Ecco la terza puntata degli articoli in cui si racconta cosa successe a Torino nella primavera del 1945. Ogni settimana l’edizione torinese del Corriere pubblica un “capitolo” di questa storia, scritta dal nostro editore Riccardo Rossotto. L’Incontro ne presenta, di volta in volta, una versione più completa e articolata. Buona lettura.

Milo Goj

 

Ho avuto la fortuna di conoscere e frequentare per alcuni anni il prof. Raimondo Luraghi (1921-2012), noto in tutto il mondo, soprattutto negli Stati Uniti, per la sua imperdibile e monumentale “Storia della Guerra Civile Americana” (Einaudi). Ma Luraghi fu anche protagonista della Resistenza piemontese.

In particolare, testimone attivo della liberazione di Torino nell’aprile 1945 quando,  con il nome di battaglia “Martelli”, alla testa del Battaglione Arditi, facente parte della IV Brigata Garibaldi comandata da “Barbaro” (Pompeo Colaianni), entrò in città. Il professore, come ero solito chiamarlo, nell’immediato dopoguerra scrisse importanti reportage per L’Unità, intervistando tutti i protagonisti della tragica estate del 1943. Proprio quella serie di contributi giornalistici su quel periodo fondamentale per la storia del nostro Paese, mi fece incontrare Luraghi.

Grazie alla sua disponibilità, passione e competenza storica, completai le mie ricerche sulle vicende armistiziali, con la pubblicazione, ispirata dagli editori Nanni e Mimmo Fògola (un pensiero speciale va a Mimmo mancato proprio pochi giorni fa) dei due volumi sull’”Estate degli inganni”e sul “Patto scellerato” (Mattioli 1885).  Soprattutto, grazie al professore, editai anche una micro-storia della Guerra Civile americana con la preziosa introduzione di Luraghi che mi definì “Anche tu sei ormai diventato un ‘prigioniero di quella vicenda’”. Perché questo lungo e autoreferenziale inizio della terza puntata della narrazione sulla liberazione di Torino?

Perché il prof. Luraghi mi intrattenne a lungo sulla storia di quei giorni, raccontandomi con dovizia di particolari le emozioni, le paure, i sogni, i rischi e le angosce di quei giovani partigiani che, unico caso nell’Italia del nord ovest, liberarono  una grande città, consegnandola poi agli alleati quasi totalmente pacificata. Una città che aveva ripreso la sua ordinaria attività e che soprattutto poteva contare su fabbriche praticamente intatte, salvate dalle rappresaglie tedesche, dai bombardamenti alleati e pronte quindi a riprendere praticamente subito la produzione. In questa puntata, dedicata agli scioperi a Torino alla vigilia della liberazione, utilizzerò proprio come “traghettatore”, l’eccezionale testimonianza di Raimondo Luraghi, comandante, come detto, di uno dei battaglioni della Brigata Garibaldi guidata da Pompeo Colaianni.

“Una delle principali priorità – mi raccontava Luraghi – nel predisporre il piano per la liberazione di Torino, era costituito dall’obiettivo di salvaguardare il patrimonio industriale della città, di salvare le fabbriche dalle rappresaglie tedesche. In più, dovevamo evitare l’attuazione politica da parte del comando tedesco di spogliazione di tutte le risorse agricole e industriali del territorio. Furono i comunisti e i socialisti, quelli che avevano un contatto diretto con le grandi masse popolari contadine ed operaie che coniarono questa parola d’ordine: “Lotta contro la fame e il terrore”.

In questo quadro strategico doveva dunque svolgersi, la grande battaglia operaia di primavera, realizzarsi il nuovo grande sciopero che avrebbe dovuto innescare l’insurrezione decisiva. Lo sciopero doveva quindi assumere un carattere nuovo, pre-insurrezionale. Avrebbero dovuto partecipare tutti gli strati della popolazione, in proporzioni mai viste prima. La classe operaia sarebbe stata l’avanguardia del movimento, in prima fila nello sciopero “Quello sciopero doveva essere apertamente centrato su parole d’ordine squisitamente politiche – mi sottolineava il professore – doveva assumere il carattere di un vero e proprio ultimatum potente e solenne contro l’invasore tedesco ma specialmente contro quell’infima minoranza di italiani che non aveva sentito vergogna di schierarsi al suo servizio”.

