Questo articolo nasce da una discussione che ha già visto due interventi di Riccardo Rossotto (qui e qui), idealmente inseriti nella discussione aperta da Andrea Rapaccini con la sua intervista.
La domanda di giustizia sociale è una esigenza che non nasce oggi, è un’esigenza antica che discende dal principio di uguaglianza che l’umanità ha continuamente cercato ma mai realizzato, perché questo principio confligge con il principio di libertà.
Sin dalle origini, il principio di libertà fu il drive del cammino dell’homo sapiens. La libertà del più forte, del più capace, del più svelto, del più abile in generale, che permise di prevalere sui meno abili. E’ il principio di libertà che ha costruito le disuguaglianze che oggi vorremmo ridurre o eliminare. La libertà unita all’abilità, positiva o negativa poco importa, ha creato le differenze che sono diventate incolmabili. Fu il principio di libertà coniugata con l’abilità che divise gli uomini e le donne migliaia di anni fa, in cacciatori e raccoglitori e conseguentemente il loro posizionamento nella società di quei tempi posto che anche le donne cacciavano. E poi nel tempo si divisero in guerrieri e non guerrieri, in agricoltori e nomadi, in cavalieri e popolino, in nobili e sudditi, in detentori del potere assoluto e plebe senza diritti. Tutto in nome della libertà del più forte o del più abile che prendeva ciò che era possibile prendere incurante se toglieva agli altri.
In questo procedere dell’umanità gli spazi per il principio di uguaglianza sono stati residuali perché ciò che era stato conquistato, accumulato, costruito doveva essere difeso, protetto, per trasformarlo in successione ereditaria, mantenendo , in questo modo, le disuguaglianze pregresse e attribuendo a un evento su cui nessuno ha potere, un valore discriminante: la nascita. I diritti che si acquisiscono alla nascita e non parlo solo dei diritti economico-finanziari, ma anche dei diritti derivanti dalle relazioni presenti e passate stabiliscono una disuguaglianza incolmabile senza merito per i fortunati e senza demerito per i disgraziati. Si ha un bel parlare di pari opportunità, non solo di genere. Si tratta solo di un auspicio, di una preghiera, ma il miracolo non si compie perché lo svantaggio è secolare e continua a crescere.
Siamo in grado di darci una diversa organizzazione, azzerando il passato? Non credo, perché nessuno lo vuole. Ciò che abbiamo conquistato, non ha importanza come, non intendiamo cederlo, né tanto né poco, perché vogliamo trasmetterlo a chi verrà dopo di noi oltre che godercelo nel presente.
Nel divenire dei secoli, molti tentativi e provvedimenti sono stati presi per ridurre le disuguaglianze e ottenere una maggiore giustizia sociale. Tutti gli sforzi fatti in questa direzione hanno prodotto risultati insoddisfacenti. Se si continua a invocare una giustizia sociale che non arriva ci deve essere un motivo.
La libertà che rimane il drive fondamentale dell’uomo ha scaricato tutta la sua potenza, ad un tempo creativa e distruttiva, nel Mercato con le sue leggi.
Mercato e leggi che non sono in grado di dare risposte alle domande di giustizia sociale perché ad ogni ciclo economico i problemi si ripresentano e si acuiscono.
E’ dai tempi della prima rivoluzione industriale che l’uomo inventa macchine capaci di sostituirlo nel lavoro e nel contempo comincia a patire la fame provocata dalla perdita del lavoro che quelle macchine fanno. E’ un meccanismo che arricchisce pochi e impoverisce molti.
Conosco la tesi che afferma: il Mercato fa crescere il denominatore economico con i relativi benefici distributivi che migliorano le condizioni di vita in generale.
Ho due obiezioni a questa tesi:
- la crescita del Mercato non è costante, è ciclica e da diverso tempo i cicli di crescita sono sempre più corti, seguiti da lunghi periodi di crisi;
- la distribuzione della crescita è sproporzionata in maniera scandalosa a favore dei già ricchi e super ricchi.
