«Sa, in una democrazia è importante stabilire le regole del gioco. Invece a me sembra che da un po’, anche con il decreto intercettazioni, si indulga troppo nel gioco delle regole». Non è un calembour, no, se si pensa che persino il presidente Giovanni Maria Flick, nello sfogliare i prospetti comparativi delle nuove, vecchie e vecchissime norme sulle intercettazioni, è sconcertato dall’«incredibile, sconcertante intreccio di modifiche, tale da prefigurare un chiarissimo rischio di conflitti interpretativi. E guardi», dice il presidente emerito della Corte costituzionale, fin dal principio di un’ampia e per certi versi appassionata riflessione sul decreto legge e su alcuni principi fondamentali della nostra Costituzione, «che le difficoltà non saranno solo dei miei bravissimi colleghi ricercatori, destinati a misurarsi con questo groviglio nelle loro attività universitarie, ma innanzitutto dei magistrati e degli avvocati che quel groviglio dovranno applicare».
Ma un po’ l’azzardo del legislatore colto da Flick è il riflesso, il correlativo oggettivo, per così dire, della tendenza a scherzare col fuoco dei diritti, «una tendenza giustizialista che è tra le ragioni, se non la ragione ultima del Movimento 5 Stelle, ma temo sia anche radicata, seppur in modo meno profondo, nel Partito democratico, che non è mai riuscito a liberarsi davvero di quella matrice». Non che gli interessi soffermarsi su valutazioni del genere, ma è a una simile rischiosa iperbole giustizialista che il presidente Flick riconduce «il grave tradimento della libertà di comunicazione sancita dalla nostra Carta non solo nella sua declinazione pubblica, e politica, all’articolo 21, ma anche al troppo poco evocato articolo 15, quale libertà del singolo di comunicare con chi vuole nella garanzia della segretezza, che può essere limitata solo in virtù di previsioni di legge. Tassative previsioni. Non approssimative, indefinite e confuse quali sembrano anche le norme contenute nel decreto sulle intercettazioni appena convertito in legge dal Parlamento».
Insomma, quest’ultimo provvedimento è un colpo pesante ai diritti?
Aspetti un momento. Il colpo davvero decisivo, e pesante, non è tanto nel decreto appena convertito in legge. È nella cosiddetta legge spazza corrotti. È lì che si decide di introdurre un uso delle intercettazioni, in particolare di quelle acquisite con i trojan, anche per i reti di corruzione. Si è trattato dell’intervento normativo che forse più di tutti ha realizzato la pretesa assimilabilità fra mafia e reati contro la pubblica amministrazione. Una correlazione sbagliata, perché la mafia si basa sulla violenza, la corruzione su un accordo illecito. Sbagliata proprio in radice. Se vogliamo, il difetto più grave dell’ultimo provvedimento è nel metodo prima ancora che nel contenuto.
Si riferisce alla sovrapposizione fra le norme appena convertite in legge e il decreto Orlando?
Mi riferisco al fatto che la riforma Orlando, contenuta, attenzione, in un decreto legislativo e non in un provvedimento d’urgenza, era stata rinviata nella sua entrata in vigore assai numerose volte. Ora, mi saprebbe dire dove sarebbe la “straordinaria urgenza”, dichiarata nel testo dell’ultimo decreto, di intervenire su una materia rimasta congelata per due anni? Me lo dice dov’è l’urgenza?
E poi c’è la contorsione tecnico normativa, così esiziale da condurre alla nevrosi il malcapitato costretto a leggere il testo.
E sì, ma come le ho detto tra i malcapitati ci saranno magistrati e avvocati che dovranno applicarlo. Si figuri quanti conflitti d’interpretazione ne potranno nascere.
È di queste ore una polemica sul rapporto della Commissione europea in materia di giustizia, che approva la riforma della prescrizione e ha perciò suscitato l’esultanza dei deputati cinque stelle: perché allora non ci si ricorda pure che in Europa siamo quelli che usano di più le intercettazioni?
Non lo deve chiedere a me, almeno su questo non credo di poter rispondere. Credo solo di poter ricordare che sul consistente, forse eccessivo ricorso alle intercettazioni sono venuti richiami in numerose inaugurazioni dell’anno giudiziario, così come ne sono venute sull’eccessivo ricorso alla custodia cautelare: le sembra che la cosa abbia avuto conseguenze? Il problema del ricorso eccessivo, a mio giudizio, ha rilievo però soprattutto rispetto al rischio della pesca a strascico.
