Anche su questa testata è stato più volte, di recente, posto l’accento sulle gravi conseguenze che la digitalizzazione, forzata dal Covid-19 e dalla impossibilità di contatti fisici tra le persone, in un primo tempo, ed ora, con severe limitazioni di frequentazione di uffici, locali pubblici, scuole, ecc., possa avere sulla nostra vita.
Il dibattito si è sovente infiammato sulle conseguenze negative che tale situazione ha determinato: dalla estrema difficoltà di proporre una valida didattica a distanza, aggravata mano a mano dall’età decrescente degli allievi, per quanto concerne la scuola; dal conseguente minor afflusso di studenti nelle città a vocazione universitaria, con impoverimento delle stesse, sotto il profilo delle minori entrate per le case in locazione, per i consumi, i trasporti; dal pressoché totale mancato utilizzo di grandi complessi immobiliari, che erano stati progettati per poter ospitare migliaia di lavoratori e che ora sono “gusci vuoti” e, comunque, con notevoli costi di gestione e manutenzione. Gli esempi potrebbero essere molti e toccare praticamente tutti i settori di attività.
Alcuni interessanti stimoli al dibattito sono stati offerti, alcuni giorni fa, da Francesco Starace, amministratore delegato dell’Enel, il quale, in una intervista concessa ad un quotidiano in merito alle difficoltà che il nostro paese ha sempre avuto, dall’Unità d’Italia in poi, di sburocratizzare la Pubblica Amministrazione, snellendo i processi decisionali, a volte veramente imbarazzanti per un paese civile, ha osservato come lo stesso utilizzo di strumenti informatici sia di per sé un elemento di forte semplificazione: “E’ attraverso l’utilizzo di tali strumenti che la “crosta” della burocrazia si rompe da sola. Il solo fatto che in questo periodo ci fossero dei limiti fisici a quello che si poteva fare ha portato a nuovi modi di lavorare, a nuove piattaforme. Non vi è più in sostanza la necessità di depositare negli uffici il classico “pezzo di carta”, ma si può mandare una foto con il telefonino, inviare un file, o creare una piattaforma informatica dove chi ha bisogno può trovare i documenti che gli servono”.
Certo che un conto sono i rapporti interni tra colleghi e/o le semplici comunicazioni; un altro atti, delibere, provvedimenti che vanno ad incidere sulla salute o sui diritti dei cittadini e che devono essere maneggiati con la massima cautela. Per rimanere nell’ambito del settore giustizia, è del tutto evidente che molte attività potranno ben essere attuate senza la “fisicità” del contatto, come avveniva in passato, con il giudice, con il cancelliere o, al limite, con l’archivio, con rilevante incidenza di risparmio sui tempi e sui costi. Addirittura molte udienze, che una volta si dovevano obbligatoriamente tenere nell’aula del giudice (più che altro per il rispetto della forma) e/o che comportavano costi non coerenti con il beneficio, ben potranno d’ora in poi essere attuate con modalità telematiche: basti pensare all’udienza per il giuramento del Consulente tecnico d’ufficio. Certo che le udienze di vero confronto con il giudice e la controparte (ad esempio nel caso di testimonianze, affidamento di figli minori) o, in sede penale, nel dibattimento, mal si conciliano con una gestione informatica e dovranno giocoforza essere attivate con i metodi tradizionali.
Ciò che è controproducente è un atteggiamento di aprioristico rifiuto dell’innovazione, essendo necessario piuttosto “cavalcare” la situazione che farsi travolgere.
Un’ultima considerazione: se parecchie attività, che in precedenza erano svolte in modo tradizionale, ora verranno attuate in via telematica, ciò non consentirà di per sé ai giudici ed agli avvocati di concentrare le loro forze e l’attenzione che meritano sui casi più gravi, con un vantaggio per l’intero sistema giustizia?
Alessandro Re