Alla ristrutturazione produttiva e del lavoro, si intrecciavano, nella strategia di Schimberni, cinque progetti di nuova dimensione imprenditoriale:
il primo era la riorganizzazione della chimica italiana, col passaggio della chimica di base all’Eni e della chimica fine (+ il polipropilene) alla Montedison, con un formidabile recupero della capacità di investimento di quest’ultima.
Il secondo era l’internazionalizzazione del gruppo, con la quotazione a New York delle più promettenti partecipate chimiche (Erbamont, Himont e Ausimont) contenenti tutti i brevetti e le eccellenze di ricerca e sviluppo.
Il terzo era la creazione, intorno alla Standa a Datamont e a iniziativa Edilizia, acquisita con la scalata al gruppo Bonomi, di una subholding contenente anche Fondiaria, con una capitalizzazione nel terziario confrontabile a quella nella chimica, e una capacità di attrazione di capitali che avrebbe definitivamente rafforzato l‘equity di gruppo.
Il quarto era la creazione di una squadra di management di cultura internazionale, di ispirazione solidale, di capacità imprenditoriale: questo era stato, dopo la fase delle relazioni industriali, il mio secondo progetto “Montedison”, come responsabile di “uomini e posizioni chiave di Gruppo”. Ancora oggi mi emoziono nel vedere i successi di Roberto Rettani, di Claudio Costamagna, di Piero Ceschia, di Maurizio Costa, di Giorgio Basile, di Catia Bastioli…. di tanti che crebbero di forza propria e unità di intenti e di cultura nella formidabile scuola quadri che fu la Montedison di quegli anni. Complementare a questa squadra era il progetto Cultura, animato e reso protagonista da Carlo Bruno, con Dulbecco ed Helmut Schmidt, con Michael Porter e l’orchestra Verdi, unica iniziativa, a 20 anni di distanza, del grande movimento di Comunità di Adriano Olivetti.
Il quinto progetto era la sintesi politica e imprenditoriale della visione di Schimberni, e di tutti noi: la “management controlled corporation”, divenuta, nella storia manageriale di questo Paese, la “Public Company”. Dopo essersi liberato, con la privatizzazione del 1982, dell’azionista pubblico Eni, e, nel 1985/6 delle grandi famiglie (Agnelli Pirelli Orlando e Bonomi) presenti nell’azionariato Montedison attraverso Gemina, Schimberni tentò, nell’autunno del 1987, il grande passo: una impresa ad azionariato diffuso, controllata dal management al servizio degli interessi concreti del popolo azionista, e non delle manovre di controllo senza capitali che avvelenavano l’azienda privata (come la politica faceva con la pubblica).
Contro Schimberni, abbandonando un’alleanza fino ad allora solida, si erse il suo antico maestro: Enrico Cuccia, che, come lui, disistimava il capitalismo delle grandi famiglie, ma riteneva che il Paese fosse governabile solo muovendole come pedine, non sfidandole sul mercato dei prodotti, delle idee, del capitale.
Cuccia inventò (per poi distruggerlo) un cavaliere bianco coraggioso, ma ignorante del disegno strategico che, pentendosene poi, contribuì a distruggere. Raoul Gardini licenziò Schimberni, il 4 dicembre del 1987, mettendo fine a uno straordinario disegno di strategia, di internazionalizzazione, di futuro industriale per il nostro Paese.
(2 – continua)
Cesare Vaciago
Leggi la prima puntata de Gli Anni 80 e Mario Schimberni: La Ristrutturazione