Quante Beirut sono esistite? Sélim Nassib, giornalista e scrittore nato e cresciuto nella capitale libanese in una famiglia ebraica di origine siriana nel suo romanzo “Il tumulto”, pubblicato in Italia da e/o, ne racconta almeno tre. Ma non sono finite, per una città che muore e risorge continuamente, e che ora si trova di nuovo in una di queste sue fasi.
Ma il romanzo di Sélim Nassib, nato nel 1946, si ferma al 1982, attraversando i primi 35 anni della sua vita, anche se il protagonista, io narrante, porta un altro nome, Yussef Hosni, e pure lui di famiglia ebraica. Se non schiettamente autobiografico, “Il tumulto” trae, però, molti spunti personali dalla vita dell’autore che, al pari del protagonista, ha vissuto quelle pagine di storia che, negli anni, hanno cambiato la storia del Medioriente, per arrivare oggi a una sorta di resa dei conti.
Ah, ma quanta nostalgia per la Beirut dei suoi primi anni! Una città multietnica e multiconfessionale, cosmopolita, paragonabile a una Alessandria d’Egitto tra le due guerre, a una Smirne di fine Ottocento. Il nostro Yussef Hosni, come già Sélim Nassib, frequenta la scuola ebraica, tra i suoi migliori amici ha Fuad, un musulmano, figlio dell’insegnante di arabo, ma si ritrovano tra maroniti, drusi, falangisti, greco-ortodossi. Yussef è in attesa del suo bar mitzvah, ormai quindi è un tredicenne, e ricorda la sua vita di allora con pennellate di quel mondo visto con gli occhi incantati di un adolescente che scopre la vita, nelle sue piccole gioie, ma anche nei dolori, ad esempio in famiglia. I genitori che non vanno d’accordo, il padre ludopatico che finirà in prigione per debiti, l’aspirazione della madre di andarsene lontano, nell’amata Parigi, una turbolenza che regala pagine di grande fascino, per i sentimenti che porta alla luce insieme alle birichinate, le emozioni, la scoperta del sesso, il giro dei bordelli, per risvegliarsi dopo un’ubriacatura tra le braccia di una donna che si spoglia per lui, tredicenne.
Poi la guerra dei sei giorni del 1967, raccontata un po’ da lontano, ma nel cuore degli eventi vissuti con la ferita di un giovane che, ormai universitario, si trova nei gruppi di sinistra, e la partecipazione a manifestazioni di protesta che lo porteranno all’arresto. Una scelta di parte che lo metterà in conflitto con il suo ambiente, tuttavia ancora, diciamo, compatibile con lo spirito di tolleranza che rappresentava Beirut all’epoca. Una Beirut che vedrà il suo ultimo anno di pace nel 1975, quando prenderà avvio una guerra civile che durerà fino al 1982.
Ma in quei sette anni Yussuf ha vissuto a Parigi, emigratovi per studiare. Nel frattempo, è diventato giornalista, e torna ora a Beirut in veste di inviato. Ci arriva con la nave, perché gli aerei civili non atterrano più. “Due giorni prima l’esercito israeliano ha varcato il confine con il libano per lanciarsi all’attacco del paese con tutto ciò che ha, centomila uomini, carri armati, caccia e navi da guerra provocando la chiusura quasi immediata dell’unico aeroporto”. Yussef si rende conto che non può vivere lontano da quella città. Qualcuno lo aveva avvertito, prima che partisse: “Beirut ti seguirà ovunque fino all’ultimo respiro, sarà Beirut a chiuderti le palpebre per l’ultima volta”. E il romanzo, con un taglio narrativo che ti prende alla gola, perché Yussuf vive tutto come una ferita, fotografia questa città tanto affascinante quanto dilaniata.
Da che parte stare in un confronto che si chiuderà sull’eccidio di Sabra e Shatila da parte delle Falangi Libanesi alleate degli israeliani? Giornalista, corrispondente di un giornale francese, Yussef incontra il suo vecchio amico e compagno di scuola, Rocco, ebreo come lui, che reagisce a certi commenti che egli ha letto sul giornale per cui scrive. Rocco è passato con Al fatah, e rimprovera Yussef, di fare il doppio gioco. “Sei sempre stato un debole, Yussef” gli rinfaccia “una persona influenzabile. E sai perché? Perché non hai capito che si può essere ebrei senza essere sottomessi”, e lui gli risponde: “Parliamone! Tu sei entrato in Al Fatah, dici che fai quello che vuoi, ma sei obbligato a conformarti a quella linea, altro che non sottomesso! Si fidano di te in ogni circostanza, ma sai perché? Perché sei ebreo.”
“Il tumulto” è questo, un confronto che sopravvive anche oggi, forse in forme ancora più radicali, ma che il romanzo di Sélim Nassib ben fa emergere e che serve, meglio di tanti servizi giornalistici, a capire l’attualità di una nuova guerra in cui Beirut è di nuovo coinvolta.
Diego Zandel