La Grande Moschea di Bruxelles

Quando si parla dei problemi provocati dall’immigrazione in Belgio, in molti oggi pensano subito a Molenbeek. Ovviamente, si tratta di un caso estremo. Ma evidenzia la difficoltà a affrontare un certo tipo di nodi.

Iniziamo col ricordare che all’inizio del 2012, in Belgio i residenti con almeno un antenato straniero erano il 25% della popolazione. 1.200.000 circa tra loro erano di origini “Occidentali”: attorno al 49% di questo 24%. 1.350.000 erano invece di origini non Occidentali: l’altro 51%, che più o meno è tra il 12,5 e il 13% della popolazione complessiva. Prima molto difficile, l’ottenimento della cittadinanza belga è diventato più semplice con il nuovo Codice della Nazionalità del 1985, e soprattutto dopo l’ulteriore riforma del 2000. Del tema si è occupato in particolare Alain Destexhe: un ex-segretario di Medici senza Frontiere, poi autore del libro Immigration et intégration: avant qu’il ne soit trop tard…. Secondo lui, “rispetto alla sua popolazione, il Belgio ha sperimentato uno choc migratorio più importante di Francia, Germania o Paesi Bassi”. In base ai sui calcoli, “in vent’anni, il Belgio ha naturalizzato da 600 a 700.000 persone, il 5-6% della popolazione, per non parlare di clandestini e richiedenti asilo”. Nella sua analisi, la scelta del 2000 di rendere estremamente facile il ricongiungimento familiare, di regolarizzare in massa i clandestini già presenti e di semplificare anche la naturalizzazione avrebbe “creato un afflusso di un milione di persone in dieci anni in un paese di dieci milioni! Uno choc che ha portato a un cambiamento nella composizione del paese, specialmente a Bruxelles, aggravando i problemi del comunitarismo, del salafismo e del separatismo culturale”.

Poiché il libro è del dicembre 2018, la cifra del milione di nuovi afflussi si riferirebbe al 2008-18; la cifra delle 600-700.000 naturalizzazioni al 1998-2018. Cifre ufficiali stimavano invece il numero degli stranieri divenuti cittadini tra 2000 e 2012 in 1,3 milioni: l’89,2% degli immigrati turchi, l’88,4% dei marocchini, il 75,4% degli italiani, il 56,2% dei francesi, il 47,8% degli olandesi. Nel 2007 c’erano inoltre 1,38 milioni di residenti stranieri, corrispondenti al 12,9% della popolazioni. Di essi, 685.000 erano nati fuori dall’Ue: il 6,4%. 695.000 nell’Ue: il 6,5%. Nel 2017 gli oriundi marocchini rappresentavano il 2,8% della popolazione belga: gli italiani il 2,4; i francesi l’1,9; gli olandesi l’1,6; i turchi l’1,4; polacchi e romeni lo 0,8% a testa; gli spagnoli lo 0,7%, e lo 0,5% a testa i tedeschi e gli oriundi della Repubblica Democratica del Congo, il Congo ex-belga. Insomma, l’immigrazione in Belgio deriva molto poco dal lascito del colonialismo.

La catastrofe di Marcinelle (Wikipedia)

Una larga parte viene invece dal bisogno di manodopera dell’industria specie mineraria nel dopoguerra. È nella memoria collettiva italiana la storia di Marcinelle: miniera di carbone che l’8 agosto 1956 si incendiò per la combustione di olio a alta pressione innescata da una scintilla elettrica.  262 furono i morti e solo 13 i sopravvissuti, tra cui 6 feriti. Gli italiani erano 136, contro 95 belgi, 8 polacchi, 6 greci, 5 tedeschi, 3 ungheresi, 3 algerini, due francesi, due sovietici, un britannico e un olandese. Un’altra grande fetta di immigrazione è invece legata allo sviluppo delle istituzioni europee a Bruxelles. E questa è in genere di livello sociale più alto: ma nel corso dei decenni anche l’altra immigrazione ha avuto tempo di ascendere. Primo ministro del Belgio dal 6 dicembre 2011 all’11 ottobre 2014, presidente del Partito socialista belga vallone dal 1999, primo capo di governo apertamente omosessuale nell’Unione Europea, Elio Di Rupo è figlio di immigrati abruzzesi, arrivati nel 1947 in base a uno di quei programmi con cui il governo italiano in pratica “barattava” lavoratori in cambio di carbone.

Dunque, il Belgio è riuscito anche a integrare ai massimi livelli. E marocchini e turchi sono due minoranze islamiche certo consistenti, ma nel complesso minoranza rispetto al complesso della popolazione allogena. Però gli islamici sono quelli che sono cresciuti in modo più appariscente negli, ultimi anni. A Anversa, capitale delle Fiandre, la popolazione di origine immigrata era tra il 36 e il 39% nel 2010, con una previsione del 55% entro il 2020. A Malines, un quarto della popolazione è oggi musulmana.

