I primi passi del più profondo rinnovamento della pittura italiana nell’800 presero le mosse da un gruppo di artisti, giovani studenti e intellettuali, che si riunivano nel Caffè Michelangelo, a Firenze. La città, all’epoca dell’apertura del Caffè, nel 1848, viveva un nuovo momento di vitalità e di rinnovamento, grazie anche alla illuminata politica dei Lorena, con una forte ricaduta sui giovani, che aspiravano a un cambiamento dei costumi, della società, così come dell’arte.

Avversari strenui dell’Accademia di Belle Arti (l’istituto di formazione dei giovani artisti, ai quali imponeva, peraltro, regole e dogmi inflessibili), i ”macchiaioli”, come vennero denominati poi (nel senso che erano pittori che ritenevano di poter superare il disegno, per dare spazio unicamente all’ ”effetto” del colore, alla “macchia”), abbandonarono presto la pittura storica e la ritrattistica aulica, allora in vigore, per riscoprire il rapporto diretto tra la pittura e il paesaggio.

E quale miglior luogo nel quale ritrovare il contatto con la natura, la campagna, i contadini, se non la costa livornese, all’epoca ancora incontaminata (basti pensare che la ferrovia venne costruita solo agli inizi del ‘900), e in particolare Castiglioncello, località a sud di Livorno? Il caso volle che, a seguito di alcune successioni ereditarie, un territorio vastissimo (all’incirca di 1.000,00 ettari), divenisse proprietà di Diego Martelli, uno dei frequentatori del Caffè Michelangelo, nella sua veste di critico d’arte e di mecenate di questi giovani pittori.

Egli, quindi, in epoca successiva alla morte del padre, avvenuta il 30 luglio 1861, iniziò a ospitare i suoi amici pittori in questa vasta proprietà, a ridosso delle colline e frontistante il mare. Non dobbiamo immaginarci una villeggiatura con le comodità di oggi, poiché la casa di Martelli era sostanzialmente una casa di campagna, contornata da pollai e orti e, più in là, da campi coltivati dai coloni. Peraltro la meraviglia dei luoghi, la luce, il mare, l’azzurro del cielo, il giallo dei covoni, erano proprio tutti gli elementi che cercavano i “macchiaioli”, i quali iniziarono a dipingere una serie di vedute che sono ancor oggi di straordinaria bellezza.

Senza pretesa di completezza, Telemaco Signorini, proprio nel 1861, dipinse “Pascoli a Castiglioncello”; Odoardo Borrani dipinse, nel 1862, la “Veduta della punta di Castiglioncello con la Torre Medicea”; Giuseppe Abbati la ”Casetta di pescatori a Castiglioncello” e “La casa di Diego Martelli”, nel 1867; sino al più famoso di tutti, Giovanni Fattori, che nel 1867-1870, dipinse, tra gli altri numerosi suoi quadri ispirati da questa località, la “veduta di Poggio Pelato”.

I migliori nomi della pittura italiana dell’epoca, oltre a quelli sopraindicati, trascorsero periodi di serenità e di lavoro a Castiglioncello e il ricordo di quel tempo felice è tutto nei quadri di Silvestro Lega, Vincenzo Cabianca, Telemaco Signorini, Raffaello Sernesi e altri che sono testimonianza vivente di un’arte italiana tutta protesa verso la modernità.

Non si deve comunque pensare che i pittori vivessero al di fuori della realtà dell’epoca: anzi, è vero il contrario. Molti di essi parteciparono ai moti risorgimentali e alcuni addirittura, come volontari, alle guerre d’indipendenza. Tra essi spiccano Giovanni Fattori (autore di quadri straordinari sull’esercito e sui cavalli), Silvestro Lega, Telemaco Signorini e Giuseppe Abbati che, unitosi alla spedizione dei Mille con Garibaldi, perse un occhio nella battaglia del Volturno, a Gaeta.

I luoghi dipinti dai “macchiaioli” sono oggi certo lontani da quelle visioni di vita agreste che essi ci hanno voluto trasmettere; ma basta passeggiare lungo il mare o nella pineta di Castiglioncello per rivedere alcuni paesaggi immortalati da questi grandi pittori, che portarono la “rivoluzione” nel mondo dell’arte italiana.

Alessandro Re

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