“Non c’è nulla di impossibile: le cose basta volerle fare sul serio. La guerra tra Israele e Hamas non era inevitabile come alcuni vogliono farci credere”. L’affermazione, potente e visionaria, è di un famoso ed autorevole giornalista americano, Thomas Friedman, da oltre trent’anni responsabile del desk di politica internazionale della prestigiosa testata del New York Times.
La “via” di Friedman
Di fronte alla complessità e contraddittorietà dell’odierna situazione mondiale; di fronte al pessimismo dilagante sulla possibilità di trovare una soluzione diplomatica alle crisi in Ucraina e in Palestina, Friedman oppone la lucidità della ragione: “E proprio in questi momenti terribili che le leadership mondiali devono svolgere il loro ruolo con responsabilità e visione: servono scelte coraggiose per fermare i conflitti. Come sono state le decisioni dei leader coinvolti a minare i diritti, siano gli altri leader mondiali a suggerire e supportare l’avvio di un cammino globale verso la crescita e la pace”.
Anche in questo febbraio 2024, agli inizi di una campagna presidenziale americana che si conferma nettamente a favore di Donald Trump, Thomas Friedman non perde il suo realismo, connotato da speranze positive. Ha recentemente scritto un reportage proprio su quello che il “zoppicante” (e non solo fisicamente…!) Presidente Biden dovrebbe fare in campo internazionale per dimostrare agli americani in primis (e cioè ai suoi possibili elettori di novembre) e ai cittadini del mondo poi, quello che l’America dovrebbe fare per riportare pace e crescita nel mondo. Velleitarismo? Eccesso di ottimismo? Tutto è possibile: proviamo però a seguire il ragionamento che Friedman ha sviluppato e che vi riportiamo qui di seguito.
La dottrina Biden
La nuova “Dottrina Biden” dovrebbe, secondo il giornalista americano, implementarsi lungo tre verticali. Il primo con un atteggiamento “forte e risoluto” nei confronti dell’Iran, realizzando, se necessario, una energica rappresaglia militare in caso di attentati terroristici, eterodiretti da Teheran. Il secondo dovrebbe concretizzarsi in una iniziativa diplomatica volta a promuovere uno stato palestinese “adesso”.
In altre parole, Friedman, suggerisce a Biden di prevedere una forma di riconoscimento di uno stato palestinese demilitarizzato in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza: uno stato che potrebbe nascere soltanto una volta che i palestinesi abbiano finalmente messo a punto istituzioni affidabili, con una nuova classe dirigente affidabile e adeguata a garantire la sicurezza nei confronti di Israele, che dovrebbe a sua volta, naturalmente, a quel punto aderire a questa nuova strategia americana.
Il terzo binario prevede un’alleanza tra Stati Uniti e Arabia Saudita per garantire una sicurezza allargata a tutta la regione medio-orientale. Tale accordo dovrebbe prevedere anche la formalizzazione delle relazioni dei sauditi con Israele con il reciproco riconoscimento e legittimazione. Riprendere cioè la trattativa che Hamas ha voluto tragicamente bloccare il 7 ottobre 2023. Si tratterebbe, nella sostanza, di una ripresa dei principali punti del Trattato di Camp David del 1979: è fondamentale, per Friedman, la concorrenza nell’avvio di queste tre strade politico-diplomatiche. Friedman scrive che è giunta l’ora di “smascherare contemporaneamente i giochetti di Netanyahu, degli ayatollah, di Hamas”: la nuova strategia di Biden dovrebbe proprio mirare a questo risultato, ponendo fine ad una tolleranza ormai incomprensibile e controindicata.
Si è accettato per troppo tempo che Teheran dirigesse le varie sigle del terrorismo palestinese e libanese; si è tollerato per troppo tempo che il governo di Netanyahu impedisse sistematicamente la creazione di uno stato palestinese, rafforzando di fatto Hamas e non l’Autorità palestinese. “Si tratta – conclude Friedman – di una strategia che potrebbe portare ad una importante resa dei conti nella politica iraniana, in quella palestinese e in quella israeliana”.
In un mondo multilaterale, con delle nuove geo-mappe tutte da definire, questa America che sembra confusa, divisa, miope ed incapace di produrre una classe dirigente adeguata alla attuale complessità, secondo Friedman, potrebbe ritrovare il “bandolo della matassa” e riportare un po’ di ordine nel mondo senza abdicare alle autarchie dilaganti o, peggio, alle guerre ormai certe e irreparabili. “Non c’è nulla di impossibile, le cose basta volerle fare sul serio”. Speriamo che Friedman sia letto e abbia ragione.
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