“Meglio mai che tardi” diceva Tullio Regge al Papa quando chiese scusa per le persecuzioni cattoliche agli scienziati. Stessa cosa vale per quello che l’UE sta provando a fare, rectius per ciò che dice di voler provare a fare. Lo dice solo, perché ad esempio la mossa di Draghi di drenare un po’ di liquidità e di costringere le banche a distribuirla mica è piaciuta al nudo impero. Il nostro ministro economico, uno degli storici fautori del fiscal compact, dice che chiederà flessibilità per il green deal. Ma cos’è? Quali documenti ha prodotto il nuovo governo? Quali investimenti comporterà? Quali possibili benefici?
La ricetta è green deal perché dire che bisogna investire in lavoro, infrastrutture, ricerca e tecnologia è una bestemmia nel regno delle angurie, verdi fuori e rosse dentro. Sono tutte parole che si spengono sulle labbra del (presunto) politicamente corretto decrescista e affamatore.
Essi non funzionano “più” perché la Germania, l’imperatore nudo, è in recessione e la sua produzione manifatturiera in forte calo. Spiega Smith che una cosa analoga, anche se di minor portata, avviene anche in Inghilterra, ma ha cause diverse. UK risente di fattori esogeni e segnatamente la guerra commerciale di Trump verso la Cina; la Germania soffre invece della sua stessa politica economica (“del suo stesso successo”) imposta all’Europa. L’analista ricorda anche le bugie dello scandalo emissioni.
Diverse le cause, diverse le conseguenze, prosegue l’esperto, perché il peso della manifattura sul PIL dei due paesi non è lo stesso: per i tedeschi incide molto di più. Non a caso oltremanica l’occupazione cresce ed è ai massimi storici e nell’area Euro scende. Morale: quando Trump toglie i dazi, gli uni torneranno a correre, gli altri no perché la crisi è strutturale ed autoprodotta.
Decisioni prese da due per tutti (e troppi), nessun potere vero a livello internazionale, lentezza delle procedure, paura atavica dell’inflazione e tabù della crescita (perché fa troppo Briatore), hanno trasformato il carrozzone Europa ed i suoi componenti in un gigante inadeguato alle sfide economiche e geopolitiche. Ci vorrebbe Tomas Mann per descriverlo, elevando “I Buddenbrooks”, una grande famiglia erosa da generazioni progressivamente insipienti, a manuale di storia politica e sociale dell’Europa.
Il mondo asiatico, quello che cresce di più ed è più dinamico, non considera più un interlocutore l’impero spoglio dei bureaucrats ed allo stesso modo non è più interessato a rapporti stretti il mondo anglosassone, per ora ancora egemone economicamente e militarmente. Basti pensare, notizia di due giorni fa, che la Borsa di Hong Kong, una delle principali al mondo, ha proposto a quella londinese una fusione. Investirebbe 36 miliardi di Euro. Perché non Francoforte o Parigi? Perché non servono. Ah, metanotizia: la borsa inglese controlla quella italiana. Come diceva Guzzanti in uno splendido ed antico spezzone: “Boris (in allora era Silvio)!!! Ricordati degli amici!!!”.
Si respira aria di mercato e di mondo là. Qua di lavorare e guadagnare neanche se ne parla. Perché i nostri rappresentanti attuali non hanno neanche il coraggio di dire certe parole, sono tutti nascosti dietro le treccine di Greta. E la crisi di linguaggio e di coraggio ci divora.
A proposito, un popolo si sferza così nei momenti difficili:
“tornate ad essere gli eroi dell’Europa un’altra volta, per liberare il paese e salvare l’Europa da se stessa”. Un’Europa, dice Bo Jo al Telegraph, che ha fallito, che ha alimentato le tensioni tra gli stati membri, che ha permesso alla Germania di avere l’egemonia, che ha invaso l’Italia e distrutto la Grecia.
“Napoleone, Hitler ed altri hanno già provato a fare questo e finì tragicamente. L’EU sta tentando di farlo con altri metodi”.
Chi ama l’Europa sia l’eroe dell’Europa.
#eroideuropa
Fabio Ghiberti
Questo articolo è stato originariamente pubblicato da La Marianna