Riprendo il discorso degli articoli di un anno fa, in particolare l’ultimo intitolato: “Doccia o minestrone? Anzitutto educazione”.
Ci risiamo, infatti, puntualmente
Con l’arrivo della buona stagione il bollettino degli interventi di soccorso in montagna ha ricominciato a scandire quotidianamente i notiziari.
La stampa locale riporta interviste con rifugisti gravemente perplessi che riferiscono di persone che non hanno proprio l’idea di che cosa significhi andare in montagna.
Arrivano spaesati, chiedono informazioni senza neanche una cartina.
Le app non danno adeguata copertura perché il telefono può scaricarsi o il campo può essere debole.
La classica, sana cartina Kompass o Tabacco non può mancare.
Tutti siamo sempre andati in montagna con la cartina e soprattutto dopo aver studiato l’itinerario.
Ecco, ciò che si è sempre fatto, si è sempre ritenuto tra i “fondamentali”, sembra essere ignoto a una moltitudine di improvvisati frequentatori dei nostri monti.
E così, pochi giorni fa, due trentacinquenni rimasti bloccati sulla ferrata delle Taccole sul Monte Baldo: una ferrata breve ma impegnativa e come tale ovunque descritta.
Una ferrata nell’ambito di una escursione che prevede oltre mille metri di dislivello in salita.
Insomma, una cosa che dev’essere programmata, studiata e preparata
Oppure la signora che si sente male, chiama il Soccorso Alpino che arriva.
Non la vedono, ne fanno di ogni per terra e per aria per cercarla.
Lei, invece, aveva ripreso forze, era arrivata al rifugio e non aveva avvisato nessuno.
L’anno scorso era successa una cosa analoga con due escursionisti tedeschi.
Fresca fresca la notizia di due ragazze che rimangono stremate su un sentiero delle Pale di S. Martino e chiamano casa in Inghilterra.
Dall’Inghilterra viene richiesto aiuto e anche in questo caso la sommarietà delle informazioni ha reso difficilissimo l’intervento.
I sentieri, le vie ferrate, le montagne, non sono un’autostrada con il pronto intervento della Polizia Stradale e del carro attrezzi…
Gli interventi sono faticosi e rischiosi
Com’è stato giustamente segnalato c’è una specie di deriva per cui le montagne rischiano di trasformarsi in una Disneyland d’alta quota.
Un pericoloso adeguamento a stili e modi cittadini che non possono che risucchiare un turismo superficiale, sprovveduto, consumistico, ignorante e pericoloso per sé e per i soccorritori.
Basti solo un dato proveniente dal Corpo Nazionale di Soccorso Alpino: nel 2022 ci sono stati 2665 interventi dovuti non ad infortuni e fatalità, ma all’incapacità degli escursionisti.
Dieci anni fa erano stati 400.
La situazione è alimentata e aggravata dalla “illusione cognitiva”: si vedono video di persone esperte e si pensa di poter far le stesse cose, senza preparazione fisica e psicologica, senza tecnica, senza studio.
Ricordo l’anno scorso una persona rimasta bloccata, stremata e “impanicata”
Pochi giorni fa ho letto l’intervista a un’esperta guida alpina, Herb Hüller: “Uno che vuol fare il medico non prende un bisturi e inizia a operare dopo aver visto un video su Youtube: studia, fa pratica, si specializza. La montagna è la stessa cosa, solo un po’ più semplice”.
La conclusione merita di essere scolpita nella pietra: “Dire che la montagna è per tutti è una stronzata. È per tutti quelli che sanno dove sono e a che cosa vanno incontro”.
Ricordo l’anno scorso una persona rimasta bloccata, stremata e “impanicata” dopo aver percorso i primi 100 metri (su 700) di dislivello della ferrata Bolver Lugli nel gruppo delle Pale di S. Martino.
L’ho fatta anch’io, la ricordo benissimo: una delle escursioni più belle della mia vita (insieme alla Via delle bocchette alte sulle Dolomiti di Brenta).
Oltre 700 metri di dislivello tracciato sostanzialmente in verticale con l’ausilio prevalente di corde fisse.
Il ruolo fondamentale delle Guide professioniste
Ricordo perfettamente anche che da solo non mi ci sarei mai avventurato e che, se sono arrivato alla fine della ferrata, è stato grazie al supporto di Luca, guida alpina del Corpo delle Aquile di San Martino di Castrozza, che mi ha costantemente istruito e incoraggiato, calmato e rassicurato, mi ha fatto prender fiato e mi ha consentito di godermi in sicurezza dalla parete la straordinaria bellezza del panorama.
Manuela – sua moglie – ci aveva preceduti alla velocità di un camoscio e al nostro arrivo era lì, in relax, vicino al Bivacco Fiamme Gialle, sorridente come il primo raggio di sole del mattino.
In quell’epoca andavo spesso in montagna, ero fresco fresco di un giro sulle ferrate delle Dolomiti di Brenta ed ero in forma.
Luca e Manuela mai mi avrebbero proposto la Bolver Lugli se non fossero stati sicuri delle mie condizioni fisiche, senza essersi informati sulle vie ferrate che avevo già affrontato.
Detto questo, rimane chiaro che nessuno può andare in montagna con spavalderia e in assoluta sicurezza: il caso o la sfortuna sono sempre in agguato anche per l’alpinista più esperto.
Attenzione e cautela sempre e comunque
Io sono un semplice escursionista, ma il sentiero da Vallesinella al Rifugio Tuckett nelle Dolomiti di Brenta lo conosco bene: in un’occasione mi sono trovato avvolto dalla nebbia in un punto che a memoria sapevo fosse a poche decine di metri dal Rifugio.
Ero, però, paralizzato dalla totale mancanza di visibilità.
La cosa non è durata poco e ricordo il disorientamento che una tale situazione può provocare: non sapere da che parte andare.
Ma io sapevo, ero certo, di essere vicino al Rifugio.
È bastato aspettare.
Bere un sorso di tè.
Aspettare.
Con calma.
Poi è arrivato un soffio di vento e il Rifugio era lì, davanti a me, apparso come per magia.
La montagna non è un parco giochi.
Non tutti possono fare tutto e andare ovunque, improvvisando, ingolositi da un depliant turistico.
Rispetto, preparazione, disciplina e umiltà.
Sempre.
Claudio Zucchellini