L’avvento della pandemia da Covid19 ha drammaticamente dimostrato, in alcuni Paesi, l’insufficienza dei presidi medici di terra nel fornire ricovero e cure ai pazienti colpiti dall’infezione. In tali condizioni varie nazioni hanno fatto ricorso al supporto fornito da quelle navi che avevano costruito a suo tempo (o adattato) come ospedali galleggianti, per assistere feriti e malati delle loro truppe impegnate su teatri bellici lontani dalle rispettive madrepatrie, ormeggiate – ove possibile – nelle vicinanze dei loro accampamenti. Si trattava di navi (dette “navi ospedale”) generalmente di stazza superiore alle mille tonnellate, dotate a bordo di sale operatorie chirurgiche e ortopediche, di laboratori di analisi ematochimici, di centri per esami radiologici, di camerate per degenze, di farmacia e di obitorio, con assistenza medica (anche specialistica, es. odontoiatrica) e infermieristica e spesso anche religiosa.

Queste navi si distinguevano da tutte le altre in quanto, per tacita convenzione internazionale, presentavano le fiancate dipinte di bianco (“navi bianche”) con strisce orizzontali verdi interrotte da grandi croci latine rosse. Nel 1907 questi segni di riconoscimento vennero ratificati da 78 nazioni nella Convenzione dell’Aja di quell’anno che stabiliva l’extranazionalità delle navi ospedale e, nell’art.4, ne definiva le caratteristiche e gli obblighi necessari per ottenerla: l’articolo prevedeva che queste navi, per essere riconosciute e rispettate internazionalmente, dovevano rispettare (oltre a portare i colori già descritti sulle proprie fiancate) altre disposizioni, quali l’installazione di illuminazioni convenzionalmente riconoscibili, l’assoluta assenza di strutture militari, l’impegno a non ostacolare in alcun modo l’attività dei navigli militari e la totale disponibilità ad essere ispezionate in qualunque momento dalle forze belligeranti. Queste disposizioni vennero successivamente confermate nel 1949 nel corso della II Convenzione di Ginevra dagli stessi Stati.            

La presenza, nella Storia, di navi adibite all’assistenza di malati o feriti in battaglie risale al I secolo a.C. con la nave ateniese Therapia citata da Strabone nella sua “Geografia universale” e la romana Aesculapius citata da Sallustio nelle sue “Historiae”, ma fu nel XVII secolo che queste navi assunsero una precisa funzione, allorché vecchi vascelli non più grado di navigare furono acquisiti dalle Marine militari di diversi Paesi e dislocate stabilmente in porti per la cura dei malati affetti da affezioni respiratorie polmonari contratte nel lavori a contatto con polveri (navi “pulmonari”) o dei feriti in azioni belliche con altre navi. La prima di queste navi fu la britannica Good Will, ancorata nel porto di Plymouth nel 1608 nel corso delle lotte tra cattolici e protestanti, cui seguì, nel 1798, la HMS Victory, prima nave da guerra convertita in nave ospedale, ancorata nel porto di Plymouth per la cura dei prigionieri nemici feriti nel corso della guerra contro Francia e Spagnanel (essa nel 1803 fu ricostruita come nave da guerra e, sotto il comando dell’ammiraglio Horatio Nelson, fu decisiva nella battaglia di Capo Trafalgar – 1805).

La prima nave ospedale italiana fu il piroscafo a elica Washington (ex francese Helvetie) fatta allestire come tale nel 1866 dall’ispettore del Corpo sanitario della Regia Marina Luigi Verde ponendola al comando del luogotenente di vascello Felice Zicavo. Si trattava di una nave di 1.400 tonnellate, lungo 107 metri, con 100 posti letto per degenza, infermeria e sala di medicazione, con 5 medici, 20 infermieri e un cappellano come corpo sanitario e 75 membri di equipaggio di cui 12 ufficiali. Il suo impiego più importante fu nella famosa battaglia di Lissa (luglio 1866, nel corso della Terza guerra di indipendenza dell’Italia contro l’Austria) durante la quale prestò soccorso a 45 feriti, ricuperando 60 cadaveri in mare.           

