In questi giorni di pausa nell’attività, ho osservato con nuovo interesse indagatore ciò che sta avvenendo in Italia e non solo. Sono momenti topici e difficili da declinare, contrassegnati da incertezze e rischi, da emergenze uniche e radicali.
Mai come in questo contesto, tuttavia, è necessario riposizionare una bussola di interpretazione e di orientamento. Siamo tutti allarmati dal conflitto evidente fra negazionisti del covid 19 e rispettosi della scienza, fra populismi beceri e democrazia sostanziale, fra consenso catturato e consenso ragionato, fra il primato dell’efficienza e i diritti misconosciuti degli anziani, fra nuovo fascismo soft e revisionismo storico, fra aggressione mediatica e rigorossa documentazione. Ci pare di vivere in una fase di delirio irrazionale e umorale, dove sono sempre i più deboli a soccombere.
La percezione di primo acchito non è sempre la più vera.
Se osserviamo la vetrina di una libreria, notiamo l’esposizione di molti libri con copertine vistose e a effetto per grafica e cromatismo; vi sono colonne di volumi, titoli accattivanti fra le eterne ricette per la cucina e la descrizione di viaggi esotici o percorsi storici; molta divulgazione e poca saggistica. Si sa che i distributori raccomandano agli editori volumi spessi, cartonati e in brossure eleganti, di peso e attrattività complessiva. Il libro viene venduto anche per il contenitore che lo distingue. Idem per molti cd o dvd. Se scorriamo una sequenza di Facebook o di altro socialmedia incrociamo news infondate, provocatorie e banali. Ma la ragione dove sta?
Quasi in controtendenza, ho ripreso in mano il volume “Elogio della mitezza e altri scritti morali” di Norberto Bobbio, edito da Linea D’ombra, Milano 1994. Lo lessi appena uscito, da buon seguace di Uberto Scarpelli, filosofo del diritto e politologo, allievo e collega di Bobbio. Ora, l’ho ripreso in mano e pagina dopo pagina ho riscoperto la profondità ed attualità del pensiero.
In parallelo, invece, ho accostato la lettura coinvolgente del recentisssimo “Della gentilezza e del coraggio. Breviario di politica e altre cose” di Gianrico Carofiglio, Feltrinelli, Milano 2020.
Sono proprio due opere di forte aiuto per capire il presente. Non sono affatto in contrapposizione, come potrebbe apparire. Sono invece due chiavi di lettura accostabili e integrate.
Bobbio, dopo aver esplorato il contrastato rapporto fra etica e politica, muovendo dal mondo greco e latino per giungere all’illuminismo e alla contemporaneità, dopo aver assunto i paradigmi storici e filosofici, in parte antitetici e in parte assonanti, del pensiero laico e dell’opzione religiosa, osserva: “…Di fronte ai grandi problemi mi ritengo un uomo del dubbio e del dialogo. Del dubbio, perchè ogni mio ragionamento su una delle grandi domande termina quasi sempre, o esponendo la gamma di possibili risposte, o ponendo ancora un’altra grande domanda. Del dialogo, perchè non presumo di sapere quello che non so, e quello che so metto alla prova continuamente con coloro che presumo sappiano più di me”.
In parallelo, Carofiglio scrive: “…In realtà tutti ci sopravvalutiamo, ma gli incompetenti si sopravvalutano di più perchè sprovvisti di metacognizione, che è la capacità di osservare criticamente le proprie prestazioni…l’assenza di metacognizione è tipica dell’ego mediocre e non controllato…Il secondo ostacolo nell’osservare il mondo con mente aperta, cioèflessibile, cioè capace di percepire piuttosto che giudicare, è la diffusa tendenza (che corrisponde a un bisogno ansiolitico rispetto alla complessità che ci inquieta) a mettere etichette e ricorrere a schemi, a formulare precipitose semplificazioni…La riduzione della capacità di astenersi dal giudizio in assenza dei necessari elementi, del necessario approfondimento…Questo genera l’illusoria convinzione di poter sapere tutto senza studio, senza impegno, senza la fatica necessaria per imparare davvero. L’accesso ad un grande quantitativo di fonti, combinato con l’incapacità di esaminarle criticamente, produce una conoscenza apparente e insidiosa…trasformiamo la possibilità di accedere ad un gran numero di informazioni con la persuasione infondata di poter interloquire su tutto. Da questo nasce il pericoloso rifiuto – quasi il disprezzo – per le (vere) competenze e per i (veri) saperi…non esiste una competenza universale…il vero esperto si riconosce dalla capacità di ammettere la sua ignoranza…l’esperto sa cosa sa e quindi sa cosa non sa…gli incompetenti sono inconsapevoli-ignoranti- della propria ignoranza. I competenti sono consapevoli dei limiti della loro consocenza, consapevoli della propria ignoranza”.
