Da qualche anno ormai e a intensità crescente siamo tempestati da annunci pubblicitari di grandi organizzazioni che chiedono la carità per rimediare ai problemi dei poveri, dei malati e per finanziare la ricerca medica. Gli spazi pubblicitari che acquistano valgono nel complesso centinaia di milioni. Se li possono permettere solo grandi organizzazioni che gestiscono enormi capitali.
Anche se alcuni spazi sono concessi dai media gratuitamente, presumono comunque un rapporto privilegiato con i dirigenti di organizzazioni influenti. La rinuncia agli introiti pubblicitari (ma solo alcuni) implica un cospicuo finanziamento indiretto a queste organizzazioni. Già qualcuno ha sollevato la polemica sulla destinazione dei fondi. Queste organizzazioni non-profit e non-governative sono state accusate di essere autoreferenziali poiché i fondi raccolti servirebbero in gran parte a finanziare chi gestisce la raccolta e non allo scopo per cui essa è promossa. Non ci occuperemo di questo perché rappresenta un aspetto secondario.
Il problema è un altro: le mastodontiche organizzazioni caritatevoli gestiscono enormi capitali. Solo così sono in grado di ottenere ingenti somme dai cittadini compassionevoli con le quali finanziano i media pubblici e privati attraverso l’acquisto di spazi pubblicitari. È normale che con una parte dei fondi raccolti si finanzi l’organizzazione e la distribuzione di essi. Più dubbia è l’efficienza di questo sistema. Si trattasse solo di partite di giro di denaro, non sarebbe un problema. Invece, diventa uno scandalo a causa dell’intreccio con i grandi media.
Non si tratta solo di valutazioni commerciali. Le associazioni caritatevoli ricevono spesso anche agevolazioni pubbliche per aiutarle nelle loro benefiche attività. L’intreccio tra informazione, beneficenza e istituzioni può risultare pericoloso. Si tratta di somme enormi gestite privatamente ma in parte di origine pubblica. Quandanche non si tratti di finanziamenti pubblici diretti, lo sono tuttavia indirettamente, poiché si basano su una fiscalità che li favorisce. E se qualcuno paga meno tasse, inevitabilmente altri ne pagano di più.
È legittimo il sospetto che possano intervenire transazioni e relazioni illecite o inopportune? Io compro lo spazio pubblicitario se tu sostieni la mia campagna, promuovi i leader di riferimento e potresti persino agevolarmi nell’ottenere un finanziamento diretto oltre a quello che raccolgo dai cittadini compassionevoli. Non arrivo a sostenere che potrebbe configurarsi il reato di circonvenzione di incapaci, ma che il sistema non sia chiaro ai sottoscrittori in buonafede mi pare evidente e non si fa nulla per renderlo trasparente.
Se per fare la carità e la ricerca servono milioni di pubblicità raccolti tra persone che non si conosceranno mai, ma gestiti da chi si conosce anche troppo bene, qualcosa non va per il verso giusto. Anche nel caso che tutto rientrasse nelle regole e non ci fossero collusioni di sorta. Se io mando via internet dieci euro al mese a poveri sconosciuti e lontani, li sottraggo a quelli che potrei dare al mio vicino in difficoltà, alla persona in carne e ossa che conosco bene. O anche alla piccola associazione o parrocchia con cui ho rapporto fiduciario diretto.
Qualcuno ha già detto che la carità è possibile soltanto grazie all’esistenza dei ricchi. Ma non sarebbe meglio che ci si attivasse perché non esistessero i poveri e la carità non fosse necessaria? Per lo meno che la si pratichi solo a livello individuale o, al più, di comunità. Se è necessario agire a così grande scala significa che il sistema politico e sociale richiede una profonda revisione. Che poi la ricerca scientifica dipenda da una carità popolare suscitata da pubblicità emotive, è imbarazzante da un punto di vista etico e scientifico.
La carità televisiva e sui grandi media non è un’azione individuale che crea una relazione tra persone. Solo chi governa centinaia di milioni se la può permettere. Qui non si tratta più dell’ingiustizia per l’esistenza di ricchi e di poveri. Queste somme generano e influenzano il potere e l’informazione. Per esempio: sarebbero mai possibili inchieste giornalistiche se sono proprio i media i gestori primari dell’elemosina di massa?
Tutto questo somiglia allo scandalo medievale del mercato delle indulgenze. I governi non hanno più l’autorità e la legittimità per intervenire direttamente a porre rimedio alla povertà, ai disagi, alle malattie vicine e lontane, al finanziamento della ricerca. Il potere si è spostato dalle istituzioni democratiche a enormi corporazioni non governative. Chi le amministra è in grado di influenzare i governi per ricevere finanziamenti. Ma sorge il dubbio che l’acquisto di tali vasti spazi pubblicitari nasconda il ritorno di favori e denaro a chi gestisce i grandi network e gli spazi pubblicitari. Anzi, nessun dubbio: il processo verso lo scambio di favori è inevitabile e implicito. Aspetto un’inchiesta, sperando che non sia ostacolata e se ne permetta la diffusione.
Corrado Poli