Siamo di nuovo lì.
Tornati al punto di partenza.
Come nella tradizione del gioco dell’oca.
La crisi economica non si risolve, la politica manca di visione, il partitismo offre la peggiore immagine di se stesso?
Si torna a parlare di Mario Draghi, come ultima chanche del nostro povero e zoppicante Paese.
Negli ultimi dieci anni, il suo nome è stato evocato più volte trasversalmente da tutto il Parlamento, da molti dei media piu’ autorevoli, dai sondaggi della gente.
Tutti, a turno o insieme, lo hanno identificato come il salvatore della patria.
Ma come dicono i rumors non solo romani, abbiamo un Maradona di passaporto italiano e non lo utilizziamo?
Lo lasciamo in tribuna mentre il Paese va a rotoli anche per un evidente deficit di competenze?
L’ex governatore della Banca d’Italia, ex presidente della BCE, non ha mai voluto entrare in argomento. Ha mantenuto, come nel suo stile abituale, un silenzio sobrio, significativo, da vero Civil Servant.
Si è limitato a una battuta al termine del suo mandato a Francorte di fronte all’ennesima domanda di un giornalista sulla sua possibile “discesa in campo”: “Chiedetelo a mia moglie!”.
Mattarella, da parte sua, se lo tiene stretto senza volerlo bruciare in una delle tante giostre della politica romana.
Certo, dopo i governi “non direttamente investiti dal voto popolare” di Monti, Letta, Renzi, Gentiloni e Conte 2 (l’unico che in fondo è nato a seguito di un voto espresso in quel momento dalla maggioranza degli italiani è stato il Conte 1 , quello gialloverde,) un eventuale incarico a Draghi per sbloccare la melina che si è creata nei palazzi romani della politica partitica più deteriore, fornirebbe una prova ulteriore di scelte del Quirinale, al di là e a prescindere dalla volontà di noi cittadini italiani.
Un nuovo governo tecnico voluto dal Presidente della Repubblica che ritiene che l’Italia non possa permettersi una crisi di governo e, peggio, delle elezioni politiche anticipate, in un contesto di tragica pandemia sanitaria, di crisi economica mai vista prima, di arrivo di fondi europei per la ripresa di una entità rilevantissima, di presidenza italiana del G20, occasione che ci ricapiterà, soltanto se ne faremo ancora parte, nel 2040!
Insomma una decisione delicata, controversa, apparentemente gradita da tutti, ma con qualche incognita.
Con qualche area grigia.
A Roma fonti accreditate confermano che si sta lavorando a tale ipotesi per dargli una dimensione anche politica oltre a quella puramente, anche se autorevolissima, tecnica.
L’uomo che ha già salvato l’Europa e l’Euro con il suo famoso “whatever it takes”, che all’inizio della pandemia, sulle colonne del Financial Times seppe indicare alla Ue come tornare centrale in un progetto europeo veramente comune e visionario, quell’uomo potrebbe davvero prendere in mano la situazione e salvare il suo Paese dal declino e dalla bancarotta del debito?
Proviamo ad analizzare i pregi, tantissimi, e rischi, non pochissimi, di una eventuale ipotesi di questo genere.
I PLUS DELLA SCELTA DI DRAGHI PREMIER
Facile sintetizzarli in poche parole: maggiore autorevolezza e credibilità del nostro Paese nelle sedi internazionali. Maggiore affidabilità di una nuova politica economica mirata a rilanciare il nostro sistema ammortizzando nel tempo l’enorme debito accumulato. Maggiore fiducia dei nostri creditori esterni e interni sul futuro del nostro Paese.
Consapevolezza di tutti gli italiani ma anche di tutte le cancellerie europee e mondiali che l’Italia ha girato pagina e ha dato la responsabilità del suo governo della rinascità all’uomo di maggior prestigio e competenza.
Quid pluris?
I MINUS DELLA SCELTA DI DRAGHI PREMIER
Avendone apprezzato serietà e rigore, le cifre della sua carriera di altissimo dirigente pubblico nel mondo della finanza e delle banche, bisogna che tutti noi registriamo con grande chiarezza un dato incontrovertibile: Draghi, dopo una analisi cinica e accurata dello stato dell’economia del nostro Paese, predisporrà un piano per il suo rilancio.