Bobbio si dichiara amante del dubbio, uomo del dialogo. Carofiglio, rivendica il primato della competenza e del sapere, della consapevolezza dei limiti e della complessità delle questioni. Entrambi, assetati di nuovo e del migliore. Quanto l’oggi, in un contesto di emergenza sanitaria e di crisi economica-sociale, è invece lontano da questi due approcci! Tutti sono competenti, in modo assertivo; si sono tessuti teoremi e si sono suscitati comportamenti collettivi infastiti dai richiami della scienza e della medicina; si sono sfidati i richiami alla prudenza e all’impegno civico, in cambio di un folle arbitrio e di una accesa bulimia di consenso. Fortunatamente stanno vincendo la scienza e la razionalità, non senza titubanze e offensive quasi penose.
L’emergenza ci ha si accomunati nel rischio e del drammatico effetto di risulta, ma ci ha separati fra persone attente e razionali e persone fagocitate e umorali, fra responsabilità e grettezza culturale.
Ancora Carofiglio scrive: “…la ricerca accellerata, nevrotica, ossessiva di atomi di informazione sconnessi dal quadro di un sapere è dominata dalla fretta, altra perniciosa categoria della modernità. Esiste infatti una differenza fondamentale tra fretta e rapidità…la rapidità è il risultato della combinazione di competenza e padronanza; essa implica preparazione, studio, pratica, allenamento…la fretta, al contrario, è uno dei sintomi dell’impreparazione inconsapevole e pericolosamente attiva…la fretta impedisce l’approfondimento, ostacola la comprensione e produce, nel migliore dei casi, delle mezze verità; nel peggiore e più frequente dei casi, un totale fraintendimento delle idee e dei fenomeni”.
Anche qui, quanta attualità: oggi, con assurda consuetudine, si brucia tutto in fretta, si utilizzano spicchi di verità, si fanno veicolare sui media molte false notizie, si studiano messaggi dettati da algoritmi, si diffondono tesi senza costrutto in rete. Il tutto con grande autoreferenzialità e strumentalizzazione del cittadino. L’aggravante è che molto spesso la non conoscenza o la conoscenza lacunosa sono a base delle decisioni politiche ed economiche, dei dibattiti e trasmissioni in TV e radio, formano una tendenza e creano luoghi comuni. Vi sono dei giornalisti che in una settimana, partecipando a varie trasmissioni, dissertando di economia, di politica, di scienza, di spettacolo e di psicologia collettiva. Si ama la fretta e l’effetto emotivo, non la ragionevolezza e la competenza.
Ancora Bobbio, cercando di definire il concetto della mitezzaquale virtù civica, indica: “…opposte alla mitezza, come la intendo io, sono l’arroganza, la protervia, la prepotenza, che sono virtù o vizi, secondo le diverse interpretazioni, dell’uomo politico. La mitezza non è una virtù politica, anzi è la più impolitica delle virtù. In una accezione forte della politica, nell’accezione macchiavellica o, per essere aggiornati, schmittiana, la mitezza è addirittura l’altra faccia della politica…Anzitutto la mitezza è il contrario dell’arroganza, intesa come opinione esagerata dei propri meriti, che giustifica la sopraffazione…a maggior ragione la mitezza è contraria alla protervia, che è l’arroganza ostentata…la virtù ostentata si converte nel suo contrario. Chi ostenta la propria carità manca di carità. Chi ostenta la propria intelligenza è in genere uno stupido… A maggior ragione la mitezza è il contrario della prepotenza…la prepotenza è abuso di potenza non solo ostentata, ma concretamente esercitata”.
