Guido Mattioni, giornalista e scrittore di lungo corso, è una figura di primo piano nel panorama editoriale italiano ed internazionale. La sua carriera lo ha visto protagonista di importanti inchieste giornalistiche, fino a dedicarsi negli ultimi anni ad una riflessione più ampia sulla società e il cibo.

Attraverso una produzione letteraria raffinata e intrisa di significato, Mattioni esplora le implicazioni culturali e sociali dell’alimentazione, sottolineando come il cibo non sia soltanto nutrimento, ma memoria, identità e convivialità. Il suo nuovo libro, Ti racconto una ricetta (Mind Edizioni), si inserisce perfettamente in questo percorso di ricerca e narrazione, raccontando non solo ricette, ma le storie che le circondano: memorie di persone, luoghi, tradizioni.

Non si tratta di una semplice celebrazione della buona tavola, ma di una riflessione profonda sul cibo come elemento centrale della nostra esistenza, un mezzo per comprendere noi stessi ed il mondo.

Con Ti racconto una ricetta continua l’esplorazione nel mondo del cibo. Qual è il filo conduttore tra questo libro e i lavori precedenti come ad esempio “Il cibo che cura, il cibo che ammala”?

Credo sia importante fare una distinzione. Il cibo che cura, il cibo che ammala, del 2017, era una collaborazione, “Ti racconto una ricetta, invece, è un progetto completamente diverso, che nasce dalla mia passione personale per la cucina. È un interesse che mi accompagna da quando ero bambino, trasmessomi dalle donne della mia famiglia, in particolare da mia nonna, una cuoca straordinaria. Da lei ho imparato i gesti fondamentali della cucina, come tagliare e mescolare, e con il tempo cucinare è diventato per me una necessità, soprattutto quando mi sono trasferito a Milano per lavoro. Quella che era una necessità si è poi trasformata in una passione autentica e duratura.

La cucina e la narrazione sono strettamente intrecciate nel libro. In che modo le ricette diventano anche racconto?

Ti racconto una ricetta non è solo un libro di ricette: è una fusione tra la mia passione per la cucina e quella per la narrazione. Ogni ricetta è accompagnata da una storia, perché ogni piatto ha una sua origine, un suo contesto. Parlo ad esempio della Soupe á l’Onion, che era la passione del commissario Maigret o del Timballo del Gattopardo. Questi piatti non sono solo cibo, ma finestre sul mondo. Ecco perché la cucina è così affascinante: è un racconto di geografia, cultura, storia e persino antropologia.

Nel libro ci sono ricette legate all’infanzia o alla famiglia?

Sì, molte. Una delle ricette più legate alla mia infanzia è la zuppa d’orzo e fagioli, un piatto povero della tradizione friulana che mi ricorda casa e famiglia. Poi c’è il zuf, una purea di farina di mais e latte che mia nonna preparava sulla vecchia cucina economica. Questi piatti, nati dalla miseria, non sono solo alimenti, ma simboli di resistenza e di condivisione. La polenta, ad esempio, ha nutrito intere generazioni, ma spesso viene ingiustamente associata alla pellagra. In realtà, la pellagra non era causata dalla polenta in sé, ma dalla mancanza di altri nutrienti. Questi piatti raccontano una storia di povertà, ma anche di ingegno e forza d’animo.

Come vede il ruolo del cibo nella società contemporanea e come possiamo riappropriarci della lentezza e della consapevolezza a tavola?

Purtroppo oggi il cibo è diventato un prodotto di consumo veloce e superficiale, imposto dall’industria alimentare e dalla pubblicità. Il concetto di “non avere tempo” è stato inculcato a tal punto che molte persone credono di non poter più dedicare tempo alla cucina. Cucinare richiede tempo ed è proprio il tempo che rende speciale la preparazione del cibo. Non si tratta solo di nutrirsi, ma di condividere un momento, di godere della convivialità. Detto questo, non sempre servono ore in cucina per preparare qualcosa di buono. Ci sono piatti semplici e veloci che, se preparati con ingredienti freschi e di qualità, possono essere altrettanto gratificanti.

In La morte è servita ha esplorato il lato oscuro dell’industria alimentare. Come è cambiata la sua visione del cibo nel tempo?

La mia visione non è cambiata, anzi si è rafforzata. L’industria alimentare ha trasformato il cibo in un prodotto da vendere a ogni costo, riempiendolo di conservanti, zuccheri e grassi nocivi. Negli ultimi anni sono aumentate patologie gravi come il morbo di Crohn o la steatosi epatica, che un tempo colpivano solo gli adulti, mentre oggi affliggono anche i bambini. Questo mi fa arrabbiare profondamente, perché i bambini non fumano, non bevono alcol e non hanno lo stress lavorativo degli adulti. La causa principale di queste malattie è il cibo industriale, pieno di ingredienti nocivi come l’olio di palma. Abbiamo perso il contatto con le materie prime genuine e con la cucina casalinga. Dobbiamo recuperare urgentemente quel legame.

La cucina sta vivendo un vero e proprio boom di popolarità, tra programmi televisivi e social media. Cosa ne pensa?

Da un lato è positivo che ci sia più attenzione verso la cucina, ma dall’altro c’è il rischio che diventi puro spettacolo, una performance per le telecamere. La cucina non dovrebbe essere solo una competizione o uno show, ma un atto d’amore. Cucinare è cultura, è rispetto per gli ingredienti e per le persone. Spero che questa popolarità spinga più persone a riscoprire il valore autentico del cucinare, a ritornare alla semplicità e alla qualità e a non ridurre la cucina ad una mera moda passeggera.

Quali consigli alimentari darebbe ai nostri lettori?

Il mio consiglio è di tornare alla semplicità. Utilizzate ingredienti freschi, stagionali e locali. Non serve preparare piatti complessi per mangiare bene. Prendetevi il tempo necessario per cucinare, ma soprattutto godetevi il pasto con le persone care.

Ha nuovi progetti in cantiere per il futuro?

Sto lavorando a un nuovo romanzo, ambientato negli Stati Uniti: è ancora in fase di sviluppo, ma mi sta già appassionando molto. Inoltre, sto pensando di tornare a esplorare il tema dell’emigrazione, come ho fatto nel mio secondo libro. È un tema che mi affascina e che trovo estremamente attuale, soprattutto oggi.

 

Martina De Tiberis

Laureata in Lettere Moderne e specializzata in Filologia Moderna presso l’Università degli Studi di Ferrara con il massimo dei voti. Nel 2021 ha intrapreso il percorso per diventare giornalista pubblicista,...

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