Siate felici”, ci ha augurato (o intimato?) il Gip di Verbania a latere della sua decisione con la quale ha disposto la scarcerazione degli imputati della strage del Mottarone e ha aggiunto, un po’ sorniona e un po’ garrula, che “L’Italia è un Paese democratico..”.

Letto, confermato, sottoscritto: il Gip di Verbania, Dottoressa…

Se non sono irriverente, Le chiedo, Gentile Dottoressa: felici di cosa?”. Forse, di vivere in un Paese democratico e basta o di vivere in un Paese democratico nel quale c’è un giudice a…Verbania (quello di Berlino è troppo distante ed anche un po’ demodé, suvvia!), un appiglio sicuro su cui ogni cittadino possa issarsi per raggiungere la vetta utopistica della Giustizia.

In effetti, non è cosa di poco conto sapere (e leggere, claris verbis) che la carcerazione, la privazione della libertà personale, la compromissione dei diritti costituzionali sono iniziative eccezionali, straordinarie, che lo Stato deve adottare con parsimonioso rispetto e con estrema prudenza.

Un grazie di cuore al “felicissimo” arresto (absit iniuria verbis) del Gip di Verbania.

Tuttavia, mi domando se questa considerazione, ovvia e anodina, fosse appannaggio anche del Pubblico Ministero (o Pubblica Ministero o Pubblica Ministra, essendo una donna: attenzione al linguaggio di genere su cui non bisogna incartarsi…!) che, forse per aver studiato il Diritto su libri diversi da quelli utilizzati dal Gip di Verbania o per una diversa visione del senso di felicità, aveva deciso che gli indagati dovessero finire tutti in galera. 

Per sintetizzare: una giudice ci invita alla felicità richiamando la democrazia, l’altra evoca invece il rigore (richiamando…?), che a sua volta ci riporta alla mestizia ed alla tristezza (e lo fa anche con un generoso ricorso alla cassa di risonanza della stampa affinché il popolo sappia, comprenda e giudichi quanto debba essere estesa l’azione penale per non lasciare qualche reo per strada).

Dunque, rido o piango, Gentile Dottoressa? Ohibò, sono confuso…

Non rido, né piango, piuttosto m’indigno, come titolava quel bel pamphlet di Stéphane Hessel.

Eccovi dunque un chiletto scarso, per non appesantire, di sana e robusta indignazione.

M’indigno perché entrambe le protagoniste di questa dolorosa e tragica vicenda, con modi e contenuti assai differenti, per carità, non hanno resistito alla tentazione delle telecamere, al richiamo suadente della popolarità. 

Vedi un microfono o un taccuino e tac, scatta la voglia di leggersi, di vedersi, di ammirarsi.

Ben comprendo che esercitare la Giustizia sulle tristi rive di un lago, come un personaggio qualunque di Piero Chiara (fra un ladro di pesce persico e qualche scandaletto amoroso alla Il Pretore di Cuvio) non sia il massimo della vita, ma resistere alle tentazioni, soprattutto a quelle che minacciano la propria indipendenza, aiuta a preservare l’integrità e ad evitare di farsi trascinare nei gorghi… Di un lago di parole (la metafora è venuta da sé, lo giuro…).

Leggo e cito testualmente dal libro “Una fragile Indipendenza”, di Paolo Borgna (un ex magistrato, lo sottolineo) e Jacopo Rosatelli appena dato alle stampe: “(…) Indipendenza dai media significa non solo che il magistrato non debba fare rivelazioni alla stampa, ma anche che sia capace di non farsi portare in braccio dai giornalisti che, alla fine, indirizzano indagini e processi. Ci può essere un tam tam mediatico che predispone lettori e spettatori a certe scelte d’indagine, che il pubblico ministero può essere indotto a compiere per assecondare le diffuse aspettative.”

Parole, queste, che vanno dritte al cuore di tutti i magistrati, in primis, ma non solo, degli avvocati, delle forze di polizia etc…: è difficile riaversi dopo un pugno nello stomaco come quello ben assestato da Borgna.

La Giustizia, cioè, è una cosa seria e deve essere esercitata in nome del popolo italiano e non in nome della popolarità. Facile a dirsi, più difficile, molto più difficile, a farsi nella pratica quotidiana.

Suggerisco allora una piccola riforma che costa nulla, che non richiede passaggi parlamentari e che è di immediata applicazione: lasciamo, tutti, il palcoscenico, i riflettori, togliamo la cipria ed il trucco e torniamo con i nostri pallori nelle Aule di Tribunale per regalare ai cittadini, in tempi rapidi (in tempi rapidi!), non la felicità ma la Giustizia con la G maiuscola, quella che ahimè manca in molte, troppe, situazioni e che fa, del nostro, un Paese di serie B.

Paolo Berti

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