Bobbio aggiunge:”…non vorrei che si confondesse la mitezza con la remissività…il remissivo è colui che rinuncia alla lotta per debolezza, per paura, per rassegnazione. Il mite, no: rifiuta la distruttiva gara della vita per un senso di fastidio, per la vanità dei fini cui tende questa gara, per un senso profondo di distacco dai beni che accedono la cupidigia dei più…il mite non serba rancore, non è vendicativo, non ha astio contro chicchessia…non apre mai, lui, il fuoco; e quando lo aprono gli altri, non si lascia bruciare, anche quando non riesce a spegnerlo. Attraversa il fuoco senza bruciarsi, le tempeste dei sentimenti senza alterarsi, mantenendo la propria misura, la propria compostezza, la propria disponibilità. Il mite è un uomo tranquillo, ma non remissivo…la mitezza non è nè sottovalutazione nè sopravvalutazione di sè, perchè non è una disposizione verso se stessi ma è sempre un atteggiamento verso gli altri e si giustifica soltanto nell’essere verso l’altro”.
Il grande filosofo piemontese con “L’elogio della mitezza” ci offre una riflessione morale e culturale a pari tempo, non traducibile tout court in una condotta politica paradigmatica, ma ci porge una esortazione di significativo spessore. La mitezza è una virtù attiva e positiva, proiettata verso l’altro e in uno scenario collettivo.
Carofiglio, utilizzando lo stesso metodo definitorio, in negativo e per opposizione, usato da Bobbio per raffigurare il concetto di mitezza, insiste nel declinare la parola coraggio: “…la paura non è il contrario di coraggio (lo sono semmai la pusillanimità, la vigliaccheria )…la paura è semmai la premessa del coraggio. Non esiste coraggio se non come risultato di una reazione, di una elaborazione della paura e della sua trasformazione in capacità di agire…Il coraggio (non la temerietà, la spericolatezza, l’audacia sregolata), in altri termini, è il buon uso della paura; la risposta corretta a fronte delle molte risposte sbagliate che circolano come agenti patogeni nelle nostre società ricche, diseguali e anziane. Coraggio è reazione attiva ai pericoli individiali e collettivi. E’ dunque il contrario di indifferenza, di inazione, di passività. E’ il contrario di rassegnazione. Il coraggio è virtù da cittadini consapevoli…è una dote di carattere ma anche dell’intelligenza e consiste fra l’altro nell’accetazione dell’incertezza e della complessità. Sia chiaro: non l’accettazione dell’esistente. Inteso in questa accezione, il coraggio è l’esito di una scelta e di una pratica: è la forza di affrontare il mondo consapevoli della sua complessità ma anche della nostra capacità di cambiarlo”.
Il richiamo di Carofiglio al coraggio è oggi più che opportuno e non si antepone affatto al concetto di mitezza enunciato da Bobbio.
Entrambe le nozioni di virtù o di condotte sono ingredienti per un percorso di cambiamento, di sviluppo e di miglioramento della società.
Come per Bobbio la mitezza non è rinuncia, ma propensione verso l’altro, per Carofiglio il coraggio non è l’opposto della paura, ma reazione all’incertezza e complessità, per un cambiamento.
Se analizziamo gli ultimi mesi di cronaca e di vissuto italiano, ritroviamo esempi chiarissimi di dialogo-mitezza sposati al coraggio: l’impegno delle associazioni ambientaliste a difesa del clima e dell’acqua pubblica, la generosa presenza ovunque e nelle estreme difficoltà del personale medico e infermieristico, la testimonianza nelle battaglie antirazziste e antimafia, il volontariato diffuso per alleviare la precarietà e marginalità economica e sociale, la visione inclusiva delle varie ondate immigratorie.
In situazioni di evidente conflitto fra chi ha e chi non ha, fra chi governa i processi decisionali e chi invece può solo subirli, ha vinto l’appello al coraggio di cambiamento nel dialogo-mitezza e non hanno vinto i populismi e le semplificatrici logiche negazioniste.
Forse, inconsapevolmente, il pensiero e la nostra cultura ci hanno correttamente indirizzati.
Grazie Bobbio, grazie Carofiglio.