L’epidemia che si è diffusa in Italia in modo repentino e drammatico (anche se annunciato, e non solo dalle notizie che arrivavano dalla Cina) ha necessitato l’assunzione di provvedimenti restrittivi che chi è nato nel periodo postbellico non immaginava potessero trovare spazio in paesi democratici.
Ci siamo ritrovati, dall’oggi al domani, a non poter più godere appieno di libertà ritenute parte del DNA di ogni persona, come la libertà di muoversi, di uscire di casa, di lavorare, di viaggiare e di frequentare amici e parenti.
L’urgenza di salvaguardare, prima di tutto, il diritto alla salute di tutti noi ha orientato i contenuti degli innumerevoli provvedimenti cosiddetti emergenziali che si sono susseguiti, in tutte le sedi, dal 9 marzo in avanti.
Le terribili notizie diffuse dai media sull’andamento dei contagi e dei decessi e sulle conseguenti enormi difficoltà del sistema sanitario hanno indirizzato i pensieri di ciascuno, non già sui possibili se e ma delle restrizioni imposte, quanto, piuttosto, su speculazioni più filosofiche, religiose, etiche o anche soltanto intime.
Nei primi giorni di quarantena, sopraffatti dal dolore e dalla paura, nessuno ha messo in dubbio, apertamente, la modalità normativa adottata nei vari ambiti di pertinenza né la sua costituzionalità.
Nei primi giorni di “nessuno si muova” tutti si sono concentrati sui modi per sopravvivere, letteralmente, al virus e alla sofferenza, rinviando, istintivamente, ad un momento successivo ogni riflessione sulle conseguenze sociali ed economiche che l’attuazione di tali modi avrebbe portato con sé.
La Giustizia si è fermata, salvo materie di particolari delicatezza e urgenza, il 9 marzo scorso.
I Palazzi di Giustizia erano decimati dal contagio e la logistica e i riti processuali non consentivano di evitare gli assembramenti né di attuare il coseiddetto distaccamento sociale.
Dunque, salvo rarissime eccezioni, tutto il mondo del Diritto (giudiziale) si è fermato.
Mai prima d’ora era accaduto, nemmeno in tempo di guerra.
Superato, tuttavia, il disorientamento iniziale, la volontà di non abdicare al ruolo di concreti difensori dei diritti, lasciando i cittadini (Avvocati compresi) imbelli dinnanzi a soprusi e violazioni, l’Avvocatura ha cominciato a chiedere a gran voce di poter riaprire i Palazzi, ovviamente con le dovute cautele e nel rispetto delle norme a protezione della salute (di tutti).
Le difficoltà che si frappongono al riavvio – graduale – delle attività giudiziali sono tante e variegate, come tante e variegate sono le realtà territoriali della Giustizia.
Se, però, all’inizio di questo tempo sospeso tutti immaginavano, alla fine del tunnel, un cambiamento importante delle abitudini e delle modalità del vivere personale e professionale, con lo scorrere dei giorni la sensazione è che ciascuno si stia riappropriando dei vecchi schemi mentali, mostrando molta reticenza verso il cambiamento.
La Giustizia è un caposaldo della democrazia e non è necessario indicare, nel dettaglio, quali rischi si annidino nella sua assenza per intuire che l’attività giudiziale deve tornare alla normalità.
Con gradualità, con l’adozione (temporanea) di cautele e modalità che consentano di salvaguardare la salute di tutti i comprimari del processo, ma deve tornare alla normalità.
E se per avviarsi alla normalità “del prima” è necessario, in questo prossimo e provvisorio futuro, adottare modalità nuove, non previste dal codice di rito, ma, nondimeno, rigorosamente rispettose dei cardini irrinunciabili del diritto, sarebbe ragionevole che tutti le accogliessero con curiosità e disponibilità.
Non è sempre detto che il nuovo non possa coniugarsi con la tradizione e che, soprattutto, nelle situazioni di emergenza non si scoprano modi più efficienti in termini di costi e di velocità.
Non è detto affatto che dal Caos generato da uno sconvolgente dramma sanitario non possano nascere prassi temporanee utili a leggere, con maggiore chiarezza, soluzioni migliorative delle prassi e delle regole ordinarie.
Bisogna, ovviamente, che ci siano menti aperte, buona volontà, buon senso, buona fede ed equilibrio.
Il nuovo deve essere rispettoso dei diritti costituzionali di tutti, dei diritti sostanziali e processuali di ognuno, dei ruoli di ciascuno e del disposto dell’art. 111 della Costituzione.
Certo, c’è, innegabilmente, il pericolo che “novità” emergenziali, non propriamente rispettose di norme e diritti, possano essere usate (o, meglio, abusate) come un cavallo di Troia per introdurre, proditoriamente, regole stabili, illegittime per contenuto o fonti.
Ma è proprio qui che debbono sorreggere collaborazione, buonsenso, buona fede, buona volontà ed equilibrio.
Come sempre, come prima, ma, in particolar modo, come è necessario oggi.
Quel rinascimento sociale, culturale ed etico di cui – come detto più sopra – si è tanto parlato nei giorni passati, se ci sarà davvero, creerà il terreno buono per una Giustizia ancora migliore di quella di prima.
Purché molto presto i Palazzi di Giustizia riprendano ad essere attivi non solo per le urgenze.
Alessandra Spagnol