Il mercato di Mollenbeek

Mollenbeek St. Jean, distretto di Bruxelles anche chiamato Little Morocco o dai suo abitanti islamici Molem, è venuto alla ribalta mondiale dopo gli attacchi di Parigi del 13 novembre 2015: organizzati e eseguiti appunto da una cellula di jihadisti che lì aveva la sua base. Lì il 57% del residenti vive sotto la soglia di povertà. E già nel 2005 un allarme su Molenbeek era stato lanciato da Hind Fraihi: un giornalista investigativo belga di origine marocchina esperto in mondo arabo, che vi si era infiltrato per due mesi travestito da studente di sociologia. Pubblicato sul giornale fiammingo Het Nieuwsblad, il suo reportage riferiva di moschee dove si vendevano sotto banco libri pro-jihad stampati in Olanda ma scritti in Arabia Saudita. Di imposizione massiccia del burqa. Dei soldi buttati in campo in quantità dai sauditi per manipolare le coscienze. Di giovani presi in mezzo tra la disoccupazione, la strada e le predicazioni più infiammate. “Questi giovani non hanno un lavoro né un futuro, quindi è molto facile indottrinarli se gli dai una grande storia”, scrisse.

Va ricordato che anche il Belgio come i vicini Paesi Bassi ha una tradizione di democrazia consociativa. Non vi è in effetti una “pilastrizzazione” olandese di tipo religioso tra calvinisti, cattolici e laici: questi ultimi a loro volta divisi tra liberali e socialisti. C’è però una “pilastrizzazione” linguistica tra fiamminghi e valloni, con in più una piccola minoranza tedesca che comunque anch’essa è stata riconosciuta come comunità culturale autonoma e ne ha ottenuto i relativi privilegi. Una conseguenza di questa situazione è un peculiare sistema federale a doppio livello: tra le tre entità territoriali Fiandre-Vallonia-Bruxelles; tra le tre entità linguistiche Fiamminga-Francese-Tedesca. Alcune competenze vanno al potere centrale; altre alle regioni; altre alle comunità. Da notare che non c’è coincidenza tra i due livelli di decentramento, perché a Bruxelles funzionano contemporaneamente la Comunità Fiamminga e quella francese, e in Vallonia quelle francese e tedesca. E si sono nel tempo divisi tra un’altra fiamminga e una vallone sia i tre partiti tradizionali democristiano, liberale e socialista; sia i più recenti verdi.

Come nei Paesi Bassi, anche in Belgio questa cultura dei “pilastri” ha presumibilmente incoraggiato alcune comunità di immigrati a costruirsi spazi di separazione, secondo il modello che veniva dai padroni di casa. In più, in Belgio la doppia lottizzazione partitica e linguistica e l’affastellamento dei poteri decisionali sembra aver favorito un indebolimento dello Stato. In particolare nel 1996 dopo il caso del serial killer Marc Dutroux ben 350.000 belgi scesero in piazza a manifestare contro una inefficienza della Polizia attribuita appunto a eccesso di lottizzazione. E tra 2010 e 2012 il Belgio ha avuto una crisi di governo che è durata ben 535 giorni, battendo ogni record mondiale in materia.

La Grande Moschea di Bruxelles

Anche il jihadismo e l’integralismo se ne sarebbero avvantaggiati, facendo del Belgio un loro hub proprio nel cuore d’Europa. Secondo vari analisti, un problema ulteriore sarebbe stato creato nel 1969, quando re Baldovino pensò di dare all’Arabia Saudita le chiavi del padiglione orientale al Parco del Cinquantenario di Bruxelles. Lì fu allora installata la sede del Centro Islamico e Culturale del Belgio (Cicb), che con grande investimento di petroldollari divenne il quartier generale europeo della Lega Musulmana Mondiale. Amministrata da un consiglio composto dagli ambasciatori dei Paesi islamici, ma presieduta da quello saudita. Così il Belgio voleva non solo facilitare un po’ di contratti petroliferi, ma anche sdebitarsi per la generosità mostra da re Feisal con le vittime dell’incendio del grande magazzino À l’Innovation, in cui 22 maggio 1967 a Bruxelles erano morte 251 persone e ne erano rimaste ferite altre 62. Ma l’istituzione ebbe un ruolo così pesante nel diffondere tra i musulmani belgi l’intollerante interpretazione Salafita che già nel 1990 il governo le ritirò sia lo status di interlocutore ufficiale, sia il compito di formare gli insegnanti di religione islamica. Il danno, però, era già stato fatto, favorendo tra i musulmani belgi l’emergere di una società parallela in cui i Salafiti hanno potuto isolarsi sempre di più dalla società occidentale e dai suoi valori.

