“Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo”: su questo semplice principio si basa dai tempi di Atene, culla della nostra cultura, la nostra civiltà. Da allora la nostra convivenza si basa sul dibattito e su istituzioni create per decidere tra le varie posizioni.
Ecco perché il professor Barbero ha il diritto di affermare: “Rischio di dire una cosa impopolare, lo so… Vale la pena di chiedersi se non ci siano differenze strutturali fra uomo e donna che rendono a quest’ultima più difficile avere successo in certi campi. È possibile che in media, le donne manchino di quella aggressività, spavalderia e sicurezza di sé che aiuta ad affermarsi? Credo sia interessante rispondere a questa domanda. Non ci si deve scandalizzare per questa ipotesi, nella vita quotidiana si rimarcano spesso differenze tra i sessi”.
Non solo ha il diritto di dirlo ma deve essere ascoltato perché pone la questione in modo gentile, “rischio di dire una cosa impopolare”, e propone una discussione, “Credo sia interessante rispondere a questa domanda”. È attraverso la discussione, il confronto, il miglioramento delle nostre idee che si prendono decisioni migliori in una comunità e Alessandro Barbero si attiene alle regole del sano dibattito liberale.
Tutte le risposte che ho visto non suonano altrettanto liberali e costruttive per un dibattito. Alcune non accettano il dibattito cambiando discorso, e.g. il 95% degli omicidi è commesso da un uomo (che per assurdo è a favore dell’argomentazione di Barbero), altre annunciano la dura fatica a far valere le ragioni del matriarcato (la fatica vera sarebbe difendere il diritto di Barbero di esprimere la sua opinione) ma le peggiori fanno la cosa più terribile per un liberale: attaccano e intimidiscono la persona violando il sacro principio di difendere sino alla morte il diritto di dire qualcosa in un dibattito serio.
Le risposte a Barbero dopo la sua dichiarazione (presunta) no vax non sono state molto diverse. È possibile che il professore, che ha dimostrato nei fatti di conoscere la storia meglio di molti di noi, abbia una sensibilità maggiore alle tendenze illiberali e stia volontariamente rilasciando dichiarazioni controverse per riabituarci al sano dibattito. Pochi più di lui sanno cosa è successo alla nostra civiltà quando questa libertà di dibattito è venuta meno; pochi meglio di lui sanno cosa è successo quando ad alcuni professori è stato vietato di tenere lezione senza che questo fosse deciso da un parlamento atto a legiferare o quando si è lasciato per il bene della pacificazione europea che una minoranza avesse il diritto di essere ristorata da danni inflitti ingiustamente da una maggioranza.
Nel momento in cui la nostra comunità smette di difendere sino alla morte la libertà di parola di qualcuno le cui parole ci fanno infuriare, smette di essere una comunità liberale. Forse questo Barbero lo ha capito prima di molti di noi.
L’idea liberale si poggia su due elementi: la necessità di dibattere e di decidere. Dibattere permette al singolo di migliorare le proprie idee capendo quelle dell’altro e alla comunità di affinare le idee dei diversi gruppi; poi quando è necessario decidere esistono delle istituzioni deputate a farlo, meglio se più di una, meglio se con una chiara suddivisione e un equilibrato bilanciamento di poteri. Si chiama democrazia, non è certamente il miglior modo di organizzare una comunità, anzi come ci ha ricordato Churcill “è la peggiore, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che sinora si sono sperimentate”. Negli ultimi duemila e seicento anni dove questo modo di progredire è stato possibile, nei fatti, le civiltà sono migliorare e gli standard di vita delle persone migliorati. Per riprova, si possono osservare le società in cui questo non è possibile ancora oggi e c’è abbondanza di esempi.
Certo questo modello ha degli elementi spiacevoli: non si deve sopraffare chi ha opinioni diverse ma soprattutto bisogna difendere il suo diritto a dibattere anche se sappiamo (o pensiamo di sapere) che ha torto, si deve accettare di mettere in discussione le proprie convinzioni più profonde essendo pronti a cambiare idea attraverso un dibattito serio, si devono supportare le decisioni anche quando non ci piacciono, si devono accogliere quando riguardano la valutazione delle persone (dicesi meritocrazia), si deve riconoscere la vittoria di un avversario politico alle elezioni anche se si pensa che porterà la nazione alla rovina (dicesi democrazia), si deve convivere con il fatto che non si sa se la direzione che la nostra comunità prenderà sarà sempre “giusta”.
L’ideale liberale si chiama così perché nella difficilissima scelta tra Libertà e Giustizia decide di dare la priorità alla prima e questo nei secoli lo si è accettato perché è stato dimostrato che quando si decide di anteporre la Giustizia alla Libertà si finisce per non avere nessuna delle due. E questo nessuno lo sa meglio di un bravo storico, ecco perché: ha ragione Barbero!
Bernardo Bertoldi