La bellezza salverà il mondo”, è con questa frase di Dostoevskij che inizia l’intervista Lorenzo Marini, uno degli artisti più versatili, eclettici e poliedrici del panorama italiano e internazionale. Art director, artista, scrittore e guru della comunicazione prende in esame le lettere e le scompone attraverso un sapiente gioco dissacrante, mutandole in stravaganti fattori artistici che ne esaltano la loro beltà intrinseca. Ecco che ogni lettera diventa un’opera d’arte individuale, non più riproducibile o ripetibile.

Marini è un artista che lavora tra Milano, Los Angeles e New York; dopo aver vinto numerosi riconoscimenti ed esser divenuto il caposcuola di un nuovo linguaggio artistico, la Type Art, nel 2024 è uno degli espositori della Biennale d’Arte di Venezia presso il Padiglione Nazionale Grenada, a Palazzo Albrizzi Capello, dal 20 aprile al 24 novembre con opere dedicate ai buchi neri.

Sull’onda del successo di Venezia, la recente asta battuta da Capitolium Art, società bresciana in crescita tra le auction house italiane, ha registrato numeri record per l’artista. Con “Futurtype”, mixed media su tela di cm. 150×200, il maestro padovano ha superato, per la prima volta (dopo l’exploit di “Windtype nel 2021 e “Where unspoken words end” nel 2024) il muro dei 44 mila euro, comprensivi dei diritti d’asta.

Futurtype, 2019, cm. 150×200, tecnica mista su tela

Per la prima volta nella sua trentennale carriera, è tra gli espositori ufficiali della Biennale di Venezia nel corso della mostra “Nessun uomo è un’isola”. Vuole parlarci del progetto? Quale significato ha per lei?

Credo che i buchi neri siano un’ispirazione romantica che il cosmo ci suggerisce, riportandoci alla caducità ed alla temporaneità del nostro vivere. Il buco nero è il punto esatto ove terminano sia il tempo che lo spazio. Il linguaggio, le parole e la comunicazione sono i miei strumenti principali per decifrare l’eternità ed il mistero dell’universo. Mi sono chiesto in quale parte finiscano la marea di lettere galleggianti che non abbiamo mai osato pronunciare. Dove vanno i pensieri non divenuti parola? E le promesse mai mantenute? Mi piace raccontare il mistero. I miei lavori sono lettere dove la differenza rappresenta l’individualità: ho preso l’alfabeto e ho dato a ciascuna lettera una dimensione “diversa”. Ogni segno grafico può esser libero di essere come vuole. In un tempo come il nostro anche le lettere hanno il diritto di apparire per quello che sono: creature libere. Come i fiocchi di neve.

La “Type Art”, evoca e celebra la legge del caos. Pensa che vi sia una correlazione tra le forme artistiche e il caos?

Innanzitutto vorrei dare una definizione precisa di “Type Art”: un movimento che punta a liberare le lettere ponendo l’attenzione sull’estetica e sul significato del segno grafico. Il caos non esiste nel cosmo: tutto è regola. Penso che l’arte sia l’espressione dei sentimenti e delle emozioni dell’uomo. Per citare una metafora, l’arte sta alla storia dell’uomo, come il profumo sta alla rosa. L’arte non è un qualcosa di necessario, bensì quel quid che ci aiuta a vivere meglio il trascorrere del tempo.

Il magazine “Beverly Times” l’ha definita come una “pop star artist”. Si ritrova in questa citazione hollywoodiana?

No, assolutamente. Io provengo da una cultura prettamente italiana “low profile”, a Los Angeles, tutto è “star”. Vi è una notevole differenza! Per noi la cosa principale è il lavoro che fai, mentre lì prima diventi famoso e solo successivamente fai qualcosa. Comunque sia sono luoghi, quelli americani, che hanno ispirato molto la mia arte.

Qual è la sua storia professionale? Quando è nato come artista?

Sin da bambino sentivo l’ardente istinto di disegnare, mi affascinava già in tenera età l’atto creativo. Ho frequentato l’Accademia di Belle Arte di Venezia con Emilio Vedova, ma poi per una sorta di convenzione borghese mi sono laureato in Architettura e ho lavorato con molta fortuna nel mondo dell’advertising e graphic design. Per me il disegno è come un pensare visivo, le mie lettere sono marchi. Ho sempre coltivato il “cogito” come forma di vita superiore.

Ricorda la sua prima mostra?

La prima esposizione non si scorda mai, è durata un solo giorno a Venezia presso la galleria “Santo Stefano” di Roberto Zamberlan nel 2004. È stato un esperimento molto interessante. Dopo ne ho fatte tante altre, tra le più importanti cito “Di Segni e di Sogni” a Santa Maria della Scala di Siena, “Alphatype21” all’Istituto Italiano di Cultura Los Angeles, “Dal Silenzio alla Parola” alla Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia e “Out of Words” al Gaggenau Hub di Milano. La prima mostra personale, invece, è stata a New York nel 2016 presso la Georges Berges Gallery. Successivamente nel 2018 ho esposto a Los Angeles alla Bruce Lurie Gallery ed infine, nel 2024, l’istallazione a Seoul presso la galleria Art Continue.

Non è solo un artista, ma anche uno scrittore

La parola, come ho già detto precedentemente, è essenziale. Il primo scritto è stato un saggio dal titolo “Questo libro non ha titolo perché è scritto da un art director”, un’autobiografia sui generis pubblicata a trent’anni. Poi è stata la volta di un romanzo “Vaniglia”, tratto da un film che nessuno ha mai girato. Ed in ultimo, ma non per importanza, “L’uomo dei tulipani. Una storia vissuta quattrocento anni fa che potrebbe rivivere domani”.

Ha dei progetti futuri?

Sto preparando due mostre molto importanti. Una in estate a Forte dei Marmi presso “Oblong Art Gallery”, nella quale presenterò, per la prima volta, una ventina di opere appartenenti alla serie Bodytype, che darà il titolo all’esposizione. Sarà visitabile fino al 31 agosto 2024.

La seconda, invece, riguarda una prossima esposizione in Cina, a settembre presso il Dongyuan Theatre, confinante con la città proibita, proprio nel centro di Pechino. Durerà sei mesi. È la mia prima mostra personale in Cina. Anche se in questa meravigliosa Nazione ho già partecipato alla Biennale di Hohhot e di Shenzhen. Per l’occasione mi hanno chiesto la stessa pioggia di lettere che ho mostrato a Seoul e, lo scorso anno, a Los Angeles e Palm Beach. Vi sarà una raccolta antologica di lettere proprio nella parte del mondo che considera la calligrafia come una forma d’arte.

Si considera un artista o un creativo?

La differenza tra queste due definizioni è la stessa che vi è tra la libertà e l’intelligenza. Tra l’istinto e il metodo. Io li amo entrambi. I confini non si addicono alla nostra cultura umanistica. La buona cucina è fatta sia di zucchero che di sale.

Si sente mai stanco?

Siamo fatti di energia. E l’energia non può essere stanca.

Martina De Tiberis

Laureata in Lettere Moderne e specializzata in Filologia Moderna presso l’Università degli Studi di Ferrara con il massimo dei voti. Nel 2021 ha intrapreso il percorso per diventare giornalista pubblicista,...

Discussione

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *