Un primo esperimento ben riuscito di “digital live talk“ al Museo del Risparmio di Torino.
Un serio interessante e simpatico convegno è stato organizzato on line su questo tema dal Museo torinese, primo e unico laboratorio multimediale di educazione finanziaria, sempre attento alle problematiche finanziarie attuali e presente in modalità remota anche in questo particolare momento in cui non è possibile incontrarsi di persona.
Come precisato dalla sua curatrice Giovanna Palladino, il tema dell’assunzione dei rischi finanziari e la gestione degli stessi sarà sempre più un argomento attuale ai tempi del post coronavirus, in quanto mai come ora l’incertezza del futuro richiede di essere consapevolmente coraggiosi nelle proprie decisioni. Così come gli astronauti si lanciano nello spazio non solo con le dita delle mani incrociate ma con una solida preparazione alle spalle, così la navigazione e le decisioni che ne conseguono nei campi della finanza devono essere supportate da una solida preparazione. In materia di risparmio vige una sorta di mantra che è quello secondo il quale il risparmio permette di realizzare dei sogni. Ora, in questo periodo problematico, più realisticamente si potrebbe dire che il risparmio permette di affrontare con maggior serenità i momenti di difficoltà, permettendo di navigare con un po’ più di sicurezza in un mare tempestoso.
Con la collaborazione della società Taxi 1729 (società di divulgazione scientifica), in persona di Diego Rizzuto, è stato effettuato live – e con la partecipazione interattiva della platea collegata – un esperimento di scienza cognitiva attraverso un esercizio metacognitivo, ragionando successivamente su come si è ragionato, secondo i principi della scienza dell’educazione.
Partendo da un classico esempio di rischio (sul modello del famoso gioco televisivo di qualche anno fa dei “pacchi” da scegliere) si sono analizzate, ipotizzando il gioco, 4 situazioni finanziarie.
La prima consiste nell’ipotesi di un guadagno, con due possibili scelte. La scelta A prevede un guadagno certo di € 1.000 mentre la scelta B prevede due possibilità al 50%: si lancia la moneta e se esce testa non si guadagna nulla, mentre se esce croce si guadagnano ben € 2.000. Il pubblico virtuale – composto da circa 200 persone – viene invitato a votare on line una delle due scelte possibili, A oppure B, valutando poi il risultato. Ebbene, il risultato in diretta è stato per circa il 72% a favore della scelta A – guadagno certo di € 1.000 – confermando il risultato sperimentale che indica nella percentuale media dell’85% (sulla base di un campione qualificato della popolazione) la scelta a favore dell’ipotesi A. Che conclusione si può trarre da questo gioco/esperimento metacognitivo? Che nell’uomo sapiens, a livello intuitivo, è prevalente l’istinto di avversione al rischio nelle vincite. Quando vi è da guadagnare una cifra significativa, meglio accontentarsi e non rischiare di non portare a casa nulla. Come si suol dire: “meglio l’uovo oggi che la gallina domani”.
Ma cosa succede se anziché di vincite si parla di perdite? Nell’homo sapiens scatta lo stesso meccanismo di avversione al rischio, oppure in questo caso il rischio affascina? Si esamina la stessa situazione di prima, ma con uno scenario di perdita. Si prospettano due scelte possibili, caso A che comporta un esborso (perdita) certo di € 1.000 e caso B che comporta due possibilità al 50%: si lancia la moneta e se esce testa non si paga nulla, mentre se esce croce si pagano ben € 2000. Anche in questo caso la platea virtuale, sempre di circa 200 persone, viene invitata a votare ed il risultato è stato che circa il 65% ha optato per la scelta B. Confermando il risultato sperimentale che individua nella percentuale del 70% circa la maggioranza per la scelta B (sulla base di un campione qualificato della popolazione), si nota il ribaltamento rispetto l’ipotesi precedente delle vincite. Quindi nell’ipotesi delle perdite l’homo sapiens diventa propenso al rischio, accettandolo in contropartita ad una perdita certa. Si tende a fuggire da una perdita certa, accettando il rischio anche di una perdita maggiore, ma con la prospettiva di evitare la perdita.