Il CLN di Torino, il 4 aprile, decideva che la situazione era  matura per scatenare lo sciopero: veniva distribuito un manifesto clandestino che invitava tutti i lavoratori a prepararsi a quell’evento imminente. Il 10 aprile veniva diramato un volantino con il titolo “Sciopero generale contro la fame ed il terrore” che, nel forte richiamo alla cittadinanza di partecipare a quella manifestazione fondamentale per la liberazione della città, diceva tra l’altro: “Torinesi! Aderite in massa allo sciopero generale che il Comitato Provinciale d’Agitazione sta preparando contro la fame e il terrore nazifascista! Sia pertanto interrotto il lavoro nelle officine, negli uffici, nei tribunali, nelle scuole; siano chiusi i negozi; sia sospesa la circonvallazione tranviaria e ogni altra attività cittadina. Dimostrate all’oppressore la forza e la compattezza del popolo torinese… La grande ora si avvicina, l’ora tanto desiderata. Dimostri la nostra gloriosa città di sapere oggi, come lo fu negli anni epici del Risorgimento e come lo è stata in questi ultimi mesi, di essere alla testa del Movimento Nazionale di Liberazione”.

L’organizzazione fu meticolosa e lo sciopero fu preparato nei minimi dettagli. Decine di migliaia di volantini clandestini furono distribuiti in tutta la città. All’alba del 18 aprile 1945, il giorno fatidico, Torino intera appariva paralizzata “Dal più imponente sciopero che mai paese sottoposto al duro tallone tedesco, avesse conosciuto” – aveva scritto Luraghi in un ricordo di quella giornata particolare. Si fermarono le fabbriche, i servizi pubblici di trasporto; fu sospesa la pubblicazione dei giornali e la stragrande maggioranza dei negozi non alzò le saracinesche. Persino moltissimi magistrati scioperarono, sospendendo le udienze così come i professori sospesero le lezioni nelle scuole.

Luraghi mi fece vedere un volantino che conservava nel suo archivio privato e che era stato diffuso proprio in quelle ore a Torino “Fascisti – si poteva leggere, tra l’altro, nel foglio – non sparate contro i lavoratori che hanno fame! Ricordatevi che siete perduti! Non eseguite gli ordini dei criminali che vogliono portarvi alla morte! Non aggravate la situazione. Siamo all’ultimo secondo. ARRENDETEVI se volete salva la vita. ARRENDERSI o PERIRE!”

La sera di quel 18 aprile, sostanzialmente pacifico nonostante l’eccezionalità dell’astensione al lavoro della gran parte dei torinesi, ci fu però un episodio di violenza e Luraghi me lo raccontò commuovendosi: “Un manipolo di fascisti strapparono dalle loro famiglie gli operai Antonio Banfo e Salvatore Melis che si erano battuti in prima fila nello sciopero: i loro cadaveri straziati vennero trovati all’alba del giorno dopo in un angolo di una strada”. Il professore mi sottolineò che il nome di quei due operai sarebbe andato ad aggiungersi per sempre a quelli di Giuseppe Perotti, Eusebio Giambone, Paolo Braccini, Renato Martorelli, Tancredi Galimberti “e a quelli di mille e mille altri al Martirologio della Resistenza”.

Riccardo Rossotto

Riccardo Rossotto

"Per chi non mi conoscesse, sono un "animale italiano", avvocato, ex giornalista, appassionato di storia e soprattutto curioso del mondo". Riccardo Rossotto è il presidente dell'Editrice L'Incontro srl

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