Successivamente, in funzione delle varie vicende belliche cui l’Italia andò incontro sino al 1945, la Regia Marina mise in attività, nel tempo, 27 navi ospedale: 17 di queste (Albaro, Brasile, Clodia, Menfi, Cordova, Palasciano, Italia, California, Marechiaro, Re d’Italia, Regina d’Italia, R1, Santa Lucia, Gargano, Arno, Tevere, Aquileia, allestite tra il 1890 e il 1911) furono impiegate nella Prima Guerra mondiale e a esse se ne affiancarono, nel corso della Seconda, altre 10 (Città di Trapani, Gradisca, Giuseppe Orlando, San Giusto, Po, Ramb IV, Principessa Giovanna, Sicilia, Toscana, Virgilio, varate tra il 1929 e il 1937). Accanto a queste vennero messe in linea 5 navi soccorso (Capri, Epomeo, Laurana, Meta, Equa, allestite tra il 1930 e il 1940) abilitate ad intervenire soltanto nelle acque nazionali in aiuto di naufraghi colti da sintomi di annegamento, da ustioni o da ipotermia, dotate ciascuna di una infermeria con attrezzature di emergenza, 8 posti letto per degenze, con 1 medico, 6 infermieri e un ufficiale 10 sottordini come equipaggio, caratterizzate dalla estrema rapidità per l’entrata in azione; e 5 navi trasporto infermi (Vienna, Helouan, Cesarea, Urania, Ticino) di proprietà di Compagnie private che erano state impiegate per il rimpatrio di nostri militari feriti non gravemente nel corso di guerre condotte in Africa orientale, senza medici ma con solo 3 infermieri a bordo, 5 letti per degenze e 10 membri di equipaggio al comando di un ufficiale, che erano state requisite dalla Marina Militare all’inizio della Seconda Guerra mondiale.

Nel corso dei due conflitti mondiali le navi ospedale italiane complessivamente effettuarono 794 missioni di soccorso (198 nella Prima guerra e 596 nella Seconda) coprendo 41.000 miglia e rimpatriando 320.000 feriti. Durante queste missioni andarono perdute 13 navi ospedale (Giuseppe Orlando, San Giusto, Città di Trapani, Arno, Po, Virgilio, California, Toscana, Aquileia, Principessa Giovanna, Brasile, Cordova, R1) affondate illegalmente dai nemici o a seguito di scontro con mine. Dopo la fine delle due guerre esse non furono rimpiazzate e le restanti navi ospedale vennero smantellate come tali, adibite ad altri usi o demolite così che, ad oggi, l’Italia non dispone di navi ospedale dedicate.

Attualmente sono una decina le nazioni le cui Marine Militari dispongono di navi ospedale in attività, anche se quasi tutte dotate di attrezzature obsolete. La Cina è la nazione che ne vanta, oggi, il maggior numero (10) di cui 3 moderne (Nankang, Nayun, e Daishandao) dotate ciascuna di 300 letti di degenza, 20 unità di terapia intensiva e 8 sale operatorie con 220 tra medici e infermieri; 5 modificate da ex navi traghetto della classe Qiangsha, 1 dalla nave portacontainer Zhuanghe e 1 da una ex nave ospedale russa. Seguono il Brasile con 9 Navi Ospedale, di cui peraltro solo 3 (San Juan Pablo II, San Juan XXIII e Papa Francisco) sono sufficientemente attrezzate; la Russia con 3 (Irtysh, Svir, Yenisey) ciascuna dotata di 7 sale operatorie, 200 letti di degenza, e un eliporto sul ponte superiore, con 250 sanitari; e, con una sola nave ospedale per ciascuna, l’India (nave Lakshadweep), l’Indonesia (nave Soeharso), il Perù (nave Puno ex passeggeri) e il Vietnam (nave Khanh Hoa). Esistono anche navi ospedale non appartenenti alle Marine Militari, come, ad esempio, la motonave Africa Mercury ex traghetto dell’ente benefico internazionale Mercury Ships, dotata di 5 sale operatorie e di 85 letti per la terapia intensiva; la Esperanza del Mar e la Juan de la Cosa del Ministero del Lavoro spagnolo; l’Elpis, ex rimorchiatore russo della Associazione Elpis ONLUS di Trapani operante prevalentemente in Africa; la nave ospedale della Associazione peruviana del Sovrano Ordine di Malta, attiva lungo il Rio Napo amazzonico, con infermeria, 20 letti di degenza e personale medico a bordo; e la motonave italiana Splendid di cui diremo.

In concomitanza con l’insorgenza del Covid19, la Royal Navy britannica ha provveduto ad aggiornare le attrezzature sanitarie a suo tempo (8 giugno 1982 , guerra delle Falklands) realizzate nella nave da crociera SS Uganda e nelle navi oceanografiche HMS Hydra, Hecla e Herald, mentre la U.S.Navy ha mobilitato le sue moderne navi ospedale, la USNS Comfort (T-AM 20) e la gemella USNS Mercy (Misericordia T-AM 19) che erano già intervenute in soccorso in occasione dell’attentato alle Torri gemelle di New York (11 settembre 2001), del terremoto di Haiti (gennaio 2010), degli uragani Katrina a New Orleans (agosto 2005) e Maria a Porto Rico (settembre 2017): le altre 20 navi ospedale che l’U.S. Navy aveva in forza sino al 2010 erano state smantellate negli anni successivi. Le due navi gemelle USNS (United States Naval Service, navi ausiliarie) erano state costruite nel 1976 come superpetroliere private della classe S.Clemente, lunghe 272 metri e larghe 32, alte 10 piani, di 70.000 tonnellate di stazza, velocità 17,5 nodi. Nel 1987 vennero acquisite dalla U.S. Navy e convertite in navi ospedale (Hospital ships) della classe Mercy, con base per la Comfort nel porto di Norfolk (Virginia) e in quello di San Diego (California) per la Mercy.