Che viene innalzato, dall’ultimo decreto?
Credo si debba rispondere a partire da un percorso giurisprudenziale. Si è discusso per molto tempo, lo si fa da diversi anni, sul legittimo uso di intercettazioni autorizzate per un determinato procedimento anche per l’accertamento di reati diversi. Da molto tempo è stato acquisito in modo pacifico il ricorso per reati diversi che comportino l’arresto in flagranza. In quel caso si tratta di esigenze di politica criminale e non c’è contestazione. Poi però il conflitto ha coinvolto chi ritiene insuperabile il limite della connessione fra i reati e chi invece lo ritiene superabile. Nell’ultimo caso si pone un problema enorme, perché l’uso per reati non collegati lascia sguarnita la necessità di una autorizzazione. Si pretende di far riferimento alla categoria dell’indispensabile. Ma come si fa a valutare se l’acquisizione delle captazioni in un procedimento diverso sia davvero indispensabile per la prosecuzione di quest’ultimo? Salta del tutto il principio per cui il pm domanda al giudice il via libera sulla base di quella irrinunciabilità per l’indagine.
Chiarissimo. Ma allora perché con l’ultimo decreto si è esteso così allegramente l’uso per reati diversi?
Va segnalato un aspetto forse decisivo, senz’altro illuminante sul modo in cui si ritiene di poter legiferare. Poco prima che l’ex presidente del Senato Pietro Grasso proponesse l’emendamento estensivo sull’uso delle intercettazioni per reati diversi da quelli per i quali sono autorizzate, era stata depositata una sentenza di straordinario rilievo della Cassazione, la sentenza Cavallo, che definiva una volta per tutte quel conflitto giurisprudenziale. La pronuncia ha stabilito che i reati diversi devono essere comunque collegati a quello per cui le intercettazioni sono state autorizzate. Vale a dire, ritiene insuperabile il limite che si riferisce all’articolo 12 del codice di procedura penale, dov’è definita la nozione di reato connesso. Deve trattarsi di un illecito compiuto per nascondere il precedente, di un reato attribuito a una persona che ha agito in concorso con l’autore del reato precedente oppure di un reato riconducibile al medesimo disegno criminoso. Da qui non si scappa. Non si dovrebbe, almeno. Perché tale logica regge, seppur forse con uno sforzo di buona volontà, in quanto la prima autorizzazione può essere considerata implicitamente riferibile anche agli altri reati.
Benissimo, chiaro, solare: e allora com’è che il legislatore se n’è infischiato?
È grave che se ne sia infischiato. La sentenza in questione è stata pronunciata dalla Suprema corte a sezioni unite. E appunto, tali pronunce hanno valore nomofilattico, vale a dire che è opportuno pensarci bene prima di discostarsene. I giudici difficilmente se ne sarebbero discostati.
Il legislatore lo ha fatto.
E qui rispondo alla sua domanda iniziale: la sola possibile logica di una simile scelta normativa si spiega nella volontà di venire incontro alle spinte dei pm affinché fosse di fatto consentita la pesca a strascico dei reati tramite intercettazioni. Della serie: noi caliamo la rete, poi vediamo cosa ci resta impigliato. Vorrei ricordare che l’estensione all’uso delle captazioni per l’accertamento di reati diversi, e non collegati, riguarda specificamente le intercettazioni ambientali effettuate con i trojan, anche per i reati di corruzione. Oltre a quelle fatte con altri strumenti se relative a reati gravi di cui all’articolo 266 primo comma.
La nuova norma dice che l’uso delle intercettazioni fatte coi trojan è consentito anche per reati diversi, compresi quelli di corruzione, se però si tratta di materiale indispensabile per accertare quegli illeciti.
Ecco, e allora noi veniamo al nodo chiave. La categoria dell’indispensabile rischia di non soddisfare l’esigenza di tassatività della previsione di legge, che invece è richiesta dall’articolo 15 della Costituzione, quando consente solo nelle forme garantite dalla legge di violare la libertà di comunicazione privata. Vede, qui parliamo di un bene primario parallelo alla libertà di manifestazione del pensiero sancita all’articolo 21, dov’è la base della democrazia. All’articolo 15 è consacrato il diritto alla diversità e all’identità della persona, che deve poter comunicare privatamente con chi vuole, in condizioni di segretezza. Adesso le dirò una cosa che potrà sembrare sconvolgente.
