio, inventato dall’autore, ma molto simile a un toponimo analogo nel Surrey, vicino a Londra, che è Woldingham, ovvero con in mezzo la ‘L’ invece della ‘R’. Parliamo di “Ingannevoli apparenze”, edito da Robin.

Livio Frittella, ami così tanto il giallo all’inglese da non immaginare la storia che racconti – quella di una famiglia numerosa che si riunisce intorno al padre e marito per il suo compleanno e finisce in tragedia – in ambiente, atmosfere e con personaggi italiani?

Al di là della scelta di assecondare i richiami a una certa letteratura di genere che mi ha sempre appassionato, quella classica britannica (l’Agatha Christie che citi, ma anche Edgar Wallace e Arthur Conan Doyle, nonché Jerome K. Jerome e P. G. Wodehouse nelle descrizioni con sfumature humour), ho deciso di collocare la storia di ‘Ingannevoli apparenze’ in Gran Bretagna. Questo perché per dinamica, caratteristiche dei personaggi e situazioni vissute mi era impossibile immaginarne lo sviluppo in Italia. Nessuna preclusione, quindi, per un’ambientazione nel nostro Paese. Semplicemente ho trovato che non le si attagliasse.

Anche il fascino dell’isola delle Antille in passato colonia del Regno – St. Lucia, la seconda delle location in cui la narrazione si dipana – mi ha fornito uno spunto per ‘condire’ di accenti esotici e misteriosi tutto il racconto. In più, era necessario che l’azione si svolgesse in tempi antecedenti al nostro, per la precisione nel periodo che va dagli anni Venti ai Settanta del Ventesimo secolo. Questa ‘retrodatazione’ è uno dei due motivi per cui ho definito questo giallo ‘vintage’ nel sottotitolo. L’altra ragione è l’impiego di metodi di indagine deduttivi come nella tradizione del mystery classico, e l’inserimento di elementi distintivi tipici quali la presenza di tanti possibili colpevoli, l’ambiguità dei personaggi con le loro diverse reazioni alla tragedia che si consuma nella seconda parte, il dramma stesso che irrompe in una sorta di ‘camera chiusa’ (nella fattispecie la villa di campagna di Wordingham).

Tu mi hai ricordato gli anni Cinquanta quando gli scrittori italiani scrivevano gialli ambientati in Inghilterra o in America firmandosi con pseudonimi angloamericani, perché il giallo ambientato in Italia non tirava. Oggi, però la situazione, non dico che si è rovesciata, ma giallisti italiani con storie ambientate in Italia e investigatori italiani hanno molto successo se pensiamo ad autori come Loriano Macchiavelli, Giancarlo De Cataldo, Massimo Carlotto, Lucarelli e altri. Te la senti di affrontare questa sfida?

In realtà non ho mai voluto andare controcorrente, contrapponendomi intenzionalmente ai crime metropolitani e ai noir territoriali che tanto abbondano e che sono così in voga di questi tempi. Né perseguivo particolari propositi di originalità nei confronti di una letteratura gialla ormai diventata mainstream. Fra l’altro, apprezzo molto gli autori che hai elencato, e ad essi aggiungerei Carofiglio, Malvaldi, De Giovanni, Genisi, Venezia… e altri.

Ho scelto il mystery classico perché mi piace, soprattutto da lettore. Amo arrovellarmi su come evolverà la storia, adoro essere sorpreso dalle svolte inaspettate. Per questo ho riempito la seconda parte di ‘Ingannevoli apparenze’ con una serie di colpi di scena capaci, mi auguro, di tenere chi legge col fiato sospeso, cercando di avvicinarmi più possibile all’ideale di romanzo ‘page turner’, che tiene inchiodati al libro fino alla fine.

Tutto il tuo giallo gira sostanzialmente intorno a un unico delitto. Ed è un giallo corposo, di ben 326 pagine, che altri autori avrebbero riempito di altri morti ammazzati. Mi sembra che il tuo interesse maggiore sia stato rivolto alle miserie dell’animo umano e ciò che si nasconde dietro le apparenze di una vita, anzi della vita di tutti. É vero?

Analisi perfetta. Ho cercato di disegnare i personaggi a tutto tondo facendo attenzione ad esaltare le varie sfumature dei caratteri e le diverse sfaccettature dei comportamenti: non bisogna mai fermarsi alle apparenze, perché ingannano!

In verità, il libro si tinge di giallo in tutto il suo svolgimento. Nella prima parte – divisa fra autobiografia del protagonista Arthur Cartwright e presentazione dei personaggi principali attraverso scene di vita vissuta – c’è il mistero dei tre attentati all’incolumità del giovane Arthur, che verrà svelato solo nell’epilogo. Poi, ovviamente, nella seconda parte ecco esplodere il dramma più devastante, con le conseguenze che ne derivano e le numerose rivelazioni che ne scaturiscono, in occasione della festa per il 70esimo compleanno del protagonista.

Questo è il tuo primo romanzo, al termine di una serie di libri dedicati agli argomenti più vari, dagli spettacoli allo sport ai templari. Cosa prevedi per il futuro?

Per ora nulla in cantiere per quanto riguarda la saggistica anche se sono sempre a caccia di idee. Sto invece lavorando a una nuova trama poliziesca, con diversa ambientazione sia cronologica che geografica (non un sequel), e presto sarà pubblicato un mio romanzo giallo umoristico, una specie di incrocio narrativo fra la ‘Fattoria degli animali’ di Orwell e le indagini di Sherlock Holmes… Suspence!

Diego Zandel

 

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