La risposta, pertanto, alla domanda se si è propensi o meno a rischiare, si può dire che la risposta è incerta a varia a seconda dei vari scenari (perdita o guadagno).
Per completezza di esposizione è però necessario fare ancora delle precisazioni, inserendo altri elementi nei due casi precedenti.
Nella prima ipotesi della vincita, dove si è visto sia preponderante la componente di avversione al rischio in cambio di certezza, cosa succederebbe se si modificassero i valori, introducendo dei dati irrilevanti oppure significativi nelle poste in gioco? Precisamente, se l’ipotesi A il guadagno fosse di € 1 soltanto e l’ipotesi B fosse di scegliere due buste, di cui una con una possibilità al 99,9% di non guadagnare nulla e l’altra busta con la probabilità minima di 1/10.000 (pari alla percentuale dello 0, 01 %) di guadagnare ben € 10.000,00 cosa si sceglierebbe? La platea virtuale in questo caso non vota, ma conosce d’istinto la risposta. Certamente la soluzione B, in questa ipotesi tra guadagno insignificante certo e guadagno significativo seppur altamente improbabile, si è disposti a rischiare. Questo spiega il meccanismo mentale che rende affascinante il gioco d’azzardo per la maggior parte della popolazione (rendendolo molto redditizio per gli organizzatori).
Nell’ipotesi della perdita, cosa succede se pure qui si modificano i valori e si introducono dati significativi o irrilevanti, a seconda delle poste in gioco? Ossia, se l’ipotesi A prevede una perdita certa di solo € 1 e l’ipotesi B prevede due possibilità: la prima del 99,9% di non dare nulla, ma la seconda minima di 1/10.000 (pari alla percentuale pari dello 0,01%) di dover sborsare ben € 10.000, cosa si sceglie? Pur essendo anche in questo caso i due modelli matematici equivalenti, l’istinto porta a scegliere la soluzione A. Meglio dare solo 1 € che correre il rischio di dover sborsare € 10.000. Prevale il nostro istinto primitivo di protezione, di sborsare una piccola cifra che abbiamo a disposizione per proteggerci da grossi rischi. Questo spiega il meccanismo mentale del bisogno di copertura assicurativa del rischio attraverso il nostro istinto primitivo a proteggerci.
Per concludere, quale è la differenza tra il rischio è l’incertezza? Quali sono i comportamenti, anche di scelte finanziarie, in questi due diversi scenari?
La scienza cognitiva tedesca già dai primi anni del secolo scorso ha studiato i due fenomeni e le loro differenze (per approfondire si può vedere il paradosso di Ellsberg evidenziato dall’economia sperimentale). Ai nostri fini, tuttavia, si può sintetizzare la differenza tra rischio e incertezza nella componente del noto e dell’ignoto. Nel rischio prevale la componente del noto, di ciò che conosciamo, degli elementi di valutazione che abbiamo a nostra disposizione (percentuali, dati certi su guadagni e perdite). Nei casi sopra esposti, lo scenario è certamente quello del rischio. L’incertezza invece ha come componente principale l’ignoto, ciò che non si conosce con dati certi e che offre pertanto meno elementi di valutazione ai fini di una scelta consapevole. L’incertezza, purtroppo, governa la maggioranza delle nostre scelte di vita più significative, dal matrimonio alla scelta della facoltà universitaria e al cambio di lavoro. La scienza ci dice che l’ignoto crea ansia e che l’homo sapiens ha un’allergia innata all’incertezza. Tra rischio e incertezza certamente si tende a preferire il primo, nel quale perlomeno conosciamo qualche elemento e riusciamo ad associare delle probabilità agli scenari.
In questi tempi caratterizzati dall’ incertezza nel futuro, torna in mente il detto anglosassone: “better the davil you know than the davil you don’t “. Meglio il diavolo che conosci, che il diavolo che non conosci.
Liliana Perrone