Uno tra i più bei romanzi degli ultimi tempi. Incidentalmente è una spy-story. Ma “Il trio di Belgrado” del grande regista serbo Goran Marković, edito da Bottega Errante e tradotto da Enrico Davanzo, è molto di più. È un romanzo storico, che mette a fuoco anni cruciali della ex Jugoslavia, quelli immediatamente seguiti alla Seconda guerra mondiale e l’instaurazione del comunismo titoista nel corpo del fu Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. La messa a fuoco, in questo caso, riguarda in particolare i giorni in cui il Partito Comunista Jugoslavo venne espulso dal Cominform, l’organizzazione economica che, accanto a quella militare del Patto di Varsavia, formava l’alleanza dei paesi comunisti sotto l’egida dell’Unione Sovietica all’epoca guidata da Stalin.
La politica di Tito, percepita da Stalin come indipendente e gravata da ambizioni di dominio alternative a quelle sovietiche sui paesi comunisti dei Balcani, lo avrebbero reso un nemico. Di conseguenza, tali divennero, per Tito, gli stalinisti o sospettati tali che militavano nel PCJ, per cui migliaia di stalinisti o sospettati tali vennero arrestati dalla polizia politica di Tito, l’UBDA, guidata dal suo braccio destro, Aleksandar Ranković, e condannati a un duro regime carcerario, durante il quale non pochi persero la vita. Il rischio maggiore per Tito divenne, infatti, quello di perdere a loro vantaggio e con l’aiuto di Stalin il timone del Partito e, quindi, del Paese, conquistato nel corso della guerra non solo contro gli occupanti nazifascisti, ma anche contro tutte quelle forze interne anticomuniste o, comunque non comuniste, che potevano impedirgli di godere del potere conquistato.
Non è un caso che, al contrario della Resistenza in Italia e in Francia, alla quale parteciparono forze di estrazione liberale, cattolica e socialista, in Jugoslavia l’assoluto controllo di quella che veniva chiamata Lotta popolare fu sempre nelle mani di Tito. Dopo la guerra, annientati tutti i concorrenti, restarono però in vita bande di belogardisti, cioè di monarchici che lottavano per il ritorno di re Pietro II sul trono di Belgrado. Il romanzo di Marković coglie all’inizio questo conflitto affidando il collante a un personaggio straordinario, lo scrittore Lawrence Durrell, divenuto famoso per i suoi splendidi romanzi Justine, Balthazar, Mountolive, Clea che formano il cosiddetto Quartetto di Alessandria.
In quel 1948 fu, infatti, inviato dal governo britannico come addetto stampa presso l’ambasciata inglese di Belgrado, ma anche con il compito di trovare un collegamento con le bande di monarchici che resistevano nei territori più impervi della Serbia. (Su questa sua esperienza Durrell avrebbe scritto nel 1957 un romanzo minore, la spy-story Aquile bianche sulla Serbia, che in Italia sarebbe stato tradotto e pubblicato da Mursia nel 1970). Ne Il trio di Belgrado emerge il carattere ribelle, indipendente, poco rispettoso delle formalità diplomatiche dello scrittore inglese, tanto da agire spesso di testa sua e di impulso, con poco senso delle circostanze e del ruolo ufficiale che rivestiva.
Infatti, i rischi Durrell comincerà a correrli dopo, quando, arrivato a Belgrado con la seconda moglie Eve Cohen, che ben presto aspetterà pure un bambino (sarà la figlia Sappho), s’innamorerà della sua insegnante di serbocroato, Vera Tankosić, moglie di Bora Tankosić, uno stalinista che ben presto verrà arrestato mentre si apprestava a fuggire in Ungheria. Anche lui, come quasi tutti, sarà spedito nell’inferno di Goli Otok, o Isola calva, situata tra la costa dalmata e l’isola di Arbe.
Da quel momento il rapporto tra Durrell e Vera, che con Bora aveva anche una figlia, Mila, si farà così stretto al punto di non esitare ad aiutare materialmente madre e figlia grazie ai suoi privilegi di diplomatico, facendo loro correre un rischio, in quel mondo e anni di miseria diffusa, di corruzione, di delazioni e alla mercé dello strapotere dell’UDBA che, infatti, ben presto, finirà con l’arrestare pure Vera, imprigionandola sull’isola di San Gregorio, riservata alle donne, vicina alla stessa Isola Calva. Così, Durrell si trovò nella necessità di provvedere alla bambina, peraltro poco accetta dalla moglie Eve, già sospettosa della relazione del marito con la madre della bambina.
Lo sguardo di Marković si allunga quindi sui trattamenti disumani dei detenuti, le torture e quant’altro di peggio accadeva a Goli Otok. Lo scopo della raccolta da parte di Marković dei tanti e vari materiali raccolti – in grandissima parte autentici e alcuni di questi, se non autentici, molto verosimili, ricostruiti sulla base di testimonianze e documenti raccolti in anni di ricerca – era la realizzazione di un film su questa orrenda pagina del suo Paese.
Tra questi, per dirne uno, c’è anche il diario che Vera ha scritto clandestinamente in quegli anni e nascosto, nel campo di prigionia di San Gregorio, nella cloaca del gabinetto a cielo aperto, appena mascherato da una parete che consentiva, nei momenti di urgenza, un minimo di riservatezza e trascurato dai controlli delle guardie. Il diario, poi, Vera lo avrebbe affidato, prima della sua tragica fine, a una compagna di detenzione, Dragica, che anni dopo, ormai anziana, lo avrebbe consegnato a Marković.
Il quale, se poi non ha più realizzato il film, ha però scritto questo bellissimo romanzo, del quale di più non si può dire per non togliere al lettore il gusto di una lettura carica di suspense, ricca di risvolti politici, sentimentali, avventurosi, segreti e di personaggi straordinari, a cominciare dallo stesso Lawrence Durrell. Resta da dire che “Il trio di Belgrado”, costruito come una sorta di fotomontaggio tra questi documenti, lettere, intercettazioni e testimonianze varie, si rivela un romanzo originale che si legge come se si guardasse un film d’azione, di storia e di idee. Bellissimo.
Diego Zandel
Goran Marković, Il trio di Belgrado, Bottega Errante, pag.222, €. 17,00