Sulla sua stagione fiumana, vissuta per il tempo dell’impresa al seguito di Gabriele D’Annunzio, Giovanni Comisso ci ha lasciato pagine straordinarie. Pensiamo a un romanzo come Il porto dell’amore, un libro che quest’anno ne compie cento, e a molte pagine di Giorni di guerra, uscito nel 1930. Ma su Fiume, a Fiume e da Fiume, lo scrittore ha lasciato molto altro, di sparso e tutto raccolto nel Fondo Comisso custodito presso la omonima Biblioteca di Treviso, sua città natale. Ci ha pensato a selezionare i materiali più significativi Alessandro Gnocchi, caporedattore della sezione cultura e spettacoli del quotidiano “Il Giornale”.
Il risultato è stato un libro dal titolo “Italia ingrata – Scritti da Fiume”, edito da La nave di Teseo. Un libro bellissimo, a cominciare dal saggio introduttivo del curatore che, per la raffinatezza delle pagine, porta qui il timbro dello scrittore che Alessandro Gnocchi è. Un lavoro, il suo, non da poco, vista “l’immensità” del Fondo, e dove, per riprendere il giudizio di Gnocchi “per quanto ben catalogato, resta in sostanza inesplorato in profondità almeno in alcune sue parti”.
Ma c’è già di che essergli grati, perché, nelle trecento pagine e passa che, subito dopo quelle che prendono il saggio introduttivo, abbiamo una serie di testi, uno dei quali, in particolare, merita il plauso, e cioè “Solstizio metafisico”, una prosa che Comisso ha interamente scritto a Fiume, e che potremmo definire di prosa d’arte per la cadenza musicale e poetica, anche per i temi trattati di immedesimazione fisica, quasi panica, con la natura.
Sono tutti quadri filosofici e narrativi insieme che possono a tratti ricordare anche Slataper per lo spirito, il senso di immanenza che l’autore cerca nell’incontro quasi erotico con la natura. Traggo solo una riga e mezza di uno dei quadri che compongono il testo “La cavalla bianca trottava nel pieno sole colla sua lunga coda che pareva una sottana”. Ma ci sono anche quadri che ritroveremo più avanti in altri suoi libri, ad esempio ne “Il delitto di Fausto Diamante”, che avrebbe scritto pochi anni dopo a Genova, nella fuga da Treviso quando inutilmente cercava di ritrovare i brividi di vita che aveva vissuto a Fiume. Gnocchi si chiede, perché mai Comisso abbia lasciato inedito questo suo testo, in fondo finito. Questa è l’occasione migliore per leggerlo.
Altri scritti riguardano gli articoli, se possiamo chiamarli così, ma sarebbe riduttivo, pubblicati su “Yoga” la rivista fondata da Comisso stesso e da Guido Keller, del quale, come lo scrittore stesso ha confessato, aveva subito una grande influenza. A riguardo, Gnocchi ricorda le motivazioni che hanno spinto alla creazione della rivista, frutto di un progetto di vita dalle ambizioni rivoluzionarie, nel “rifiuto delle convenzioni borghesi (…) in nome di un superamento dei limiti strettamente imparentato con il superuomo di Nietzsche, del quale Yoga pubblica un brano di Al di là del bene e del male”.
In pratica si considerano giovani rivoluzionari, testualmente: “Rivoluzionari non contro un partito ma rivoluzionari contro quello che siamo. Rivoluzionari contro noi stessi onde si abbia a perdere le nostre false arroganze, le nostre vili menzogne le nostre tarde e appassite bellezze”.
La sintesi che Gnocchi fa nel suo saggio introduttivo è esemplare per la sua capacità nel trasmettere i sentimenti che animavano quegli uomini, alla fine sconfitti dalla vita. Ma tutti gli scritti di Comisso, poemi e poemetti compresi, nati dal ribollire dell’impresa fiumana testimoniano uno spirito vitale fermo nel tempo e coniugato all’età della giovinezza, quando, finita quella breve stagione, invano cercheranno altrove. Di tutto, alla fine, è rimasta un’inquietudine che ha bruciato le loro esistenze. Quella di Keller senz’altro, meno quella di Comisso che l’ha riversata nella sua vita errabonda di inviato in giro per il mondo. Ovunque cercando Fiume, quella che ha vissuto, e che ritroviamo, in varie forme, nei suoi testi presenti in questo libro.
Diego Zandel