La tragedia che ha falciato in un solo schianto cinque vite di lavoratori impegnati nel cantiere di Esselunga a Firenze ha creato una spaccatura nel web. E non solo. Da una parte c’è chi addita il colosso della grande distribuzione come colpevole, dall’altra c’è chi assolve la catena dei supermercati. Non vogliamo entrare nel merito, né tanto meno condannare o assolvere. Lo farà la Giustizia nel suo corso naturale. Proponiamo invece  una lettura su quanto le morti di Firenze stiano scalfendo la fiducia dei consumatori nei confronti di questo brand. Con il conseguente crollo della sua immagine. O no?

Come nasce la Responsabilità Sociale d’Impresa

Partiamo dalla considerazione che l’immagine per una mega azienda come Esselunga vale quote di mercato, fatturato e fiducia di chi ci va a fare la spesa. Negli anni ’80 molte aziende sulla spinta dei cambiamenti sociali, sostenuti dalle richieste da parte di tutti noi (consumatori) di una maggiore qualità e sicurezza dei prodotti acquistati, hanno intrapreso la strada della RSI. Ovvero la Responsabilità Sociale d’Impresa. Un concetto che in verità risale al 1953, anno in cui lo scrittore statunitense Howard R. Bowen, nel saggio intitolato “Social Responsibility of Businessman”, introdusse l’idea che gli uomini d’affari e i dirigenti d’impresa dovessero assumersi la responsabilità di perseguire obiettivi socialmente sostenibili. Oltre che economicamente convenienti. In quegli anni la Responsabilità Sociale d’Impresa assume finalmente una forma più definita e introduce anche la descrizione degli stakeholders. Ovvero di tutti quesi soggetti che, in modi diversi, entrano in relazione con l’impresa. Al primo posto ci sono i dipendenti seguiti dai clienti, quindi i fornitori, le istituzioni e la comunità in cui l’azienda opera. Il fulcro dell’RSI è che oltre a rispondere ai soci e agli azionisti l’azienda debba affiancare al proposito economico un obiettivo di rilievo sociale, che tenga conto dell’impatto che la stessa può avere sui propri stakeholders.

Valori condivisi con i consumatori

Varie ricerche effettuate nel corso degli anni negli Stati Uniti hanno evidenziato, con differenze di percentuali minime, che quasi il 90% dei consumatori acquisterebbe un prodotto in un’azienda piuttosto che in una equivalente, scegliendo in base a un’affinità di valori. Il 75% si rifiuterebbe di acquistare tra gli scaffali di chi sposa principi contrari ai propri valori. Valori fondanti dell’RSI come qualità, trasparenza, volontarietà, integrazione e sostenibilità. Ci chiediamo: se un’azienda è impegnata nel garantire ai consumatori la qualità dei prodotti e servizi che mette in vendita, a marchio proprio o di aziende fornitrici, a partire dal processo produttivo, come fa a non farsi carico della scelta delle ditte a cui appalta i lavori di costruzione di un proprio punto vendita? E ancota: se garantisco che tutte le migliaia di referenze che espongo sugli scaffali, rispondano a precisi canoni di qualità e controllo, come posso non essere coinvolta nella scelta della catena di fornitori e sub fornitori che stanno edificando un edificio da me commissionato?

Sul caso Esselunga il web si divide

In questi giorni il web si è spaccato proprio su questo punto. Esselunga è responsabile o no dei propri fornitori? Di tutti i fornitori. Non solo di quelli che utilizza per il proprio core business. Come fa quindi a disinteressarsi di chi affida i lavori di edificazione o ristrutturazione di un suo punto vendita? Ogni azienda dovrebbe munirsi di un CSR manager, una manager interno che si occupa delle attività legate alla Corporate Social Responsibility (la responsabilità sociale dell’impresa). Siamo certo che Esselunga disporrà di un team di CSR manager che ha il compito di conciliare gli obiettivi economici con il contributo che l’impresa può dare al territorio e alla comunità. Ci sono responsabilità dirette di Esselunga nel crollo di Firenze? Lo accerteranno le indagini e le Procure. Di certo la sua immagine si è ammaccata. Ovvero viene a mancare la totale fiducia del consumatore che è un pilastro (metaforico) su cui poggia il successo di questo marchio. E non solo.

I controlli riducono la probabilità di problemi legati alla qualità del manufatto

Chiudiamo riprendendo quanto dichiarato da Nicola Marotta che insegna “Tecnica e sicurezza dei cantieri” e “Organizzazione e sicurezza del cantiere” al dipartimento di Ingegneria civile e industriale dell’Università di Pisa. In una intervista pubblicata su La Repubblica online, tra le altre cose Marotta sottolinea che a Firenze… “c’è stato un collasso progressivo della struttura prefabbricata in calcestruzzo. (…). In queste strutture ci sono rigorose procedure di controllo adottate per la realizzazione dei manufatto. Tuttavia, anche se i controlli riducono significativamente la probabilità di problemi legati alla qualità del manufatto, non eliminano completamente il rischio di errori o difetti di montaggio. In certi casi, come sembra a Firenze, queste cause possono portare a un cedimento progressivo di una porzione della struttura, che porta poi a un collasso a catena”. In quel cantiere ci sono rimasti in cinque. Potevano essere di più. O poteva non accadere nulla. Una differenza non da poco. E in mezzo il crollo dell’immagine di Esselunga è inesorabile. Voi cosa ne pensate? Scriveteci la vostra opinione. Il dibattito, qui da noi, è sempre aperto.

Domenico Megali

 

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