Ci sono Paesi, come la Cina, in cui le date, spesso, assumono il valore di una medaglia al merito o, viceversa, di una pugnalata nel cuore dell’orgoglio. Una data che si ripete, in Cina, è un frammento di passato che ritorna, una storia che ricompare per essere rivendicata o riscattata dal presente. Come una giovane generazione che si prende cura di quella precedente.
Il 1° luglio, per la Cina, è forse la medaglia più importante di tutte.
Il 1° luglio 1921, un Partito Comunista Cinese che contava poco più di 50 membri, ma anche del supporto economico e logistico dell’Unione Sovietica, nasceva a Shanghai.
Hong Kong tornò sotto sovranità cinese il 1° luglio 1997. E ancora un anno fa, quando si volle soffocare le proteste pro-democrazia, la legge sulla sicurezza nazionale entrò in vigore alla vigilia del 1° luglio. Quest’anno il PCC compie 100 anni. Una data tinta di rosso, con un valore politico superiore di gran lunga ai precedenti.
Il presidente Xi Jinping si è affacciato su piazza Tienanmen parlando ai microfoni di un’intera nazione. Ha parlato di quella Cina povera e umiliata che gli albori del PCC hanno conosciuto. Quella Cina che, nell’arco di questi 100 anni, di cui 72 sotto il governo comunista, si è trasformata nella seconda potenza economica mondiale.
Il presidente Xi rivendica a nome del Partito di avere sconfitto la povertà, costruendo una prospera società socialista con caratteristiche cinesi. Non pochi i riferimenti ai tesissimi rapporti sul fronte internazionale, nelle schiette parole del presidente: “Abbiamo mostrato al Mondo che l’era del colonialismo, dell’oppressione, dell’abuso è finita per sempre. La Cina non ha mai oppresso alcun Paese né mai lo farà, e anzi è pronta a collaborare con quei Paesi che, come noi, vogliono la pace. Ma non ci faremo opprimere, né ci faremo intimidire dalle prediche o il bullismo di potenze esterne. Chi ci proverà, si troverà in rotta di collisione con un muro di metallo forgiato da 1. 4 miliardi di cinesi”. Persino nelle parole della Lega della Gioventù Comunista, si è fatto riferimento alla necessità di resistere alla “orrenda oppressione americana”.
Gli obiettivi per il futuro comprendono: la riunificazione della Cina, con l’annessione di Taiwan; la necessità di restare leali agli ideali del Partito e alla sua leadership centralizzata, perché, senza il Partito, nessuna nuova Cina è possibile; l’urgenza di difendere la sicurezza nazionale, implementando le forze armate e, infine, continuare a considerare l’importanza delle riforme e delle persone per promuovere il ringiovanimento del Partito.
Cinquantasei cannoni, in rappresentanza dei 56 gruppi etnici cinesi, hanno fatto fuoco insieme 100 volte, come segno di inclusione e unità.
Ma al di là della propaganda e della retorica di Partito, ci sono anche le ombre che questi 100 anni di storia portano con sé. I 70 milioni di morti in tempo di pace all’epoca di Mao. Le centinaia di morti in piazza Tiananmen. Le vittime dei Laogai, oggi delle carceri e dei centri di rieducazione. Le vittime delle persecuzioni politiche e religiose, i giornalisti detenuti (per cui la Cina occupa il primo posto al mondo). Le vittime delle sparizioni, della censura e di un sistema a impronta ancora fortemente maschilista.
Cento anni di luci e ombre che hanno cambiato il volto della Cina e del mondo. 100 anni di sviluppo a due velocità sul fronte economico e dei diritti, che si affaccia su un secolo nuovo, in cui l’Occidente dovrà imparare a comprendere e trattare con una Cina che ancora sottovaluta.
Patrizia De Grazia