Cosa?
Ha presente la sentenza Cavallo che ho citato prima, che definisce il limite dei reati connessi? In quella sentenza le sezioni unite fanno ampio riferimento all’articolo 15. A un principio a cui si può, sì, contrapporre un altro interesse, quello della collettività all’accertamento delle condotte illecite, ma solo in modo proporzionato. Vuol dire che a un giudice deve essere assicurato lo strumento di legge in grado di verificare che, nel singolo caso, davvero ci sia un interesse superiore a quello dell’inviolabilità delle comunicazioni private, e cioè alla identità e diversità della singola persona. E come fa un giudice a bilanciare quegli interessi se non può autorizzare l’uso di un’intercettazione per reati diversi da quelli per i quali l’aveva inizialmente autorizzata?
Il presidente del Cnf Mascherin ha denunciato il rischio che la tecnologia dei trojan sfugga di mano.
E non dovremmo lasciarcela sfuggire. La tecnologia è madre, perché spalanca nuovi diritti, ma può essere anche matrigna, perché ne può soffocare altri ancora. Vede, è sorprendente davvero che si parli tanto della reputazione, delle intercettazioni diffamanti da non sbattere in prima pagina, del dovere di informazione a tutti i costi da parte dei media, del diritto di conoscere i dettagli privati della vita della persona pubblica, e così poco della libertà di comunicare il proprio pensiero nella segretezza di una relazione privata. È strano perché, se è vero che tale diritto attiene al libero manifestarsi di una identità e di una diversità della persona, ci si dovrebbe forse ricordare che proprio di fronte a una tecnologia così pervasiva, proprio in una società in cui la comunicazione e l’informazione sono tutto, dovremmo essere ancora più preoccupati dal rischio che una conoscibilità così assoluta comprometta l’identità della persona, la travolga. Ecco, in questo senso davvero l’uso di uno strumento come i trojan, se consentito in modo indiscriminato come avviene con l’ultimo decreto, può sfuggire di mano.
Ma in ogni caso, lei dice, l’argine è saltato con la “spazza corrotti”, non con questo decreto.
Sì, la deriva è in quell’estensione dei trojan, anche nel luogo del domicilio privato, ai reati di corruzione. Va detto che nel decreto intercettazioni appena convertito in legge si colgono anche aspetti condivisibili. Innanzitutto il ripristino del controllo del pm sulla selezione delle intercettazioni rilevanti, che invece il decreto Orlando aveva affidato in maniera quasi esclusiva alla polizia giudiziaria. Viene restituito al difensore il diritto ad estrarre copia del materiale intercettato, viene restituita la necessaria centralità all’udienza stralcio. Però vede, credo sia legittimo porsi comunque degli interrogativi sul metodo, a prescindere dai contenuti più o meno condivisibili.
La scelta del decreto legge dopo anni di rinvio?
Pensi a come può reagire il privato cittadino di fronte al fatto che, in piena emergenza coronavirus, si ritenga “straordinariamente urgente” intervenire su una riforma vecchia di due anni in materia di intercettazioni. Oppure si provi a immaginare cosa pensa un cittadino dell’affannarsi sulla prescrizione, con quello che gli capita intorno. Diciamo che se per caso potesse dire quello che pensa a un parlamentare incontrato per strada, il rischio che lo mandi a quel paese è elevato. Poi sa, certe tempistiche sono sempre un po’ sospette.
Cioè, ha fatto comodo nascondersi all’ombra dell’emergenza?
Ricorda un certo decreto in materia di custodia cautelare emanato nel 1994 in coincidenza con un’attesa gara dei Mondiali di calcio? Devo proprio tornare a quanto le ho detto all’inizio. Si dovrebbe avere non una simile disinvoltura, ma un’idea sacra delle regole del gioco. E invece ci si diletta nel gioco delle regole, ed è una cosa pericolosa quanto le intercettazioni a strascico.
Errico Novi
Articolo pubblicato il 29 febbraio sul quotidiano Il Dubbio