A Bruxelles, esattamente attorno quella stazione Gare du Midi che è il terminal ferroviario dell’Eurostar, c’è un mercato domenicale che è tra i più grandi d’Europa. Tra i suoi vicoli passa però anche quel noto crocevia del mercato di armi in cui andò a rifornirsi Amedy Coulibaly: il terrorista che il 9 gennaio 2015 due giorni dopo la strage fatta dai suoi amici Saïd e Chérif Kouachi alla sede di Charlie Hebdo assaltò un supermercato Kosher.  Ma “Bruxelles prima capitale musulmana d’Europa” aveva già titolato un servizio della tv Usa Fox News nel marzo del 2009, spiegando agli americani che secondo le proiezioni demografiche la città avrebbe avuto una maggioranza di residenti islamica entro una ventina d’anni. Dire che è Mohamed il nome più diffuso non è particolarmente significativo: lo stesso fenomeno si registra alle anagrafi di Londra, Oslo, Milano e Marsiglia. Ma a Bruxelles sono islamici ben sette dei primi 10 nomi registrati all’anagrafe. Di fronte alle stime secondo cui i musulmani sarebbero già tra un terzo e i due quinti degli abitanti di Bruxelles, e i due terzi dei giovani sotto i 15 anni, il sociologo Felice Dassetto, docente emerito a Lovanio e pioniere degli studi sulla diffusione dell’Islam in Europa, rispose che erano esagerate. Ma anche la sua valutazione minima attestava comunque un 22%, ed in cui la terza generazione dall’emigrazione tendeva ad essere più religiosamente radicale rispetto alle prime due.

Accanto a Gare du Midi, un’altra area massicciamente islamizzata della Grande Bruxelles è appunto Molenbeek-Saint-Jean, dove si fecero le prime perquisizioni dopo quel blitz di Verviers in cui il 15 gennaio 2015 due jihadisti, tornati appena una settimana prima dalla Siria furono uccisi dalla polizia durante un’operazione anti terrorismo condotta in quella cittadina vicino Liegi. Un terzo fu ferito e arrestato. I tre uomini erano stati monitorati dai servizi segreti belgi che avevano seguito i loro spostamenti e intercettato le loro conversazioni via web. I tre foreign fighters sarebbero stati responsabili del rifornimento di armi verso le cellule “dormienti” e del reclutamento di giovani da preparare alla Jihad.

Proprio Fox News ne aveva intervistato l’allora borgomastro socialista Philippe Moureaux.  “Siate realisti, loro sono là, relativamente numerosi, e sempre più numerosi. Volete che i vostri figli e nipoti vivano una qualche forma di guerra civile?”, era stata la spiegazione della politica per cui aveva via via deciso di creare un consiglio consultivo delle moschee finanziato del comune, dare ai musulmani la maggioranza delle candidature, aprire il mattatoio municipale alla festa del sacrificio. Lui personalmente è restato agnostico, ma l’anno dopo ha preso in seconde nozze come moglie una musulmana. È vero che dal 2012 era stata eletta come nuovo borgomastro una liberale. Ma dopo esserci andato in incognito il già citato Hing Frahi lo aveva definito come un luogo simbolo tra quelli in cui “non sembra neanche più di essere in Belgio”, così come nel vicino quartiere di Kuregem. Musiche maghrebine, donne velate, negozi dove si parla rigorosamente in arabo, la polizia che ha paura ad entrare.

Fox News aveva allora intervistato un presidente socialista del Parlamento francofono di Bruxelles di nome Mahfoud Romdhani che era a sua volta musulmano. Anche se insisteva che la presunta islamizzazione è destinata a non andare avanti perché come capitale dell’Ue Bruxelles attirerà col tempo sempre più europei, e secondo lui anche gli islamici tendono ormai a laicizzarsi. Ma vari sociologi obiettano che proprio la radicalizzazione religiosa di almeno il 75% dei giovani musulmani cambia i dati del problema. E fu La Libre Belgique a svelare i progetti dei governi della Regione di Bruxelles per divenire la capitale europeo della finanza islamica. A attivarsi fu in particolare il ministro regionale dell’Economia Benoît Cerexhe: appartenente a un partito che fino al 2002 si chiamava Social Cristiano e oggi è semplicemente il Centro Democratico Umanista, e indefesso lobbysta presso la Commissione Europea per un adattamento della legislazione bancaria alle regole dell’Islam. Salvo che la stessa Commissione si è impaurita, e il progetto si è arenato. In compenso, dal 2013 ha cominciato a essere filmata per le strade una sorta di “polizia religiosa” attiva per sorvegliare il comportamento dei musulmani: simile d’altronde a quella che dal 2003 è attiva nell’altra grande città belga di Anversa.

