Sembra che il destino del mondo passi per Gaza: il conflitto si sta polarizzando nella politica e nell’opinione pubblica. Se non fosse offensivo per chi sta morendo, si potrebbe dire che si combatte sui media una guerra di propaganda persino più accesa di quella sul campo. Della guerra in Ucraina da un mese si riporta a taglio basso e i numerosi altri conflitti ed evoluzioni geo-politiche procedono sotto traccia, ma sono anch’essi influenzati dalla crisi mediorientale e dalle alleanze stabili o momentanee che produce. La guerra di Gaza opera come una cortina di tornasole per evidenziare altri conflitti e soprattutto schieramenti.

La seconda cosa più importante per giornalisti e studiosi seri consiste nello stabilire con rigore e onestà i fatti. E la prima? La prima è la scelta di quali fatti trattare! Talora si fissa strumentalmente l’attenzione su una situazione per trascurarne altre. Così come succede quando si enfatizzano alcuni eventi del passato allo scopo di giustificare azioni nel presente. L’esplosione (ciclica) del conflitto israelo-palestinese ha tacitato sui media occidentali altre situazioni critiche nelle quali i governi delle potenze imperiali continuano a operare indisturbati. Mai come questa volta però s’è vista un’opposizione così larga contro Israele e l’Occidente, che da solo lo sostiene. Specularmente, in rari casi s’era assistito ad astensioni e voti contrari unanimi dei Paesi europei alla mozione ONU per un ‘cessate il fuoco’ umanitario. In passato erano state numerose le prese di posizione critiche, i voti contrari a quelli dettati dagli Stati Uniti. Ricordiamo tra questi la dissociazione della Francia dall’attacco all’Iraq del 2003.

Oggi si fa fronte comune, al seguito degli Stati Uniti, senza alcuna critica da parte dei governi, mentre le piazze europee protestano. Né s’era mai visto che Francia e Germania negassero il permesso di manifestare per la Palestina promuovendo invece manifestazioni pro-Israele. Nella crisi ucraina il sostegno alla Russia da parte dei tradizionali oppositori dell’egemonia americana ed europea (Iran, Turchia, Cina) è stato molto più dubbioso, controverso e tiepido. La questione palestinese non coinvolge più persone di quante non ne abitino in altre aree critiche del mondo. L’annessione del Nagorno-Karabakharmeno da parte dell’Azerbaijan è passata quasi sotto silenzio solo pochi mesi fa. Eppure, anche quella crisi ha prodotto morti, profughi e inestricabili intrighi internazionali.

Ci si è dimenticati presto dell’occupazione del Kossovo, dei profughi serbi e di quanto succede in quel territorio dove s’è insediata un’enorme base americana e circolano fiumi di denaro, armi e militari. E chi si è accorto dell’esistenza della Repubblica autonoma del Pridnestrovie che vive pacificamente da oltre un quarto di secolo a fianco della Moldova? I profughi armeni del Nagorno-Karabakh evocano un antico genocidio operato dalla nazionalista Repubblica Turca dopo la dissoluzione dell’Impero Ottomano. Vale la pena continuare a ricordarlo e usarlo pretestuosamente? O non sarebbe meglio dimenticarsene e operare per il risanamento di una controversia ormai passata e senza senso? Vale la pena fare continui paragoni con fatti avvenuti nel passato ormai lontano per giustificare ritorsioni o diritti da fare valere oggi in una situazione completamente mutata? Dei Curdi se ne parlerà per un paio di giorni al prossimo attentato (che ci sarà di sicuro prima o poi) o a seguito della scontata rappresaglia turca, come già successo qualche mese fa in Svezia. Tutto messo a tacere.

Alla luce dell’eclatante conflitto di Gaza, domandiamoci cosa stia succedendo dal Mediterraneo al Pakistan passando per il Caucaso e il Mar Caspio nonché in tutto il mondo musulmano e arabo dove operano attivamente Russia, Turchia, Iran e l’onnipresente e ubiquo USA? Dovunque ci sono guerre, gli Stati Uniti intervengono direttamente in un modo o nell’altro trascinandosi dietro i pavidi alleati europei, mai così allineati. È lecito domandarsi se i militari americani intervengano a seguito dei conflitti; o se i conflitti esplodano a causa della presenza americana. Talora è impossibile distinguere. Della Cina si sente parlare poco, ma costituisce l’alternativa più credibile allo strapotere americano e agisce nella geopolitica globale in modo poco evidente. Come mai? A costo di passare per ingenuo, vorrei credere che, oltre alle varie ipotesi materialiste, ciniche e ispirate dal ‘cui prodest’ non sia da escludere il senso di responsabilità dei leader cinesi. Una responsabilità speculare all’irresponsabilità di chi si sente militarmente onnipotente e teme di perdere un’egemonia politica, morale e culturale in crisi.

Ma se anche ritornassi al materialismo degli interessi economici che stanno alle fondamenta dei conflitti, ricordo un saggio di Albert Hirschman dal titolo: ‘Le passioni e gli interessi’. Hirschman – mio mentore – sosteneva che il grande progresso dell’Illuminismo nasceva dall’avere messo da parte le passioni (patria, gloria militare, imperialismo, religione, superiorità culturale), e perseguire invece i più tranquilli interessi economici. Meglio farsi la competizione sui mercati che sui campi di battaglia. In questo consisteva la superiorità occidentale integrata dalla cultura ebraica europea tradizionalmente pacifica, internazionalista e più propensa all’economia che alle guerre. Per un periodo (breve) è anche stato in parte così. Ma ora, temendo di perdere la competizione sui mercati e di essere costretti a rinunciare a egemonia e ricchezza, sembra che si faccia affidamento sulle armi e su una propaganda viziata e viziosa.

Corrado Poli

Corrado Poli

Corrado Poli, docente di geografia politica e urbana, editorialista e saggista

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