Fernando Mezzetti: giornalista, scrittore, ha curato “Mio fratello l’assassino di Trotskij “(Utet editore). È stato corrispondente in Russia e Cina per il Giornale e in Giappone per La Stampa.
Ha raccontato come testimone la guerra in Vietnam.
La storia l’ha frequentata davvero. E anche la storia delle automobili.

1 – C’è una strada nella tua vita ? Una strada che hai percorso che ti è rimasta nel cuore ?

Il tratto della statale umbro-casentinese, mi pare la n.71, scendendo su Orvieto provenendo da Montefiascone: tanti tornanti che obbligano a rallentare, non tanto per le curve, quanto per le visioni che queste offrono, anche ai più insensibili al bello.
Orvieto appare all’improvviso, splende come intatta città medioevale, circondata da una natura rigogliosa, modellata dall’uomo. Ogni tornante fa scoprire una visuale diversa. Vale le pena andare apposta da Milano o Torino, benché Orvieto offra ben di più, solo per fare quei pochi chilometri di tornanti, con panorama di bellezza indicibile, fino alla commozione, come mi sto commuovendo mentre ne parlo.

2 – Auto e potere. Mosca, Russia…. auto nere che scivolano tra le vie, sguardi che si incrociano…

A Mosca il potere passa velocissimo: sirene, una colonna di Suv e macchinoni, ed è facile immaginare a bordo Putin o Medvedev. Qualche anno fa, viste fuori del ristorante “La Marée”, Ulitsa Malaya Gruzinskaya, parcheggiate come se fossero utilitarie, 3 Ferrari e varie altre vetturone, ma queste con l’autista a bordo, in attesa del boss. Nel 1983 ho fatto una corsa con taxi abusivo speciale, che era in realtà una ZIL, “Zavod Imeni Likhacheva”, (fabbrica intitolata a Lichaciov, un tale che era stato importante nell’industria dell’auto.) Macchina di alto rango, per almeno ministro, o di più. La macchina, con autista, era in attesa fuori dell’hotel internazionale Mezhdunarodnij, dove io stavo.

Evidentemente l’autista sapeva che il suo boss era impegnato in un incontro importante che sarebbe andato per le lunghe, quindi mi ha portato alla mia destinazione, mi ha aspettato dieci minuti come d’accordo e siamo tornati indietro. All’epoca non era facile trovare un taxi, e io, arrivato da poco, non avevo ancora la macchina. Pagai salato, ma guadagnai molto tempo, perché per il macchinone ministeriale il traffico si bloccava, e feci un’esperienza unica. In origine il nome della vettura era ZIS, (Zavod Imeni Stalina nella foto a sinistra). Dopo il Ventesimo congresso nel 1956, e denuncia di Nikita Krusciov dei crimini di Stalin, il nome fu cambiato in ZIL. I pochi informati pensano che la L finale stia per Lenin. No. E’ Lichaciov.

3 – Giappone. Auto e potere. Sguardi indifferenti ?

In Giappone, indifferenza per i vari tipi di macchina.

4 – E qualche sgangherata auto del potere in Vietnam?

Viste ad Hanoi anni ‘80, delle “Pobeda” (Vittoria), brutte copie della nostra Aprilia, e per di più scassate. Auto per funzionari di medio rango. Come ho visto a Cuba nel 1979 monumentali Cadillac, tenute insieme con lo sputo, non avendo i cubani neanche il nastro adesivo.

5 – E se dicessi Cina, a quale macchina leghi la tua Cina?

In genere, nel primo anno, (1980) in cui abitavo a Pechino, mi servivo dei taxi, quasi sempre vetture Shanghai, lente e solenni. Una volta noleggiai, con autista, una Hong Qi, (“Bandiera Rossa”, ormai da tempo non più prodotta) molto simile alla Zil sovietica, per andare a prendere moglie e figlia in aeroporto, che sapevo cariche di bagagli.
Era una Pechino piena di biciclette. L’autista non mise la sirena, ma era come se l’avessimo: i poliziotti scorgendo la macchinona in lontananza ci prendevano per esponenti del potere, bloccavano il traffico, i fiumi di biciclette si aprivano per darci spazio.
Mio segretario e nostra donna di casa felici e deliziati: si sentivano potentissimi.

6 – “Salga Mezzetti che andiamo”. Hai un ricordo legato a qualche personaggio famoso e un’auto?

Ho dato io, a Mosca, con la mia Neva, in una notte di tormenta, un passaggio verso il suo albergo, a Helmut Sonnenfeldt, il Kissinger di Kissinger, dopo aver tirato tardi a cena in casa di un comune amico americano. Sonnefeldt era famoso, in quegli anni, quale assistente di Kissinger e autore della cosiddetta “dottrina Sonnenfeldt”: non strumentalizzare contrasti più o meno sotterranei tra Mosca e i suoi satelliti. Mi fece un grande regalo per quel passaggio. Mi confermò infatti che rispondevano al vero le voci da tempo in circolazione secondo cui in uno dei tanti incontri su disarmo e destini del mondo al fianco di Kisssinger con i dirigenti sovietici, era stato “scippato” da Breznev dell’orologio d’oro.

Il leader sovietico era appassionato di orologi. Al tavolo del negoziato, notò l’orologio d’oro al polso di Sonnenfeldt. “Gaspadin (signore) Sonnenfeldt, che bell’orologio avete. Fatemelo vedere”. Sonnenfeldt, mi raccontò lui stesso, ebbe la sensazione precisa che non avrebbe mai più rivisto quell’orologio, ed esitava a toglierlo dal polso per darlo in visione a Breznev dall’altra parte del tavolo, affiancato dai suoi consiglieri. Kissinger gli dette un calcio sotto il tavolo, rivolgendogli un perfido sorriso. Sonnenfeldt non ebbe scelta.

Breznev, avuto e ammirato l’orologio, prese carta e penna e scrisse: “Oggi io, Leonid Ylich Breznev, segretario generale del partito comunista dell’Unione Sovietica, presidente del Soviet Supremo dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, e il signor Helmut Sonnenfeldt, assistente del Segretario di Stato degli Stati Uniti d’America signor Henry Kisssinger, ci siamo scambiati i rispettivi orologi quale segno di buona volontà per i colloqui che stiamo per cominciare a favore della distensione fra i nostri due Paesi e per la pace nel mondo”.

Porse quindi allo smarrito Sonnenfeldt il foglio e il proprio modesto orologio d’acciaio, mettendosi al polso quello d’oro, mentre Kissinger con smagliante sorriso perfidamente benediva l’intesa. Confermando l’episodio, Sonnefeldt aggiunse il calcio nello stinco datogli da Kissinger con sorridente perfidia, e un particolare: l’orologio gli era molto caro perché regalo dai suoi genitori per il suo “bar mizvah”, importantissimo momento per gli ebrei.

7 – L’autista, spesso un personaggio fidato e unico, nella vita di un giornalista.

Non ho un autista, ma qualcuno che guida per me: mia moglie. Oltre 40 anni fa capì subito che era meglio non fidarsi di me alla guida.

Eraldo Mussa

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