Ripartiamo da Montesquieu: dai fondamentali delle democrazie moderne. La separazione dei poteri è il mantra dei nostri Stati di Diritto: la base di una governance istituzionale fondata su sistemi operativi e di controllo, ben bilanciati e connessi tra di loro. Il Parlamento fa le leggi; il Governo… governa in base all’impianto normativo varato, appunto, dal Parlamento; la Magistratura controlla la correttezza delle condotte dei cittadini dello Stato rispetto alla normativa vigente. Perché ripartire da qui? Perché se no, non si riesce a capire cosa stia succedendo in Italia quando si parla di Giustizia, con la G maiuscola. Avremmo dovuto uscire, con la scomparsa di Silvio Berlusconi, da quella gabbia, divenuta quasi antropologica, che ci ha impedito di parlare di una necessaria riforma della Giustizia, proprio perché ogni volta che qualcuno ci ha provato, è stato subito additato come un supporter del Cavaliere o come un suo accusatore: senza vie di mezzo!
Per trent’anni non si è potuto affrontare un discorso serio, costruttivo pur nella comprensibile diversità delle opinioni a confronto; un discorso che aprisse un cantiere di lavoro efficiente ed efficace per mettere mano a un sistema giudiziario che non funziona e non dà luogo ad una Giustizia… giusta! Il teatrino a cui stiamo assistendo ormai da settimane, sia in Parlamento sia nel dibattito politico tra maggioranza e opposizione, ci dimostra come non siamo ancora riusciti ad uscire dal clima degli scontri “pregiudiziali” che hanno caratterizzato il periodo politico berlusconiano. Ogni volta che si parla, in maniera più o meno corretta o più o meno condivisibile, di mettere mano ad una riforma della Giustizia scattano reazioni, più emotive che tecniche, che fanno pensare quasi ad una “lesa maestà” quando si tocca la magistratura.
Oppure si ritorna a ragionamenti o dichiarazione mediatiche, alternativamente basate sul giustizialismo o sul garantismo, molte volte, come detto, soprattutto su pregiudizi ormai incrostati nella cultura della nostra classe dirigente politica. Non è strano, in linea di principio, che esistano due indirizzi di pensiero, diversi e a volte contrapposti come quelli che caratterizzano i giustizialisti e i garantisti: è strano che i due filoni non riescano a trovare una sintesi di pensiero e di azione, corretta e conforme agli indirizzi della maggioranza parlamentare di quel certo contesto storico e politico, ovviamente nel perimetro della Costituzione. Non bisognerebbe diventare improvvisamente giustizialisti quando, sulle prime pagine della cronaca giudiziaria, appare il nome di un avversario politico; né, improvvisamente garantisti, quando i titoli dei giornali parlano di una imputazione giudiziaria ad un membro del proprio partito.
Bisognerebbe declinare questi due tipi di approccio, tenendo conto dei valori che si portano dietro e che devono ogni volta essere mediati e virtuosamente bilanciati in sintesi normative o giudiziarie che rendano la Giustizia davvero Giusta. Ritornando, quindi, a Montesquieu, non dimentichiamoci mai che è il Parlamento che deve occuparsi dell’eventuale riforma della Giustizia, adottando con le maggioranze richieste dal sistema, quelle misure ritenute opportune dalla maggioranza politica di quel certo contesto storico. Il Ministro di Grazia e Giustizia deve occuparsi, invece, di un’altra attività, anch’essa fondamentale perché la Giustizia sia gestita in modo moderno, equo ed efficiente: il buon funzionamento, cioè, di tutti gli organi preposti alla gestione della giustizia penale, civile, amministrativa, fiscale e, perché no, militare.
Il Governo ha tutti i diritti di proporre al Parlamento la promulgazione di leggi che si occupino della macchina giudiziaria ma deve essere il Parlamento, proprio nell’ambito della sua indipendenza ed autonomia, ad affrontare il dibattito su tali proposte, invitando le Camere a pronunciarsi in merito. Il Ministro si dovrebbe occupare dell’organizzazione della Giustizia, concentrandosi su un programma di interventi (con, sempre, l’individuazione delle risorse economiche necessarie!) che permetta il raggiungimento di obiettivi quali, ad esempio, i minori tempi dei processi, l’efficienza degli uffici giudiziari, l’osservanza del segreto istruttorio, il rispetto del principio posto a fondamento della separazione delle carriere dei magistrati. Non ci sembra che la realtà che abbiamo di fronte agli occhi rispetti questa diversificazione dei compiti.
Il disegno di legge governativo
Il recente provvedimento del Governo ha come oggetto la modifica di alcune disposizioni del Codice di Procedura Penale e dell’Ordinamento giuridico e si propone le seguenti misure: (i) l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio; (ii) la riformulazione di quello di traffico di influenze illecite; (iii) la riduzione delle possibilità di appellare da parte del Pubblico Ministero; (iv) limitazione per i giornali di pubblicare le intercettazioni; (v) l’istituzione di un Collegio di tre giudici per decidere sull’applicazione della custodia cautelare in carcere; (vi) l’obbligo di descrivere sommariamente il fatto nelle informazioni di garanzia; (vii) nell’ottica di evitare che delle sentenze possano essere travolte da nullità, è stabilito il limite di 65 anni per i giudici popolari soltanto per la loro nomina, in modo tale che nulla rileva se detto requisito dovesse avvenire durante il mandato.
