In Italia da almeno 25 anni non si può seriamente parlare di riforma della Giustizia.
A turno, i leader politici al governo (certo il “maestro” fu Berlusconi ma gli emuli non mancarono anche dopo) hanno costruito uno schema mediatico per cui le varie inchieste giudiziarie a carico di esponenti dei partiti dovevano sempre avere una matrice politica, la cosiddetta “Giustizia a orologeria”, con la conseguenza che bastava iniziare un ragionamento critico nei confronti della magistratura che si veniva immediatamente etichettati come latori di una manovra, a sfondo politico, a favore dell’imputato di turno e contro la magistratura.
Il bilancio finale di questo “stallo” è sotto gli occhi di tutti.
Fino a ieri concentrato sulla lentezza dei processi, sull’inefficienza della macchina amministrativa con molti condannati a titolo definitivo in libertà soltanto per questioni burocratiche, sulla grave non credibilità del nostro paese nei confronti degli investitori esteri a causa di una Mala giustizia.
L’ultimo “spaccato” della situazione con la guerra di bande all’interno del Consiglio Superiore della Magistratura costituisce l’esempio più lampante e drammatico di un sistema che non funziona e appare nelle mani di giochi di potere tra correnti diverse, con la speranza che non ci sia di peggio.
Ebbene, leggete cosa scriveva quasi 31 anni fa, il 5 novembre 1988, Giovanni Falcone a proposito proprio del CSM: “Se i valori dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura sono in crisi, ciò dipende, a mio avviso, in misura non marginale anche dalla crisi che, ormai da tempo, investe l’Associazione dei giudici, rendendola sempre più un organismo diretto alla tutela di interessi corporativi e sempre meno il luogo di difesa e di affermazione dei valori della giurisdizione nell’ordinamento democratico … le correnti dell’ANM, anche se, per fortuna, non tutti in egual misura, si sono trasformate in macchine elettorali per il CSM e quella occupazione delle istituzioni da parte dei partiti politici che è alla base della questione morale, si è puntualmente presentata in seno all’organo di autogoverno della magistratura, con note di pesantezza sconosciute anche in sede politica”.
Nel gennaio del 1988, 10 mesi prima di questa dichiarazione scritta, Falcone aveva pagato un pesante dazio di questa situazione quando la maggioranza dei suoi colleghi membri del CSM lo aveva bocciato nell’elezione per la carica di capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo.
Giuseppe Ayala, oggi vice presidente della Fondazione Giovanni Falcone, ha voluto ricordare sul Corriere della Sera, le parole scritte dall’amico Falcone proprio a proposito dei mali che affliggono il CSM: “Da tempo – scriveva Falcone – sono giunto alla conclusione che il CSM funziona male. Il CSM è un groviglio inestricabile di interessi di varia natura, da cui la magistratura non riesce a liberarsi: queste incrostazioni corporativistiche, correntizie e politiche provocano uno stato di paralisi nei rapporti con le istituzioni. Troppe volte il CSM è mancato all’appuntamento con decisioni importanti”.
Una fotografia che sgomenta anche perché scattata 31 anni fa.
Ogni commento appare davvero superfluo salvo dover constatare che il problema è rimasto lo stesso, immutato, forse addirittura ulteriormente deteriorato.
Riccardo Rossotto