Il progetto dell’Incontro on-line nasce da due speranze.

Da un lato, il cercare di evitare la “morte civile” di una testata che ha rappresentato negli ultimi 70 anni un punto di riferimento della cultura liberal nel nostro paese. Fondata e diretta da un grande protagonista del ‘900 che ne ha vissuto e sopportato tutte le tragedie.

Dall’altro lato, di tenere aperta la porta a ragionamenti articolati, strutturati, diversi dalla moda di questo “spirito del Paese” che ci sta fagocitando tutti in questo confuso, complesso e contraddittorio 2019.

L’obiettivo di questa rivista, sperando che non sia velleitario, è quello appunto di portare avanti i valori di riferimento di Bruno Segre coniugandoli con la modernità di questo terzo millennio per ora stravolto dalla rivoluzione digitale originata dalla diffusione del mondo del web.

Siamo testimoni tutti i giorni di come il vizio del presentismo condizioni la nostra vita quotidiana: assistiamo sgomenti ad una leadership politica che invece di avere una chiara visione del come fare uscire questo Paese dalla palude dello stallo che lo attanaglia da più di vent’anni, si limita a dei ragionamenti propagandistici, legati a fatti per lo più marginali, mai improntati ad una visione di medio/lungo termine e sempre fortemente radicati nella polemica politica dell’attualità.

Insomma, come ho già scritto di recente, il Governo del Cambiamento si è rivelato il Governo del Nulla: tante chiacchiere da bar sempre improntate a ragionamenti brevi, a facili slogan sincopati, alla schiavitù di una lettura breve contaminata da internet e dalla straordinaria velocità di trasmissione dei dati che caratterizza la rivoluzione digitale in atto.

Proprio in questi giorni, preoccupato del pericoloso andazzo di leggerezza e superficialità che caratterizza questa nostra stagione storica e politica, Michele Serra, in una delle puntate della sua rubrica “L’amaca”, rifletteva su questo contesto: “La lettura “rapida” è stata una delle invenzioni che hanno rappresentato l’avvisaglia che il tempo stava per disarcionarci. Fine delle ore sgombre, fine del tempo vuoto: che fu, per eccellenza, il tempo di lettura. I prodigiosi aggeggi elettronici che oggi monopolizzano il nostro sguardo hanno centuplicato le occasioni, anche di lettura, e sono potenzialmente (si dice sempre “potenzialmente” quando si parla di internet) una meravigliosa macchina culturale”.

Per Serra però esiste anche l’altro lato della medaglia: “Per adesso però, nei fatti, sono come il libro per il manager di quarant’anni fa: troppa roba, troppo il tempo richiesto per metabolizzarla, saltabecchiamo ingordi da una pagina all’altra (lettura rapida…) con il terrore di perdere qualcosa e il rischio, molto concreto, di perdere discernimento. E’ sempre l’ansia da prestazione che ci frega”.

L’editorialista di Repubblica ci suggerisce una medicina contro questa deriva culturale ed educativa: “Tra i tanti “metodi” che esistono per salvarci, ne propongo uno composto da due verbi: rallentare e scegliere. Che vorrebbe dire, anche: di meno e di meglio. Ma mi rendo conto che sembra lo slogan inventato da un manager”.

Vi ho riportato un pezzo della riflessione di Serra perché ritengo che nella sua fotografia di questo nostro momento psico-storico ci siano molte delle ragioni che ci hanno indotto a prendere in mano il testimone di Bruno Segre cercando di farlo sopravvivere nel tempo. Soprattutto per i giovani che stanno subendo la rivoluzione digitale da soggetti passivi, non in possesso, perché la scuola non gli dà questi strumenti, di gestire la “potenzialità” di internet in maniera virtuosa come un nuovo e semplice accesso ad una conoscenza più profonda del mondo in cui viviamo. Subiscono, i nostri figli e i nostri nipoti, la rivoluzione del web da soggetti passivi, bombardati in ogni minuto della loro vita quotidiana da migliaia di notizie, più o meno rilevanti, più o meno vere, più o meno utili alla loro formazione e alla loro crescita.

Però … però sono tante, veloci, sempre diverse, che necessitano sempre e soltanto di alcuni secondi di attenzione poi si passa a quella successiva. In questo modo non c’è da stupirsi troppo se i risultati dei test degli Invalsi ci forniscono dei dati drammatici sul livello culturale delle nostre generazioni. Vi ho appena raccontato in un altro contributo apparso su L’Incontro, che un ragazzo su tre non comprende appieno il significato di quanto legge.

Ogni commento mi sembra superfluo.

A darci un po’ di speranza che questo tema sulla drammatica diseducazione esistente stia diventando una priorità nel nostro dibattito pubblico, è che alcuni autorevoli opinionisti incominciano ad occuparsene sulle colonne dei maggiori magazine italiani ed europei. Oltre a Serra è intervenuto in questo dibattito anche Giovanni Belardelli, sul Corriere della Sera.