Dal 2004, però, la municipalità di Maaseik inaugura il veto al velo con una multa di 75 euro all’immigrata marocchina Khadiija El Ouazzani. Il relativo ricorso sarà respinto in tribunale nel 2006. Secondo il sindaco Jan Creemers, democristiano fiammingo, almeno 5 o 6 donne a Maaseik avevano provocato “sentimenti di insicurezza” col portare un burqa, e lui aveva ricevuto lamentale in proposito. Lui in persona aveva ammonito le donne a togliersi il burqa, facendo poi multare l’unica che si era ostinata. Su richiesta dello stesso Creemers, alla fine del 2004 il ministro dell’Interno del governo regionale fiammingo, il liberale Marino Keulen, emana un divieto standard per il burqa, spedendolo a tutte le 308 municipalità delle Fiandre. La normativa stabilisce che le persone sulla pubblica via o in pubblici edifici devono essere identificabili.

Ovviamente, anche in Belgio la paura dell’immigrazione specie islamica e islamista ha portato come reazione alla crescita di partiti con tinte xenofobe. Tra 1985 e 2012 in Vallonia è anche esistito un Front National modellato su quello di Le Pen, ma l’agenda anti-stranieri è stata portata avanti soprattutto dai due partiti nazionalisti fiamminghi: il più estremo e un più moderato. Quest’ultimo fino allo scorso dicembre è stato parte della coalizione di governo del primo ministro Charles Michel: assieme ai liberali valloni dello stesso Michel, ai liberali fiamminghi e ai dc fiamminghi. Ma poi se ne è andato sbattendo la porta proprio sul tema dell’immigrazione, non approvando il voto del governo a favore del Global Compact Onu.

Tuttavia anche i partiti tradizionali stanno diventando sensibili a questi temi. Nel settembre del 2018, ad esempio, quattro partiti francofoni hanno chiesto la messa fuori legge di un partito islamista che chiedeva la Sharia a partire dalla separazione di uomini e donne sui mezzi pubblici. Tra di essi sia il Movimento Riformatore dello stesso Michel; sia il Partito Socialista di Di Rupo; sia i democristiani del Centro Democratico Umanista; sia i regionalisti del DéFi. Insomma, tutti tranne i Verdi. A essere preso di mira quel Partito Islam, che fondato nel 2012 era riuscito subito a far eleggere due consiglieri comunali a Bruxelles. Nel maggio del 2014, è vero, quando aveva presentato le sue liste alle elezioni federali e regionali a Bruxelles e Liegi era stato un flop: appena lo 0,2% di voti. Alle municipali dell’ottobre 2018 ottiene l’1,8% a Molenbeek-Saint-Jean e l’1,6 a Bruxelles, ma a Anderlecht non gli viene permesso di ripresentarsi. Il leader Redouane Ahrouch non può dunque essere rieletto, privando il partito di ogni residua rappresentanza.

Il procedimento è complesso e potrebbe richiedere una modifica della Costituzione. Il Partito Islam – che sta anche per “Integrità, Solidarietà, Libertà, Autenticità, Moralità!”, è radicato soprattutto nella comunità sciita e ha stretti contatti con l’organizzazione mondiale sciita Ahl ul-Bayt, con base a Teheran. Ahrouch nell’aprile del 2018 ha proposto la segregazione nei trasporti pubblici sostenendo che “nelle ore di punta, alcune persone, soprattutto di origine straniera, approfittano del fatto che i veicoli siano pieni per appiccicarsi alle donne”. Poi è scoppiata una polemica dopo che uno dei capolista del Partito Islam alle comunali ha minacciato un utente di un social media di “sgozzarlo come un agnello halal” e di “lapidarlo più rapidamente di quanto tu pensi”. Infine l’aprile scorso Ahrouch è stato condannato a sei mesi di carcere: proprio per discriminazione contro una donna.

Il suo caso dimostra comunque che i finanziamenti iraniani possono essere altrettanto esiziali di quelli sauditi. In effetti, per tornare a governare l’immigrazione Destexhe assieme alla revisione del processo di ricongiungimento familiare ha proposto la fine dei sussidi per le lobby filo-islamiche e dei fondi stranieri alle organizzazioni musulmane.

Maurizio Stefanini

Ultima puntata dell’inchiesta di Maurizio Stefanini sulla politica dell’immigrazione nei vari paesi europei, dopo quelle riguardanti la Spagna, la Francia, la Germania, il Regno Unito, la Svezia, la Danimarca e i Paesi Bassi.

Maurizio Stefanini

Giornalista dal 1988. Free lance impenitente. Attualmente collabora con Il Foglio, Lettera43, Libero, Bio's, Longitude, Babilon. Di formazione liberale classica, corretta da radici contadine e da un’intensa...

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