Siam tutti con il naso per aria a ricordarci della luna, ora che son 50 anni che ci abbiamo messo piede e non per ritrovare il senno che per quello non basta andare neppure su Saturno. Se ne è scritto e visto parecchio in questi giorni, ma nessuno a ricordare che è grazie a una donna se Apollo 11 è atterrato evitando un disastro a 3 minuti dall’allunaggio, ovvero grazie a Margaret Hamilton, che può essere considerata l’inventrice dei software moderni.
A cominciare da Ada Lovelace Byron, nota soprattutto come la “figlia di Lord Byron”, ma che può essere considerata la prima programmatrice della storia, essendo stata la prima al mondo ad aver scritto un algoritmo adatto a essere eseguito da una macchina e la prima a suggerire l’uso delle schede perforate per impartire istruzioni alle macchine. Ada collaborò con Charles Babbage, il matematico inglese che progettò la macchina analitica e che nel 1840 presentò i suoi studi al secondo Congresso degli scienziati italiani all’Università di Torino. Se la macchina analitica è riconosciuta come un primo modello per il computer, gli appunti di Ada sono la prima descrizione di un programma informatico. Fu Alan Turing a dichiarare che senza gli studi della Lovelace non avrebbe potuto concepire il modello ideale di calcolatore, detto proprio Macchina di Turing, utilizzato ancora oggi per valutare la complessità degli algoritmi.
E anche i primi “computer” son state donne: durante la Seconda guerra mondiale, più di ottanta laureate in Matematica furono arruolate nell’esercito degli Stati Uniti con la qualifica di computer, ovvero persone che eseguivano calcoli. Sei di loro, nel 1945, parteciparono alla realizzazione del primo computer interamente elettronico.
Barbara Notaro Dietrich