Via Rasella è stata una pagina tutt’altro che nobile della Resistenza, quelli uccisi furono una banda musicale di semi-pensionati e non nazisti delle SS, sapendo benissimo il rischio di rappresaglia su cittadini romani, antifascisti e no”.

Hanno suscitato polemiche incandescenti le dichiarazioni sull’attentato di via Rasella pronunciate dal Presidente del Senato La Russa, con immancabili richieste di dimissioni. La seconda carica dello Stato è personaggio molto popolare a Milano, anche al di fuori del suo ambiente politico-ideologico, sia per la sua empatia (tra i suoi amici personali si contano non pochi esponenti della Sinistra), sia per la sua fama di tombeur de femmes, sia soprattutto per la sua sfrenata passione per l’Inter e per il calcio in generale: tanto che in città (quasi) tutti, quando parlano di lui, lo chiamano semplicemente “Ignazio”.

Tornando alle affermazioni su via Rasella, non essendo uno storico, non entro nel merito. Mi sembra tuttavia che sin dal dopoguerra l’opportunità dell’attentato, difficilmente motivabile da un punto di vista militare, abbia suscitato dubbi anche da parte di antifascisti di sicura fede. Il più liberale e libertario tra gli uomini politici italiani, Marco Pannella, avrebbe assimilato i gappisti (i partigiani comunisti responsabili dell’attentato) ai brigatisti rossi.

Non sono un tuttologo e, non vantando competenze specifiche, rifiuto di addentrarmi nell’analisi storico-politica. Quello che mi colpisce negativamente è che ogni affermazione su certi temi (in questo caso sulla Resistenza, ma anche, più recentemente, sui vaccini e sulla guerra russo-ucraina) se non è perfettamente allineata al pensiero unico, o, se preferite, alla narrazione ufficiale, non diventa oggetto di dibattito costruttivo.

Al contrario, viene criminalizzata e derisa. Non dimentico che il grande Luc Montagnier, Premio Nobel per la medicina, venne schernito e trattato come un vecchio rimbambito da opinion leader e media mainstream perché aveva osato mettere in dubbio i vantaggi di una vaccinazione obbligatoria di massa. Il mio commento su quanto detto dal Presidente La Russa, si ferma alla difesa della libertà di espressione e all’invito al confronto tra idee diverse, senza il condimento di censure e insulti.

A entrare nel merito è, qui di seguito il nostro editore, apprezzato storico. Forse, anche se abbiamo preso in esame la vicenda “Ignazio e via Rasella” da angolazioni diverse, a qualcuno potrebbe sembrare che il mood del mio intervento sia profondamente diverso da quello di Riccardo Rossotto. Francamente me lo auguro. Proprio perché mettere a confronto opinioni tra loro distoniche è, a mio avviso, uno dei maggiori pregi della nostra testata.

Milo Goj

Il “battutista” è la devastazione delle nostre comunità, pubbliche e private. Il desiderio, a tutti i costi, di sorprendere, di far ridere la “platea” può provocare danni smisurati agli ascoltatori: apprezzamento, emulazione, archiviazione di argomenti delicati e spinosi con delle semplificazioni deleterie, sdoganamento di modi dire diseducativi. Se poi il “battutista” di turno, in un programma leggero, liquida argomenti tragici e dolorosi con sintesi ironiche e offensive, si raggiunge l’apogeo della miseria intellettuale! Si vogliono sparigliare le discussioni, ricorrendo a paragoni e immagini che offendono i protagonisti, le vittime, le famiglia, la comunità intera che ascolta.

Il presidente del senato Ignazio La Russa c’è riuscito. Per l’ennesima volta in pochi mesi! Ha voluto, pensato, detto una battuta di pessimo gusto sui morti di via Rasella, strumentalizzando ad arte un passaggio della nostra storia recente che aveva già scatenato polemiche e discussioni mai cicatrizzate.

Sebbene i tribunali italiani abbiano archiviato definitivamente le denunce a carico dei partigiani romani che avevano organizzato l’attentato di via Rasella, poi deflagrato nella terribile rappresaglia delle Fosse Ardeatine, qualificando l’evento come un atto di guerra, La Russa ha deciso di tornare sull’argomento (poco importa se stimolato dal contesto mediatico in cui ha espresso il suo “pensiero”): con una battuta di pessimo gusto e offensiva per tutti i morti di quella tragedia, ha quasi voluto minimizzare il ruolo di quei soldati altoatesini inquadrati nella polizia tedesca vittime della bomba partigiana, definendoli “banda musicale di semi pensionati”!

Personalmente, crediamo che la storia della nostra guerra civile del 43-45 sia stata raccontata per troppo tempo in modo unilaterale, non facendo gli interessi della verità e della conoscenza degli italiani su quel tragico periodo. La guerra fratricida è sempre una ferita che non si cicatrizza più nelle nazioni che l’hanno attraversata: chi l’ha vissuta in prima persona non può condividere poi una memoria comune con “gli altri”. È comprensibile. Le generazioni successive hanno invece la responsabilità e il diritto di conoscere cosa successe nel proprio paese in quei lunghi e terribili mesi di guerra civile: non è un tema di chi avesse ragione, di chi stesse dalla parte giusta. Non ci devono essere dubbi in merito. Ma la storia va raccontata tutta anche se non ci piace: non deve essere rimossa solo perché sgradita o vergognosa. Finalmente dopo quasi 80 anni nel nostro paese si sta facendo uno sforzo reale per rivisitare quel periodo senza omissioni e senza giudizi manichei.

Soltanto raccontandone tutti i tragici risvolti, senza sconti per nessuno, si può tramandare un messaggio di pacificazione, tentare a ogni costi di evitare il ripetersi di aventi analoghi. Il rispetto per i morti deve essere comunque il comune denominatore di una società che si definisce civile e democratica. Ignazio La Russa, con l’aggravante della posizione istituzionale che ricopre… transitoriamente, ci ha dimostrato di farsene un baffo di quella tragedia, di sbeffeggiarne i morti, di infischiarsene del dolore e delle sofferenze dei famigliari di quelle vittime, di qualsiasi appartenenza politica esse fossero.

Per fare il “battutista”, caro Presidente, bisogna avere stile, eleganza e rispetto per gli altri, se no si diventa una macchietta deplorevole e vergognosa, incompatibile con un ruolo politico in un paese civile e democratico. L’Incontro si ripromette di riprendere la ricostruzione di quegli eventi del marzo 1944 perché si sappia lo stato della conoscenza e delle ricerche storiche di quel periodo.

Riccardo Rossotto

Milo Goj

Milo Goj, attuale direttore responsabile de L’Incontro, ha diretto nella sua carriera altri giornali prestigiosi, come Espansione, Harvard Business Review (versione italiana), Sport Economy, Il Valore,...

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