In sintesi, questo è il ragionamento articolato dall’editorialista milanese, che parte da una affermazione del Prof. Giovanni Sartori scritta negli anni ’80: “Lo stato di disattenzione, sottoinformazione, distorsione percettiva e, infine, totale ignoranza dei pubblici di massa è scoraggiante. Solo un 10-20% della popolazione adulta merita la qualificazione di informata”.

Già oltre quarant’anni fa, evidentemente, la delicatezza di questo problema era stato metabolizzato dai più lucidi e visionari analisti. Secondo Belardelli sbaglieremmo però a ritenere e quindi archiviare la questione con la tipica frase “E’ sempre stato così”.

Infatti “fino a qualche anno fa – ha scritto Belardelli – la parte della popolazione in grado di discutere di una questione con qualche competenza era sì una minoranza, ma riusciva comunque a contribuire alla discussione pubblica con argomentazioni che, condivisibili o meno, avevano uno spessore, andavano oltre la battuta estemporanea o il tweet. Qualcosa di quelle argomentazioni (…) si diffondeva per mille rivoli nella società influenzando alla fine anche le proverbiali chiacchiere nei «bar dello sport»”.

Secondo l’editorialista del Corriere della Sera, oggi la situazione è cambiata, non sicuramente in meglio: “Oggi abbiamo superato la soglia di guardia, se gli stessi servizi dei Tg sono spesso incentrati sulla semplice riproduzione di un post o di un video dei due vicepresidenti del Consigli. Se le discussioni politiche (…) riproducono di continuo una banale contrapposizione amico-nemico, dando forma ad una realtà parallela e virtuale: secondo alcuni saremmo di fronte ad una invasione dei migranti, secondo altri saremmo invece sommersi da un’onda nera para-fascista e così via”.

Abbiamo superato il livello di guardia, secondo Belardelli, perché, una vicenda come quella della nave Sea Watch, ha potuto essere considerata da alcuni l’equivalente di un atto di guerra e da altri come una prova di eroismo della capitana: “Se tutto questo avviene – ha evidenziato ancora Belardelli – senza che nessuno dei problemi effettivi del Paese – dal crollo delle nascite che forse ha superato il punto di non ritorno, alla produttività ferma da vent’anni, da una macchina pubblica insieme opprimente ed inefficiente, alla incapacità di occuparsi dei problemi della scuola – venga mai fatto oggetto di qualche discussione, abbiamo un problema enorme davanti a noi, che tocca la qualità stessa della nostra democrazia”.

Il mezzo è il messaggio” scriveva Marshall McLuhan: e noi siamo arrivati proprio a quel punto lì! “Con i social network, la democrazia ha trovato lo strumento comunicativo perfettamente a sua misura, attraverso il quale tutti, ma proprio tutti, possono intervenire su tutto, sempre. Non era mai successo prima”.

Belardelli chiude la sua riflessione tirando le fila del ragionamento in questo modo: “In realtà la qualità della discussione pubblica dipende sì dal pubblico, dalla totalità dei cittadini, ma anche da un altro fattore: la presenza o meno di élite in grado di introdurre elementi virtuosi nella discussione cercando di orientarla positivamente in termini di diffusione di dati reali, di messa a fuoco di questioni rilevanti, di critica delle realtà parallele costruite facendo appello alle reazioni più emotive della gente”.

Il dato più pericoloso proprio per la qualità della nostra democrazia, ci viene dall’attuale leadership politica che “appare interamente prigioniera di una dimensione discorsiva insieme aggressiva e infantile, fatta di mezze idee (spesso sbagliate) ascoltate chissà dove e chissà da chi”.

E quando sono i leader a incrementare le opinioni fondate sull’ignoranza ma pronunciate con aggressiva perentorietà, dobbiamo forse cominciare a preoccuparci”.

Le conclusioni di Belardelli centrano esattamente il punto relativo alle ragioni della sopravvivenza di questa rivista. Abbiamo deciso di tenerla in vita proprio sulla preoccupazione di cosa ci stesse avvenendo intorno, di quali derive rischiasse di caratterizzarsi la nostra democrazia.

Ci voleva assolutamente la sopravvivenza di una testata che da sempre ha cercato di informare i propri lettori con indipendenza, con ragionamenti, per carità non sempre condivisibili, ma fondati su dati di fatto, su elementi di riferimento certi e richiamati dalle fonti. Insomma, un tentativo di far tornare al centro delle nostre vite il pensiero, anche non politically correct, e non il mezzo.

Sappiamo tutti le difficoltà che stiamo incontrando in questa sfida ma, come ci ha insegnato il nostro fondatore, cercheremo di non arrenderci.

Riccardo Rossotto

Riccardo Rossotto

"Per chi non mi conoscesse, sono un "animale italiano", avvocato, ex giornalista, appassionato di storia e soprattutto curioso del mondo". Riccardo Rossotto è il presidente dell'Editrice L'Incontro srl

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