L’attrezzatura sanitaria comprende, per ciascuna, 12 sale operatorie, 1 farmacia, 1 laboratorio analisi emato-chimiche, 2 sale per radiografie standard, tomografie computerizzate e risonanze magnetiche nucleari, 2 reparti per la produzione di Ossigeno, 1 impianto per la dissalazione dell’acqua marina (1.200.000 litri al giorno), 15 reparti di degenza con complessivi mille letti di cui 80 per terapie intensive e sul ponte superiore è stata ricavata una pista per atterraggio elicotteri. Il personale sanitario consiste in 200 medici e mille infermieri provenienti dal Dipartimento di Medicina e chirurgia del Potsmouth Naval Medical Center in Virginia. Per sovvenire alla grave penuria di letti per il ricovero dei malati affetti da Covid19 nelle città di New York e Los Angeles, il 30 marzo 2020 la USNS Comfort attraccò al Pier (molo) 90 del porto di New York e la USNS Mercy nel porto di Los Angeles al fondo della baia di San Pedro e sino a oggi vi si trovano per accogliere e curare i malati e i convalescenti che non trovano posto nelle strutture sanitarie delle due città e dei rispettivi circondari.

Le Marine Militari della Germania, della Francia, della Spagna e dell’Italia non hanno in linea, attualmente, navi specificamente allestite come ospedali. L’Italia sfrutta oggi, a tal fine, le strutture sanitarie di emergenza di due navi che sono adibite ad altri compiti e precisamente quelle della portaerei STOVL Cavour, ammiraglia della flotta, e della Unità di supporto logistico Etna. La nave Cavour è dotata di 2 sale operatorie, 2 ambulatori (uno odontoiatrico), 1 sala per radiografie standard e tomografie computerizzate, 1 laboratorio per analisi ematochimiche, una farmacia, 32 posti letto per degenze con 10 ufficiali medici e 25 infermieri, mentre la Nave Etna ha una sola sala operatoria (per emergenze), un locale per radiografie standard, un laboratorio analisi e 8 posti letto, con 1 ufficiale medico e 8 infermieri. All’occorrenza la Marina Militare italiana può ricorrere all’aiuto anche delle strutture sanitarie dell’unità di supporto logistico Vulcano del gruppo privato Fincantieri, dotata di limitate attrezzature (1 sala chirurgica, 1 laboratorio analisi, 1 stanza per radiografie standard e 8 letti rilevabili per degenze, senza ausilio medico medico), attivato nel marzo 2021.

Sino al giugno 2021 era stata ormeggiata nel porto di Genova la motonave Splendid del gruppo privato Msc (Mediterranean Shipping Company) che l’aveva concessa alla Regione Liguria che aveva accolto, dal 2020, 190 pazienti ricoverandoli in cabine di isolamento con l’assistenza di 14 medici e 30 infermieri dell’Asl 3, in stato di “dimissione protetta” o di quarantena dopo la loro dimissione dagli ospedali cittadini per superamento della fase acuta dell’infezione da Covid19: tale attività della motonave venne sospesa nel giugno 2021, probabilmente per le migliorate condizioni della pandemia. Sotto la guida del Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, ammiraglio di squadra Giuseppe Cavo Dragone è attualmente in fase di studio un progetto per la costruzione di una nave “con capacità di ospedale” atta a fronteggiare le necessità sanitarie in mare e lungo costa in casi di catastrofi naturali, epidemie, soccorsi umanitari e di attività militari in tempo di pace, con personale civile per le attività medico- chirurgiche e militare per la sua gestione e manutenzione. È inoltre in corso il progetto “Rinascimento due”, messo in cantiere da alcuni ex alunni della Scuola navale militare “Francesco Morosini” di Venezia, sotto l’impulso dell’ammiraglio di squadra Luigi Binelli Mantelli, già Capo di Stato Maggiore della Difesa, teso alla costruzione di una moderna nave ospedale della Marina Militare dotata delle più sofisticate attrezzature mediche diagnostiche e terapeutiche, di adeguato tonnellaggio e con opportuno personale, con possibile intervento anche di capitali privati.

Gustavo Ottolenghi

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