Non illudiamoci però, sarà un programma a base di “sudore e sangue” per tutti, non a parole ma a fatti, a condotte, a misure non alla ricerca del consenso facile.
Immaginiamo già coloro che in queste ore invocano a gran voce un Draghi “Presidente subito” incominciare a rendersi conto che la musica è cambiata: che quello che il Draghi premier deciderà di fare… bisognerà farlo, salvo vedersi recapitare le sue irrevocabili dimissioni ad horas.
Le continue mediazioni non saranno più la cifra della nostra quotidianità di governo: la rigorosa esecuzione del piano condiviso sarà il faro dell’azione del governo.
Siamo pronti ad uno scarto culturale e politico di tal genere?
Ci vorrà serietà, coerenza e competenza : siamo ancora in grado come Paese nella sua globalità a dare una prova di coraggio, sacrificio e solidarietà sociale?
Nel costruire, per esempio, la squadra di governo, la trattativa per i nomi dei candidati ministri sarà diversa e distante sia dal manuale Cencelli sia da una scelta dei ministri basata sull’appartenenza politica.
Certo , ci saranno i rappresentanti politici dei partiti della maggioranza che Draghi si sarà andato a cercare in Parlamento “prima” di accettare l’incarico, ma in un ruolo di garanti della tenuta del governo non di gestori operativi del piano concordato.
Quale piano?
IL PROGRAMMA DEL GOVERNO DRAGHI
Non è necessaria una grande fantasia per immaginarlo: basta andare a rileggersi i dieci punti contenuti nel rapporto pubblicato in questi giorni dal G30, un’organizzazione internazionale indipendente che riunisce il Gotha degli accademici e dei decisori politici mondiali.
La relazione, denominata “Rivitalizzare e ristrutturare il settore aziendale dopo il Covid” si concentra su alcuni aspetti fondamentali per far ripartire l’economia mondiale schiantata dal Coronavirus.
In sintesi:
- muoversi con urgenza prima che la crisi si consolidi in una stagnazione prolungata, animata da aziende Zombie che non falliscono ma non restituiscono i debiti, vegetando con sussidi pubblici
- usare invece le risorse pubbliche per selezionare le aziende in grado di rilanciarsi evitando di sprecare i soldi dei contribuenti in aziende senza mercato e senza un futuro sostenibile
- evitare eccessi di statalismo e restringere l’intervento dello Stato a quei settori cosiddetti “a fallimento di mercato”
- responsabilizzare le imprese beneficiarie degli aiuti a non privatizzare gli utili e socializzare le perdite ma operare in modo tale da non gravare, restituendo quando possibile le risorse ricevute,sulle tasche dei contribuenti.
La relazione del G30 auspica quindi, nelle sue conclusioni, che i governi si attivino con urgenza ed efficienza nella selezione dei beneficiari, archiviando politiche con sostegno generalizzato a tutte le imprese e, invece, con un focus su quelle imprese che dimostrano di avere risorse professionali (capitale umano) e tecnologiche (capitale industriale) in grado di affrontare positivamente la sfida competitiva del post Covid.
La crisi in atto, si legge nel documento, non è più di liquidità ma di solvibilità:molte imprese, soprattutto medio piccole, non sono e non saranno più in grado di restituire i prestiti ricevuti dal sistema bancario innescando un effetto domino che rischia di compromettere la stabilità del sistema.
Con tutte le drammatiche conseguenze occupazioni immaginabili.
Lo scenario che emerge dal lavoro del G30 è durissimo e deve essere affrontanto con competenza, determinazione, lucidità ed efficacia, trovando, nei singoli stati del Villaggio Globale, le maggioranze necessarie per supportare e sostenere un governo adeguato a questo difficiclissimo compito.
Un governo in grado di portare avanti politiche gravose per i contribuenti ma mirate a rilanciare il Paese verso un economia sostenibile.
Per l’Italia sarà ancora più dura la sfida, tirandoci noi dietro almeno venti anni di stallo e di non crescita.
In questo quadro, se saremo consapevoli e disponibili a fare grandi sacrifici potremo farcela.
E allora, in tale ipotesi, chi meglio di Mario Draghi potrà condurci al traguardo.
In caso contrario, proseguiremo sulla strada del declino economico, etico e sociale, senza alibi né ancore di salvezza velleitarie.
In questo caso perché sprecare la candidatura del nostro attuale più autorevole esponente della italianità nel mondo?