Il Mercato non può dare risposte positive alle esigenze di giustizia sociale, i suoi meccanismi contrastano con quelle esigenze:
- il Mercato incoraggia la competizione, addirittura prospera con essa;
- la competizione massimizza l’efficienza;
- l’efficienza massimizza la produzione;
- l’efficienza produttiva riduce i costi;
- il controllo dei costi si avvale anche dell’istituto dell’assunzione e del licenziamento.
Può il Mercato con questi criteri occuparsi di giustizia sociale? Non può.
E’ richiesto l’intervento dello Stato. Ma se lo Stato è guidato da una finta democrazia oligarchica, perché i partiti sono comitati d’affari che fintamente dicono di esprimere la volontà popolare mentre cercano di catturare qualche brandello di potere, chi si occuperà della giustizia sociale?
Se lo Stato legifera abolendo i diritti sociali (welfare, statuto dei lavoratori, art 18 ecc. invece di attualizzarli ) per ottenere merci a basso costo riducendo i redditi della classe media e degli operai; se deve essere un tribunale ad affermare che i Rider hanno diritto a un contratto che la multinazionale nega mentre lo Stato si gira dall’altra parte, se dobbiamo attendere le denunce di Aboubakar per prendere coscienza dello sfruttamento duro che esrcitano i contadini, sui diseredati provenienti dal mondo, dimenticando che nei secoli scorsi gli sfruttati erano loro. Ma gli eredi di quei contadini sfruttati, oggi agiati, non hanno memoria delle sofferenze dei loro antenati e quindi sfruttano più dei padroni di allora. Tutto questo avviene non solo e non tanto perché non ci si raduna più intorno al fuoco ad ascoltare i racconti dei vecchi che sono stati obliterati e decimati dalla pandemia. Questo avviene perché il principio di libertà è dilagato in ogni dove e non si riesce a contenerlo in forme umanamente accettabili. Non è in discussione la libertà ma l’uso che se ne fa perché sembra di vivere in un paese privo di regole, con un sistema fiscale che non combatte l’evasione e questo fenomeno negativo è accettato come se fosse un evento naturale: la pioggia, il vento ecc.
Ci chiediamo come mai i migliori se ne vanno, in particolare i giovani.La risposta è perché ai più l’Italia sembra essere un paese con un futuro incerto e molto nebuloso. Nel presente siamo tutti o quasi tutti legati alle sorti del governo Draghi. Questo governo ha meno di un anno di tempo per fare tutto o molto di quello che serve per cercare di rimettere in carreggiata il Paese. A febbraio del 2022 i partiti ritorneranno in gioco e ripartirà la giostra solita.
Ogni tanto ci chiamano a votare, ma è inutile, anche se insisto a votare per partiti che dicono di essere progressisti.
Le lobby economico-finanziarie hanno poteri sovranazionali ben più forti dei poteri nazionali, hanno logiche che non contemplano la giustizia sociale.
La vicenda dei vaccini è molto istruttiva al riguardo e si commenta da sola.
Certo la volontà di battersi per una giustizia sociale che è in ritardo di secoli, di denunciare ingiustizie, chiedere interventi dello Stato per alleviare le
sofferenze dei più deboli, non si esaurisce. Si spera sempre che qualcosa accada, che prima o poi ci tocchi in sorte un governo illuminato.
Ma da quanto tempo si affermano gli stessi principi? Da quanto si lotta per una giustizia sociale che non arriva?
Ho l ‘impressione che su questi argomenti siamo vicini alla perfetta definizione di follia:
ripetere la stessa azione e aspettarsi un risultato diverso.
Purtroppo nessuno può convincere l’uomo a esercitare la sua libertà autolimitandosi con la fraternità non dico l’uguaglianza.
Questo non si può ottenere per legge.
Fidelio Perchinelli