Si tratta di un lungo elenco di tematiche importanti che stanno infiammando un dibattito parlamentare ma anche mediatico purtroppo molto confuso e di difficile comprensione. I sondaggi dimostrano che gli italiani, salvo gli addetti ai lavori, non stanno seguendo con grande attenzione il confronto. Sembrerebbe che tre italiani su quattro non vogliano modifiche dell’illecito sul concorso esterno in associazione mafiosa; che una risicata maggioranza non sarebbe d’accordo sull’abrogazione del reato di abuso di ufficio: quello che è sconfortante è che l’80% dei nostri concittadini intervistati ritiene, con rassegnazione, che la criminalità organizzata stia crescendo sia in termini di potere sia di dimensioni del suo fatturato, a prescindere da questa ipotesi di riforma della Giustizia.
La lungaggine dei processi
Il prof. Vladimiro Zagrebelsky ritiene che un punto fondamentale da cui partire è quello di accorciare la durata dei processi: un aspetto intollerabile nel funzionamento del nostro sistema giudiziario. L’Italia è ancora al penultimo posto in Europa (davanti alla Grecia) per la durata dei processi civili, come risulta dallo studio della Banca d’Italia del 2022. Secondo il Consiglio d’Europa, i nostri giudizi d’appello penali durano 1167 giorni, quasi dieci volte di più della media europea. Siamo sempre stati convinti che una delle cause di tale vergognosa inefficienza sia causata da un deficit di risorse professionali e soprattutto economiche dedicate all’azienda Giustizia. Eppure i dati non dimostrano tale assunto: l’Italia spenderebbe per la Giustizia una percentuale del Pil in media con il resto dell’Europa; gli stipendi dei magistrati sono migliori; sono stati stanziati recentemente, proprio all’interno del PNRR, fondi rilevanti che hanno portato all’assunzione fino allo scorso mese di aprile di 8200 funzionari e di 3250 profili tecnici.
Ma allora come rimediare a questo scenario da “paese sottosviluppato”? Diversi autorevoli esperti di economia aziendale sostengono che il vulnus risieda proprio nella mancanza di managerialità nell’amministrazione del sistema, con l’assenza di criteri di premialità e riconoscimento del merito per il personale. Insomma, si torna a quelle carenze, anche culturali, che abbiamo già analizzato nei precedenti contributi sulla mission impossibile di riformare la nostra P.A. Un rimedio potrebbe essere proprio costituito dall’affidare la gestione dei tribunali non a dei magistrati, ma a dei direttori generali che applichino sistemi gestionali e che possano premiare in modo adeguato il personale che opera sotto la loro direzione. Oggi le carriere degli uffici giudiziari sono basate sugli scatti di anzianità: bisognerebbe rivisitarle con nuovi criteri di meritocrazia e di produttività.
Un equilibrio difficile
Come ha sottolineato di recente l’ex magistrato Edmondo Bruti Liberati, la soluzione di questi problemi apparentemente irrisolvibili, risiede nell’individuare una corretta sintesi “nel delicato equilibrio tra produttività e celerità da un lato e dall’altro rispetto delle garanzie dei giudicabili, prima fra tutte quella del ‘giudice naturale precostituito’ (Art. 25 Costituzione) attraverso il sistema delle ‘tabelle di composizione degli uffici’”.
L’unico vero rimedio, secondo l’editorialista del Correre della Sera, Gerardo Villanacci, è quello di ritornare ai principi della nostra Costituzione: “Quindi ad una corretta interpretazione delle disposizioni che definiscono il potere giudiziario, preservandone l’autonomia, l’indipendenza e la pari dignità rispetto a quello legislativo ed esecutivo, regolamentando al contempo e correttamente la funzione giurisdizionale nella consapevolezza che, a proposito di separazione delle carriere tra giudici e PM, il principio secondo il quale i magistrati si distinguono solo per la diversità di funzioni, non ha trovato una giusta attuazione neanche da parte dell’Organo di autogoverno della magistratura, che troppo spesso ha dato prevalenza a criteri formalistici, rinunciando di assegnare le funzioni a coloro che oggettivamente avevano maggiori capacità e attitudini”.
Noi crediamo, in definitiva, che nella reale e oggettiva complessità di questa materia, finalmente liberati dal “tappo berlusconiano”, dovremmo ritornare al “prato verde”, ai principi fondamentali del nostro ordinamento: il Parlamento si occupi delle possibili riforme della Giustizia attraverso un confronto in aula che determini i provvedimenti da adottare, certo “figli” di quella maggioranza parlamentare, ma auspicabilmente di una maggioranza più larga rispetto a quella governativa. Il Ministro di Grazia e Giustizia, da parte sua, si concentri sulla ristrutturazione della “macchina giudiziaria”, del funzionamento dei tribunali: invece di continuare a proporre nuove e divisive grandi riforme normative, pretenda dal Governo i mezzi economici e professionali per far sì che le sedi giudiziarie in tutto il Paese funzionino meglio, garantendo ai cittadini, in tempi ragionevolmente brevi, una Giustizia… giusta senza eccessi di misure cautelari preventive.
Riccardo Rossotto